Poesia e verità

Alla domanda che la gente si pone: «Chi è Zarathustra?», Zarathustra ricorda diverse risposte date dalle persone stesse.
Due di esse chiedono: «È un poeta? O uno che dice la verità?» (p. 170).
Alla fine del capitolo, Zarathustra, pieno di spavento, evita di insegnare quello intorno al quale tutto il capitolo gira: il pensiero dell’eterno ritorno.
È questo il «parlare gobbo» (p. 173) di Zarathustra, impegnato, fin dall’inizio del capitolo, in un dialogo con un gobbo (p. 168).
Perché il testo contrappone poesia e verità in modo così netto? Contro che cosa si scaglia Zarathustra? Zarathustra colpisce la poesia come obbligo al non pensiero. Zarathustra è un grande poeta che sa di essere un poeta e, sapendo di essere un poeta, ha paura di essere tacciato come persona menzognera.
Ma perché la poesia è sospettata di menzogna? Perché attraverso la poesia si è da tempo accettato l’obbligo al non pensiero: Zarathustra è anche colui che restituisce alla poesia l’obbligo del pensiero. Ma restituire alla poesia l’obbligo alla verità del pensiero vuole dire restituire al discorso della verità l’obbligo alla svagatezza. Cioè alla poesia. Zarathustra è colui che mischia poesia e verità, ma è anche colui che crede ancora a un segno della poesia e a un segno della verità e che nel momento in cui ne vengono compromessi i rispettivi confini, prova paura.
Noi possiamo osservare gli effetti dell’obbligo della poesia al pensiero a partire da due posizioni contrastanti e lontane nel tempo: la poesia di Dante e la poesia di Brecht. Dante è colui che richiama la poesia all’obbligo del pensiero; Brecht è colui che accetta definitivamente l’obbligo della poesia al non pensiero. Entrambe le posizioni richiamano una medesima falsità, come scopre Zarathustra.

     F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi, Milano 1973, parte seconda, Della redenzione.

Il tempo di Zarathustra

“Ma che vale un tempo che ‘non ha tempo’ per Zarathustra?”.
Questo tempo è prima di tutto un tempo che rimanda a una seconda fase. La citazione completa suona infatti: «”Non abbiamo ancora tempo per Zarathustra” – questa è la loro obiezione. Ma che vale un tempo che “non ha tempo” per Zarathustra?» Questo tempo è un tempo che non ha tempo. Per quale cosa questo tempo è un tempo che non ha tempo? Se non ci fosse questo stare nel tempo per non avere tempo, questo tempo non sarebbe un tempo. Ma questo tempo è un tempo solo se ci si pone una domanda. Questa domanda è: “Che tempo è un tempo che non ha tempo per Zarathustra?” Questo tempo è il tempo nel quale non si riconosce il carattere indoeuropeo di Zarathustra; ma è anche il tempo nel quale l’iranico Zarathustra compare metà greco e metà profeta ebraico: è un tempo nel quale Zarathustra non ha più tempo per avere tempo.
La domanda: «Ma che vale un tempo che “non ha tempo” per Zarathustra?» è però una domanda sul tempo. Essa, infatti, prevede e rimanda a un diverso tipo di tempo.
Questa domanda suona come: “Che tempo è un tempo che non ha tempo per Zarathustra?” Modulata così, la domanda rivela il suo annidamento nelle questioni del tempo.
C’è un tempo che non prevede Zarathustra, e un tempo nel quale Zarathustra irrompe come richiamo a un tempo diverso.
“Non avere tempo per Zarathustra” vuole dire non essere distratti nei propri progetti nel tempo da un progetto estraneo, che sottrae tempo al compimento di un progetto. E il compimento di questo progetto esclude Zarathustra.
Il tempo di Zarathustra è la fine del concetto comune di tempo. Questo concetto comune di tempo è il tempo che ha nel contare “fino al compimento di un certo tempo” la sua propria natura, secondo la formula di Agostino. Quindi è un tempo che prevede dei progetti e si manifesta soprattutto nell’arco di un progetto. Progetti contemplati lontani nel passato (nella prospettiva del tempo percorso e del progetto completato; ciò che il soggetto ha realizzato) o lanciati lontano nel futuro (come progetti a venire; ciò che il soggetto deve ancora realizzare). Il progetto è sempre un incontro con una meta da parte di un soggetto. Al contrario, Zarathustra non affolla il tempo di progetti. Quindi questo nuovo tempo per il quale non si ha tempo sarebbe non un semplice accantonare nel tempo, quanto una possibilità di uccidere il tempo.
Le Confessioni di Agostino contengono riflessioni basilari sul tempo. Ma da che cosa deriva questo aspetto di base, cioè di fondamento? Le riflessioni sul tempo di Agostino occupano parte del Libro XI, ma tutta l’opera può essere divisa in due grandi parti: una prima parte, che può essere definita L’andare per il mondo (Libro I-IX); una seconda parte, che si potrebbe definire Teoria del soggetto (Libro X-XIII). Comune a entrambe è il disegno divino che Agostino riconosce nei confronti di se stesso in quanto soggetto, e quindi la possibilità di raccontare la propria storia come movimento verso una meta, verso la quale “si” tendeva anche quando ancora non se ne aveva coscienza alcuna, come Agostino riconosce quando racconta il periodo del proprio paganesimo. Infatti le Confessioni possono essere considerate il primo esempio di Bildungsroman. In questo si mostra la verità tanto quanto in essa tutto è falso come un libro. Ma dalla possibilità di diventare “falso come un libro” saranno chiamati a uscire, alla fine dell’epoca della metafisica, coloro che collegheranno romanzo e racconto autobiografico, Hamsun e Henry Miller, per esempio.
Se Zarathustra libera l’ente dalla necessità del divenire, allora Zarathustra deve anche liberare il tempo dalla necessità dell’annidare in sé progetti.
Ma quando il tempo sarà solo patrimonio di tempo, allora il tempo sarà qualcosa di falso e segreto, perché il poeta è il patrimonio del silenzio.

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, in Opere di Friedrich Nietzsche, volume VI, tomo I, Adelphi, Milano 1973, p. 204.

Risposta a Umberto Eco

                    Si può anche dire che Dante era un cattivo poeta: ma bisogna dirlo dopo almeno trecento pagine di serrata analisi dei testi danteschi.
                              U. Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano 2001, p. 20.

Dante era un poeta mediocre perché gli Italiani sono un popolo di bastardi e un popolo di bastardi non può avere un grande poeta.

Letteratura italiana (e Italiani bastardi)

Mi ha sempre infastidito la letteratura italiana. Letteratura che conosco pochissimo. Per disprezzarla non è necessario conoscerla; è solo necessario disprezzarla; disprezzarla sempre, comunque, dovunque. La sua diffusione dipende dal fatto che la letteratura italiana, più che di una letteratura, ha le fattezze di un virus. È una infezione fatta per colpire anime coniglio; fatta per essere trasmessa attraverso anime coniglio.
Questo dipende dal fatto che l’Italia non è una nazione e gli Italiani non sono un popolo. L’Italia è quel qualcosa che una banda di massoni è riuscita a fare di tanti maledetti pezzi di terra diversi.
In alcuni saggi memorabili, Heidegger indica in Hölderlin il poeta della razza germanica. Gli Italiani sono un popolo di bastardi. Un popolo di bastardi non ha un poeta. Un popolo di bastardi ha soltanto qualche paroliere. Dante è il massimo paroliere del popolo bastardo degli Italiani.
Il poeta svela al suo popolo il suo destino. Un popolo di bastardi non ha un poeta. Un popolo di bastardi non ha un destino.

Un verso di Pound

«Let the Gods forgive what / I have made»

Gli dèi devono perdonare quello che il poeta ha costruito

1. Carattere nefasto del costruire.
2. Il poeta come colui che deve solo dare impulso a cose sempre fra loro diverse, astenendosi dal costruire.
3. Goethe su Hafis: «Daß du nicht enden kannst, das macht dich groß, / Und daß du nie beginnt das ist dein Lost». L’età di Pound di Hugh Kenner è un grandissimo libro che non ha nulla a che vedere con Deleuze, ma che può essere inglobato nel metodo seriale di Deleuze. Il personaggio Pound non è costruito nel libro come meta finale di una biografia. Ogni capitolo lancia delle serie, nelle quali Pound è implicato in un modo sempre diverso. Pound è soltanto il punto di partenza di serie che non hanno punto di incontro. Differenze e ripetizioni.
4. Il “non costruire” come abbandono all’arte del divenire.
5. Il poeta come testimone del silenzio.
6. Il poeta può solo segnalare qualcosa che si avvicina. Il carattere di questo qualcosa è al di là della rappresentazione.
7. Lo scarto segna la caduta del poeta nella parola, ciò che gli dèi devono perdonare.

 

 

E. Pound, I Cantos, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1985 [Lascia che gli Dei perdonino quel / che ho costruito (trad. di Mary de Rachewiltz, p. 1493)].
J.W. Goethe, Il divano occidentale-orientale, Rizzoli, Milano 1990 [Non potere finire / ti rende grande. Non cominciare mai / è il tuo destino. (trad. di Ludovica Koch, p. 115)].
H. Kenner, L’età di Pound, Il Mulino, Bologna 2000.