Il colonialismo è quella cosa tanto difficile da affrontare, in quanto argomento di pensiero, che fa sì che lo sterminio di un popolo, per soli motivi di rapina, sia assolutamente da condannare, ma che quello stesso sterminio, se compiuto in assenza di qualunque movente di rapina, quindi per il solo motivo di abbellire il mondo, alleviare la terra, ritrovare l’innocenza del gioco del bambino, sia strumento ammirevole e meta da perseguire – ma appunto questa differenza è ciò che siamo adesso ben lontani da potere accettare: per questo il colonialismo è così difficile da affrontare; perché fa parte di un progetto del mondo, e quindi di un uso del mondo, al quale non siamo ancora pervenuti, perché ci porta a pensare qualcosa di un mondo organizzato in modo diverso.
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Un arabo si muove, in Europa, diversamente da un ebreo, pur essendo anche lui nient’altro che un semita – pur essendo tutte e due nient’altro che forme semite. Dipende dal fatto che il processo di apprendimento del nuovo ambiente non ha ancora raggiunto nell’arabo il livello raggiunto dall’ebreo. Stessa cosa per il negro e per l’indio sudamericano. Tutti loro si muovono in un ambiente diverso, che non è stato costituito per le loro forme. Le loro sono andature golemiche. L’arabo che si incrocia adesso per le strade d’Europa è solo un portatore di caffettano, così come, ai tempi del Mein Kampf, lo era l’ebreo.
Sotto il caffettano il semita arabo muove le gambe con rabbia, pesta pesantemente la terra, quasi a piantare radici. L’andatura è dondolante in tutti e due i lati del corpo. Viene in mente quello che si legge nel Mein Kampf quando Hitler incontra il primo ebreo, la considerazione: “Questo è dunque un ebreo?” Incrociare una cosa del genere fa pensare. Che cosa ci fanno questi “portatori di caffettano” semiti, qui, in Europa, siano essi arabi o ebrei? Anche i negri hanno la loro andatura, diversa da quella degli arabi e da quella degli europei. Che cosa ci fanno, tutti questi portatori di tante cose così diverse, in Europa? Il dondolio dell’andatura degli arabi ricorda quello degli ebrei in preghiera.
Da questo modo di considerare e di guardare si deve favorire il disprezzo. Il disprezzo è un metodo di conoscenza. Se non il metodo più potente, certo uno dei più efficaci. Metodo è anche arma. Ormai lo possiamo dire.
Quelle loro andature sono forme di comunicazione. Comunicano l’indifferenza ostile verso l’ambiente che hanno intorno. Il loro perseverare nel mantenere il comportamento che avevano nell’ambiente di origine. Questo è anche quello che si nota nella letteratura del realismo magico, per esempio nei Versi satanici di Salman Rushdie, dove gli indiani trapiantati a Londra sono del tutto indifferenti verso l’ambiente londinese che hanno intorno. D’altro canto questa forma di comunicazione nasconde la certezza di potersi appropriare, o prima o poi, di quell’ambiente e di trascinarlo nel fango del loro livello – cioè nel fango da cui sono partiti.
È da considerare che gli impacci, i rallentamenti, il modo di procedere indifferente del realismo magico e della letteratura postcoloniale hanno il carattere golemico di questa andatura maledetta.
L’andatura è un ritmo. Anche Bruckner aveva il suo ritmo particolare. Il ritmo del meticciato e di ciò che è inferiore è un non ritmo. Un “non ritmo” è ciò che ingoia, avanzando come ciò che non ha ritmo in un ambiente ad esso estraneo, e che, prima della sua comparsa, era dotato di un ritmo proprio.
Come gli animali, avanzano nell’ambiente loro concesso secondo uno schema fisso: prima viene il semita maschio, poi il semita femmina con i piccoli semiti.
Quelle forme semite che si vedono sempre più frequentemente camminare per le strade d’Europa, sembrano soltanto camminare. Eppure, con quel loro modo di camminare, queste forme semite calpestano la terra.
Le gambe sono rigide quando vengono spinte meccanicamente in avanti. Il caffettano, che questi “portatori di caffettano” indossano, ne accentua la rigidità meccanica. La loro non è una camminata, è un avanzare. Nel loro avanzare con le gambe rigide sotto il caffettano essi calpestano la terra.
La forma tarchiata, la brachischelia, tipica di gran parte di certi indios, accentua il loro procedere, quasi rotolando su zampette deformi, in una terra straniera. Sempre la terra d’Europa sarà straniera per queste forme straniere, siano tali forme portatori di caffettani o forme rotolanti latinoamericane, o scrittori di realismo magico. Forme che si muovono nelle città costruite dai meticci italiani, così come nella terra d’Europa.
Indoeuropei e semiti
Deve essere stato Georges Canguilhem a precisare come un tumore non sia, in sé, qualcosa di aberrante. È l’organismo in cui il tumore si manifesta che lo determina come aberrazione.
Questo perché non si confuta un tumore, lo si combatte. Ed è giusto comprenderlo nell’ottica che non prevede altro che la sua distruzione.
La modernità ha determinato l’era in cui il mondo può essere qualcosa su cui estendere un dominio globale. L’occidentale era della tecnica e il monoteismo semita sono i principi che tendono a vedere il mondo come un qualcosa da controllare in modo irreversibile.
L’Europa è l’origine della globalizzazione quanto la terra che è uscita dal pericolo dell’intolleranza accantonando la componente semita che le giungeva dal cristianesimo. Ma questo soprattutto perché la vera componente razziale dell’Europa non è semita. Grazie a questo l’Europa ha potuto mettere in un canto il cristianesimo, quanto bastava per desemitizzarlo parzialmente, cioè per diminuirne la ferocia (la ferocia insita nella razza semita; la sua ferocia tumorale). L’islamismo è invece l’espressione diretta della razza semita, che pertanto, in quanto piena espressione della razza semita, deve essere intollerante e assassino (è il tumore allo stato puro).
In Occidente l’influsso del cristianesimo semita viene attenuato a partire dal medioevo ed è, da allora, sempre più presente in Europa il disprezzo verso la componente semita all’interno del cristianesimo (Fichte, Discorsi alla nazione tedesca; Renard, Vita di Gesù). È solo vedendo questa biforcazione tra razza bianca e componente semita nell’interno dell’Europa che si può comprendere lo svolgimento ideologico dell’Europa. Tramite l’indoeuropeistica l’Europa ha compreso la necessità di difendersi dalla razza semita perché la razza semita è ciò che ha snaturato la sua natura originaria e che maggiormente può snaturarla in futuro. Così l’Europa non sarà mai se stessa finché – nella sua terra – concederà casa al semita.
Questo perché il semita è colui che non ha terra. È colui che ha solo deserto intorno a sé. Ma è anche colui che ha la volontà di rendere tutta la terra un deserto. Il semita è colui che deve distruggere la terra per realizzare il Regno al di là della terra. Per colpa del semita il deserto cresce su tutta la terra. Per colpa dell’Europa non si fa niente per combattere chi nasconde in sé deserti.
Così la differenza è tra abitare la terra e desolare la terra. “Desolare la terra” è desolare una terra già desolata di suo. Equivale a contribuire alla desertificazione.
Questo perché la terra non è terra di conquista, ma luogo dove viene esperita la Terra del Sacro.
L’islamizzazione è l’ultimo tentativo della razza semita per semitizzare il mondo. L’islamizzazione è qualcosa che viene da lontano, da molto tempo prima dell’islam, perché ha le sue radici nella stessa razza semita.
Il cristianesimo è stato il primo tentativo di semitizzazione globale della terra. Tentativo riuscito parzialmente a causa dell’indoeuropeistica, che ha identificato nella razza semita il nemico interno da combattere; e perché il cristianesimo si è sviluppato in Europa, cioè nella terra della razza bianca d’Europa. Ma il secondo tentativo (l’islamizzazione) comporta un meccanismo più difficile da combattere. Perché l’islam si è sviluppato all’interno della razza semita e solo in un secondo tempo si è trasferito in Europa. E questo trasferimento ha avuto dalla sua parte l’illuminismo, che è il vero nemico di razza che l’Europa, a proprio danno, ha creato dentro di sé.
Ma l’Europa è la terra cui spetta il compito di scacciare la razza semita dal mondo. Sul corpo della terra non c’è posto per tutti e due i duellanti. Così come in un corpo non c’è posto per un tumore.
Il cristianesimo è uguale all’islamismo. Quello che lega cristianesimo e islamismo è la razza semita. L’Europa della razza bianca d’Europa si è difesa nel passato dal cristianesimo semita, ma deve difendersi adesso dall’islamismo semita. Perché il nemico è sempre lo stesso: la razza semita, il nemico autentico di ciò che vive.
Sveglia Europa! Crepa semita! (Il gioco è lo stesso!)
Non sono gli uomini a essere antisemiti, è la terra a esserlo.
Così si scopre che l’uso umano degli esseri umani comporta il ritorno della schiavitù e poi il riscatto del genocidio. Che cosa è il genocidio se non il gioco dell’uomo ritornato fanciullo? Che cosa è se non il tocco del bambino delle stelle che, nella sua solitudine, prova sempre qualcosa di nuovo? Che cosa è se non il gioco aperto dal superuomo?
Pensiero antidemocratico – 2
Nietzsche è stato il primo vero artefice nei confronti della possibilità della formazione di un pensiero antidemocratico. Lo dimostra l’affermazione che ha sempre attraversato la sua opera, che noi ora possiamo considerare: “l’aristocratico non deve convincere, l’aristocratico comanda”. Tutto il pensiero di Nietzsche è un pensiero che si svolge in orizzontale aggredendo la filosofia a partire da quella affermazione che giunge improvvisa in verticale come un fulmine.
Così il pensiero antidemocratico è il blocco imposto al pensiero-chiacchiera che va avanti nella scacchiera di tutti i giorni.
Due sono i fattori che, secondo Nietzsche, devono accompagnare la comparsa di questo nuovo pensiero – o forse di tutta una nuova fase del pensiero: il ritorno della schiavitù e la necessità di sopprimere milioni di malriusciti. Che cosa fossero i malriusciti, Nietzsche lo ha precisato nell’Anticristo.
Dopo di lui Heidegger ha posto ulteriori elementi a favore della formazione di un pensiero antidemocratico. Lo dimostrano: la fine del ricorso alla teoria del soggetto nel progetto della filosofia; la possibilità di un nuovo inizio della filosofia, segnato dalla fine della metafisica; il rifiuto dell’umanesimo rinascimentale italiano e la conseguente separazione tra Grecia e Roma; il riconoscimento del nazionalsocialismo tedesco come nuova possibilità per la creazione di un concetto diverso di uomo; il rifiuto del concetto di essere umano come concetto fino ad allora accettato dalla filosofia tradizionale.
Prima di Nietzsche era stato invece Sade a intravedere la possibilità di un pensiero antidemocratico. In Sade l’ateismo realizzato diventa semplicemente il superamento dell’umanesimo. E quindi la possibilità di un nuovo modo di comporre testi.
In tutti e tre questi diversi pensatori, anche se in modo diverso, il rifiuto del cristianesimo è ciò che trae in modo fondamentale verso la possibilità della comparsa di un pensiero diverso.
Ma questo sempre perché il cristianesimo è la componente estranea che l’Europa deve scacciare dal suo interno. Così questo deve avvenire in quanto accettazione della questione della razza in Europa, che è la questione che, in Europa, finora non è stata posta.
Questo perché Auschwitz non è l’aberrazione da dimenticare, ma il germoglio da portare nella vicinanza che più suona lontana. Che è ciò che riguarda la razza semita in quanto razza con la quale fare i conti.
Inesistenza delle razze
Adesso si sente sempre parlare della inesistenza delle razze. E infatti le razze non esistono: così come non esiste il mare, il cielo, oppure la terra. La parola “razza” è soltanto una parola che isola un aspetto di ciò che l’uomo non può cogliere e definire altrimenti, in relazione a un insieme che gli si pone di fronte come insieme comprendente l’aggregazione di aspetti del tutto diversi. Ma proprio per questo confermando la sua fiducia nello strumento risolutore della parola. L’indoeuropeistica si è trovata a dover affrontare da subito la questione. Quando si era cominciato a parlare di “razza indoeuropea” si era cominciato a porre la domanda se l’indoeuropeistica dovesse limitarsi allo studio delle lingue indoeuropee, limitandosi quindi all’aspetto linguistico del problema, o dovesse invece inglobare anche l’antropologia, giungendo così a formulare l’ipotesi di una razza indoeuropea parlante le diverse lingue indoeuropee. In realtà quanti parlavano nell’antichità l’indoeuropeo, o alcune delle lingue indoeuropee, costituivano un insieme che la parola “razza” può adesso cercare di esprimere, ma che non può cogliere nel suo insieme di piena stratificazione. Perché nessuna parola è fatta per esprimere un insieme stratificato, ma per fissare di esso un aspetto arbitrariamente quanto responsabilmente fissato. Questo anche perché la riflessione scientifica dell’epoca in cui sorge l’indoeuropeistica meno che mai era in grado di trovare una parola inequivocabile per afferrare quell’insieme, essendo già accaduto allora di dovere pensare in termini o di linguistica o di antropologia.