Alessandro Dal Lago: «Con questo romanzo [J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli], la vittoria del bene è conquistata al prezzo di una gigantesca regressione letteraria; come se tutto quello che è stato scritto dalla metà dell’Ottocento in poi non avesse più alcun significato; né Dickens, né Flaubert, né Tolstoj, né Proust, né Joyce, né Kafka e nemmeno Eliot o Pound – per non parlare di Freud o delle avanguardie letterarie.» (ADL, p. 248).
Questo comporta il doppio impegno imposto a noi come parte che legge: impegno come domanda che ci viene portata da Nietzsche (“Perché il bene e non il male?”); impegno come riflessione (“C’è la presenza di un Tolkien anticristiano, presenza che può essere seguita lungo i testi di Tolkien, che può portare a pensare un mondo possibile ‘oltre il cristianesimo’, che è ciò che è appunto ciò che noi non possiamo ancora pensare”), vale a dire: che cosa si può nascondere nel sottomondo letterario di J.R.R. Tolkien – quando l’arte di leggere chiama l’arte di scrivere?
Come uscirne?
È la terra a parlare attraverso i suoi scrittori, come vediamo da quanto Nietzsche ha scritto in merito allo sconcio ligure panorama, in quanto illusione di veduta, che pur ben tanto io conosco appena appunto da scorcio lercio mio, dico visione di teatro, contraffazione che viene da lontano, che meno che mai mi è di casa, fase usurpata di hliðskjálf: nella lettera 727 Nietzsche definisce la Riviera di Ponente della Liguria «l’unico angolo africano d’Europa» (FN, p. 225), dove vorrebbe attirarvi Heinrich Köselitz, maliziosamente, per osservarne gli effetti che questo potrebbe comportare sulla musica di lui: «Oramai mi pesa sulla coscienza il fatto di averlo attirato lì: mi sta moltissimo a cuore sperimentare che cosa ne sarà di un musicista tedesco nell’unico angolo africano d’Europa, dopo che si è dimostrato lo straordinario successo di Venezia (e del suo umido Oriente). – » (FN, pp. 225-26). Notare come alla musica tedesca, in questa visione di Nietzsche, si contrapponga insieme Africa ed Oriente, che nulla ha a che fare con l’Europa. Nietzsche richiama anche la descrizione fatta da Daudet dello stesso paesaggio nel suo romanzo Il Nababbo (FN, p. 226, il possibile brano è riportato nella nota alle pp. 1055-56, dove l’ingresso a Bordighera è accompagnato dalla descrizione di un esemplare in tutto nordafricano e di un tipo autoctono ma del tutto simile ad un nordafricano, che lì si conosce bene). Notare: gli Italiani, e qui si parla di Italiani del Nord Italia, sono paragonati ad africani, sia per il paesaggio contro il quale quelle cose manifestano la loro lurida, ingombrante presenza nel mondo, sia per il tipo fisico e il comportamento, che li qualifica come meticciato – a tutti gli effetti. L’impressione “africana” in questo scorcio d’Italia, da parte di Nietzsche, non è isolata: «Durante il viaggio verso Nizza ho avuto la netta sensazione e ho visto chiaramente che dopo Alassio c’è qualcosa di nuovo nell’aria, nella luce e nel colore: intendo dire di africano. L’espressione è assolutamente calzante: ho raccolto i giudizi di eccellenti conoscitori dell’Africa.» (FN, p. 279). Portofino, che giace nella triste riviera Ligure di levante, è invece contrapposto all’area africana nella lettera 757. Ma Nietzsche non poteva immaginare la marcia lesta marcia dell’africano migrante da più fronti in Europa: per cui solo noi, ora, possiamo dire che un italiano è l’aspetto più disgustoso del meticciato, una delle cose viventi pronte a schierarsi dalla parte del meticciato, quando sarà l’ora, cioè sempre contro la razza bianca nella battaglia a venire, battaglia che sarà la battaglia che vedrà contrapposte la razza bianca e l’antirazza.
Tolkien anticristiano
Quando, nel Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, Frodo entra nella Sala del Fuoco di Elrond viene salutato come “il Signore dell’Anello” da Pippin, che subito viene zittito da Gandalf, perché, come Gandalf precisa, “il Signore dell’Anello non è Frodo”: «“Urrà!” gridò Pippin, balzando in piedi. “Ecco il nostro nobile cugino! Fate largo a Frodo, Signore dell’Anello!” | “Ssst!” disse Gandalf dall’ombra in fondo al portico. “Le cose malvagie non entrano in questa valle; ma non per questo è il caso di nominarle. Il Signore dell’Anello non è Frodo ma il padrone della Torre Oscura di Mordor, il cui potere va di nuovo diffondendosi sul mondo. Noi siamo in una fortezza. Fuori abbuia.”» (JRRT, p. 267).
“Signore degli anelli” era solo una kenning usata nella poesia composta in antico nordico per indicare chi era in grado di riunire intorno a sé una banda di guerrieri per compiere incursioni e depredare ricchezze. Il bottino ottenuto da quelle incursioni veniva poi diviso dal capo di quella schiera, cioè sa quel “signore degli anelli”, tra quanti avevano compiuto l’incursione, cioè tra i suoi guerrieri, per cui si potevano avere signori degli anelli che ricompensavano con grande prodigalità i guerrieri al loro seguito, quanto signori degli anelli che non intendevano spartire molto del bottino così ottenuto. Un’intera epoca si poteva identificare con queste bande di guerrieri che si raccoglievano intorno ad un Capo, facendo affidamento su una ricompensa; mentre una nuova epoca poteva mettere al bando tutta questa ideologia basata sul Capo e la Schiera: che è quello che Tolkien ha fatto intitolando, fraudolentemente, il suo romanzo Il Signore degli Anelli, passando dal tempo in cui molti signori degli anelli erano possibili, munifici oppure no, ad un solo signore, che allora poteva essere solo il Signore degli Anelli, cioè il rappresentante del male assoluto.
D’altro canto, la precisazione di Gandalf indica la cosa più importante: Frodo non è il Signore dell’Anello perché, in questo caso, non c’è un bottino da dividere, perché, come si vedrà esaurientemente nel capitolo successivo, Il Consiglio di Elrond, il bottino ottenuto, cioè l’Anello, è proprio ciò che deve essere distrutto, anziché diviso tra i diversi partecipanti all’impresa che hanno permesso di portarlo a casa, che è appunto ciò che nello Hobbit aveva il nome di Ultima Casa Accogliente. La mancanza è ciò che riempe ciò di cui si parla come ciò di cui non si parla mai abbastanza.
L’insieme {Frodo e “il Signore degli Anelli ≈ Sauron/Óðinn”} comprende allora i due poli opposti di questa ideologia. Ruth Noel ha precisato come Sauron usasse le stesse armi di Óðinn per bloccare le schiere avversarie con la paura, vale a dire come Sauron fosse una ripresentazione letteraria di Óðinn (RSN, p. 145). «Non v’è dubbio che l’analogia tra Sauron e Odino è voluta da Tolkien. Quando menziona Odino nel suo saggio Sulle fiabe Tolkien lo chiama “il Negromante”, come Sauron, e allude a lui come il Signore del Massacro, titolo parallelo a quello di “Signore degli Anelli”.» (p. 145). Sauron è modellato su Óðinn: ha la capacità di terrorizzare gli eserciti nemici gettando lo scompiglio tra le schiere, è un grande mago e agisce da lontano, non entrando mai di persona nel campo di battaglia, è rappresentato come Occhio, così come Óðinn ha un occhio solo; il fatto che sia un Occhio di Fuoco lo collega al sole; gli dèi pagani avevano un aspetto ambiguo, ben evidente in Óðinn. Sauron è senz’altro l’unico grande personaggio pensato da Tolkien in tutta la sua opera, perché è ciò che lo collega a Tolkien in quanto Tolkien anticristiano. [Dumézil]
Tuttavia Sauron presenta un tema molto diffuso nei racconti popolari: la separazione dell’anima dal corpo e la messa al sicuro in un luogo difficile da trovare: che qui è l’Unico Anello.
Bisogna riconoscere che, per quanto Tolkien fosse un fervente cattolico, sono presenti nella sua opera dispiegata un richiamo allo Gnosticismo, almeno secondo due ali pienamente dispiegate lungo la sua opera: la presenza di un Demiurgo nell’opera della creazione divina, la quale comporta la successiva presenza di tre tipi di esseri viventi nel mondo.
L’opera della creazione è presentata da Tolkien nel Silmarillion come intervento di un Demiurgo nell’opera ufficiale della Creazione, che ha la forma di musica monodica, mentre il Demiurgo comporta l’intervento della polifonia nella musica sacra. L’intervento di un Demiurgo comporta la presenza di una terra celeste e materiale con la presenza di tre tipi di esseri viventi: un tipo che contiene la divinità, un tipo che possiede la facoltà di scegliere tra il bene ed il male, un tipo che è soltanto immagine della divinità, e che è condannata alla estinzione. Questo richiama le tre forme pensate da Tolkien: Elfi, Uomini, Orchi, che a sua volta richiama le tre forme indicate dai Valentiniani: Spirituali, Psichici, Ilici; per cui gli Spirituali erano parte della divinità e destinati per nascita alla salvazione; gli Psichici potevano scegliere tra il Bene e il Male, essendo essi dotati della facoltà del libero arbitrio, per cui solo una parte aveva accesso alla salvazione; gli ilici erano solo materia modellata in una certa forma, per rispecchiare l’immagine divina che non possedevano, per cui dovevano essere soltanto distrutti.
È importante ciò che sostiene Ted Sabbiaiolo nel locale Drago Verde di Acquariva: «Certo che di questi tempi se ne sentono di cose strane,” disse Sam. | “Se ne sentono eccome,” disse Ted. “Basta ascoltare. Ma le fiabe e le storielle per bambini posso sentirle a casa, se ne ho voglia.”» (TSDA, p. 63). In realtà le fiabe contengono una verità che urta i luoghi comuni che comporta la terra, così come il realismo mantiene invece in vita con tenacia ciò che non ha nulla a che fare con la terra in quanto terra da abitare. Il fatto che i draghi non compaiano nel Signore, sembra confermare in tutto l’affermazione di Ted Sabbiaiolo: «“C’è un solo Drago ad Acquariva ed è Verde,” disse, provocando una risata generale.» (TSDA, p. 64), vediamo che i draghi esistevano ancora nello Hobbit e, ancora prima, nel Silmarillion, ma non più nel Signore, come ha notato Ruth S. Noel, indicando, nel Signore degli Anelli, una diversa impostazione etica da parte di Tolkien rispetto al romanzo Lo hobbit. Quello che è certo è che Tolkien ha rivisto tutto quanto da lui scritto fino al momento di scrivere Il Signore, per cui questo è proprio ciò che azzoppa Il Signore degli Anelli.
Per una serie di motivi, è accaduto che Tolkien fosse letto in Italia in un primo tempo, molto altezzosamente, da destra, e in secondo tempo, altrettanto altezzosamente, ma questa volta da sinistra, e questo giustamente – giustamente, dico, perché l’Italia rappresenta l’aspetto più disgustoso del meticciato, da qualunque parte la sua cosiddetta “letteratura” possa infine muoversi. Questa è la cosa importante che deve essere pensata, nel momento in cui si pensa il passaggio di Tolkien da quanto scritto e non pubblicato da lui in vita, dal romanzo Lo hobbit e infine il romanzo Il Signore degli Anelli – cioè il passaggio, o falso tale, dal mito al romanzo. Dico che questo scontro, che ha contraddistinto l’Italia in quell’epoca, ha evidenziato ciò che è l’Italia: quell’ammasso bastardo che si raggruppa intorno allo slogan: “Pace e fica!”.
Oltre il Cristianesimo
La quadrilogia western di Larry McMurtry presenta uno strano comportamento da parte dei suoi rudi & spogli personaggi di cowboy & ranger, quando appena si trovano davanti la carcassa di un meticcio indiano (nativo americano), che fino a quel momento avevano combattuto e cercato di uccidere in ogni modo: prendono la pala e danno sepoltura a ciò che rimane di quella carcassa, così come avviene per ogni “corpo” (corpo di colono di razza bianca, carcassa di colono meticcio, carcassa di nativo americano) da essi trovato privo di sepoltura. La distanza tra razza bianca e meticciato è, in questa letteratura, che giustamente si basa su pretese storiche, come si vede, del tutto irrilevante, se non cancellata – insidiosamente, si può dire al di là della storia. Non così in Tolkien, dove al termine delle battaglie, gli elfi danno sepoltura a quanti sono caduti dalla loro parte, ma riuniscono le carcasse degli orchi in una catasta a cui appiccano il fuoco, come spazzatura di cui sbarazzarsi. In questo Tolkien è grande come scrittore, perché la grandezza di Tolkien come scrittore è in ciò che si può definire come “Tolkien anticristiano”.
Vediamo in questo una potente testimonianza del Tolkien anticristiano: se per i personaggi di Larry McMurtry il dato fondamentale è il fatto di essere tutti, misteriosamente, figli di uno stesso Dio che al momento della morte di ogni sua creatura deve essere riconosciuto, questo non vale per Tolkien, dove, almeno per la sua subcreazione, gli Orchi non sono stati creati dalla stessa mente divina che ha creato gli altri esseri viventi, ma da una intromissione nel progetto divino, che ha fatto niente più che un dispetto alla divinità.
Nel momento in cui, nell’opera di Tolkien, il mondo viene dotato di forma, e quindi di mitologia, è come se si stabilisse la differenza tra chi ha diritto di abitare il mondo e chi invece deve essere privato di questo diritto, cioè soppresso. (Qui va bene.) Due citazioni che devono essere collegate: gli Orchi sono le forme viventi che, nell’opera di Tolkien, non hanno diritto di abitare la terra, cioè le forme che devono essere soppresse, in quanto vita indegna di vivere: ricordare come, secondo Tolkien, gli orchi sono stati ottenuti: «Gli orchi sono degenerazioni della forma umana degli elfi e degli uomini. Sono (o erano) tozzi, larghi, con il naso piatto, la pelle giallastra e bocche larghe e occhi obliqui: una versione in brutto dei tipi mongoli meno gradevoli a vedersi (per gli Europei).» (TRIT, p. 309); quando giunge il momento in cui nella Terra di Mezzo compaiono gli Elfi, Melkor ne è subito al corrente e fa in modo di irretirli: ne rende alcuni schiavi e, dopo vari tentativi, crea da lì la razza degli Orchi: «Fu forse questa l’azione più abietta di Melkor, e la più odiosa a Ilúvatar.» (TIS, p. 55), sullo stesso tema viene poi detto: «[…] gli sconci Orchi che sono contraffazioni dei figli di Ilúvatar» (TIS, p. 326); la pura contraffazione della forma divina è ciò che lo gnosticismo riconosceva nella forma degli esseri ilici, che costituivano solo l’immagine vuota, cioè ciò che è destinato soltanto alla soppressione.
Tolkien cristiano/anticristiano ha creato la letteratura che viene ancora ritenuta fiabesca in quanto consolatoria, ma che non viene indagata a fondo nella sua generosa ambiguità, per cui vediamo un Tolkien delle Hobbiton costruite qua e là nei villaggi turistici e nei set abbandonati e nelle Associazioni di cui ha già parlato Alessandro Dal Lago, così come c’è un Dark Tolkien (Tolkien anticristiano) che è l’aspetto importante di Tolkien, quello sommerso, la piccola punta capovolta della montagna di ghiaccio, tanto interessante quanto pericolosa da esplorare, che è ciò con cui la letteratura ufficiale non vuole avere meno che mai a che fare, fidandosi del Tolkien cristiano, mentre è ciò che dovrebbe essere condotto ad essere pensato, perché l’aspetto di Tolkien anticristiano è ciò che supera quello che Dal Lago considerava come la regressiva vittoria, da parte di Tolkien, su tutte le avanguardie letterarie, per cui Tolkien è la rete che deve essere affrontata giù nelle profondità, mai in superficie.
Perché, chiedi tu, il bastardo italiano merita di essere colpito alle spalle, dopo averlo fatto strisciare come un verme (ormr)?
Ogni operazione di scrivere, si tratti di romanzi o di serie televisive, parte sempre dal principio: “Scrivere la frase dopo”, che comporta allora la scelta: “Come si ottiene la frase dopo?” per cui la frase dopo è il principio che permette di distinguere tra romanzo e serie televisive, così come, tempo prima, era ciò che permetteva di distinguere tra mito e romanzo – che è ciò che ricordava Alessandro Dal Lago. (Dico, io, a questo punto: ricordi le carcasse dei trecentotrentacinque italiani di merda fatti fuori, uno dopo l’altro, nelle Fosse Ardeatine? Dove sono andati?, chiedo io a questo punto, quei bastardi di italiani?)
Il fatto è che, approfondendo la questione Tolkien/McMurtry, vediamo che Tolkien è ciò che riesce ad andare oltre il cristianesimo, a differenza di McMurtry, che invece rimane prigioniero di quella visione, cioè di quella visione che è la visione storica: infatti la discriminante è la storia, che in McMurtry impone la presenza di personaggi storicamente limitati nel modo di pensare; mentre Tolkien ha avuto modo di liberarsi dalla “storia” con la sua teoria del mondo secondario creato liberamente dall’artista/scrittore. Come si evince dal libro di Alessandro Dal Lago, Tolkien ha creato il genere fantasy, ma il fantasy ha importanza se trova il modo di dire quello che la storia avrebbe invece impedito di dire, e quindi, in quanto libro, non avrebbe potuto dire. Nel fantasy il personaggio è il personaggio cristiano, mentre in Tolkien il personaggio è, nel migliore dei casi, ciò che indica oltre il cristianesimo, nel modo che difficilmente la letteratura può fare – questo grazie al gioco che Tolkien ha sempre riconosciuto al suo modo di scrivere.
Il personaggio in quanto nodo così inteso è allora quel nodo intertestuale che chiama la sacralità della terra in ciò che è chiamato a distinguere tra ciò che abita la terra in quanto ciò che si contrappone a quanto solo occupa la terra, oppure solo scorre la terra, animali o, in modo più inquietante, a ciò che è essere vivente contro ciò che è cosa vivente; così come la letteratura di fiaba di Tolkien si contrappone alla letteratura realistica di McMurtry – nel momento in cui la letteratura fiabesca di Tolkien può impostare la differenza tra Elfi ed Umani nei confronti degli Orchi; mentre, per la letteratura realistica di McMurtry, coloni di razza bianca, coloni meticci e nativi americani, sono soltanto manifestazioni dello stesso Dio che, sulla superficie della terra, hanno occupato campi diversi di battaglia – che è la superficie dove passa la differænza tra la letteratura come abbandono al gioco del bambino e la letteratura come superamento del gioco del bambino, questo perché non c’è un pensiero di razza – almeno una volta che si hanno le idee chiare su ciò che deve essere letteratura: ciò che tiene avvinghiata l’attenzione a un testo che si legge, o ciò che lancia l’attenzione oltre pensiero possibile stando a ciò che ha permesso a quel testo di formarsi? Ogni discorso sulla letteratura deve portare a interrogarsi sul personaggio, cioè su ciò che ha portato a credere nel personaggio, dopo che si è creduto in ciò cui si è dato nome “uomo”. – per cui, o la letteratura sarà il ponte più breve verso un pericolo che possiamo solo intravedere, o non sarà affatto.
Che cosa è, in Tolkien, il personaggio? In Tolkien il personaggio è ciò che prende forma in un periodo preciso della Creazione, perché Forma e Creazione sono strettamente lì collegati; la tanto notata sessuofobia o misoginia di Tolkien ha qui la propria origine: il personaggio non nasce dalla generazione comune, ma per un fatto temporale, legato appunto alla Creazione.
Il gioco del bambino. Il gioco del mondo. Il gioco delle perle di vetro. La letteratura come menzogna
Di che cosa parliamo quando parliamo di ciò che amiamo leggere – cioè quando parliamo di letteratura? da qui la questione della degenerazione nella letteratura, che è importante nell’arte di Tolkien come autore fondamentalmente cristiano, ma questione che può essere interpretata in quanto “Tolkien anticristiano”, perché ciò che qui si chiama “Tolkien anticristiano” è ciò che, per altra via, può essere definita come “pensare per razze”.
Faccio un esempio: vediamo che Gollum è importante nel piano della Creazione – pensato da Tolkien, come più volte indica Gandalf – perché Gollum è ciò che permette la distruzione dell’Anello, che il suo Portatore non avrebbe mai potuto effettuare, ma proprio qui fa capolino il cristianesimo di Tolkien, che vede l’importanza della creatura più disgustosa fra tutte nel piano più alto della creazione, creatura fra tutte più disgustosa che deve essere lasciata in vita anziché soppressa perché solo quella cosa, cioè la cosa più disgustosa tra tutte, può compiere ciò che l’essere investito del compito più alto tra tutti non può compiere (questo perché la creazione divina comporta l’esistenza dell’essere più disgustoso tra tutti, cioè l’esistenza di Gollum – ma, soprattutto, del principio della degenerazione, appunto perché il cristianesimo è sopravvivenza di ciò che è vita indegna di vivere), per cui l’essere più disgustoso e umile tra tutti è più Giuda che Cristo, secondo il pensiero di Nils Runeberg, appena immaginato nel racconto di Borges: distruggere l’Anello, ma questo è proprio ciò che annulla ciò che si era presentato come la cosa tra tutte la più estranea a livello di vita indegna di vivere: Tolkien anticristiano e Tolkien cristiano si richiamano all’infinito in un accoppiamento di simboli tesi tanto verso sinistra quanto verso destra, che richiama, comunque, quello che per noi deve essere l’accostamento, più che la scelta, cioè la formula distruttiva, più che l’offerta di conciliazione, per cui dovremmo avere qualcosa di questo tipo, posto che gli italiani, scarafaggi africani per provenienza; gli italiani, scarafaggi africani per nascita; gli italiani, scarafaggi africani per destinazione; gli italiani, scarafaggi africani per mia definizione; gli italiani, scarafaggi africani per scelta loro, accettassero di ritornare in sconcio loro loco di provenienza: la bieca Africa, che comunque per noi non andrebbe bene mai, perché vorremmo inseguirli fino a privarli – gli italiani, scarafaggi africani – di qualsiasi forma di vita, ma che per alcuni potrebbe essere fonte di un sano umorismo – almeno mi auguro, e io sarei anche pure tra quei pochi quelli, perfino qualcosa beffardo come la formula di questo tipo:
[ L’Europa alla Razza Bianca d’Europa ]
TSDA – J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli, traduzione di Ottavio Fatica, Giunti/Bompiani, Firenze-Milano 2023
TRIT – J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, traduzione di Cristina De Grandis, Bompiani, Milano 2001
TIS – J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, a cura di Christopher Tolkien, traduzione di Francesco Saba Sardi, Rusconi, Milano 1986
FN – Friedrich Nietzsche, Epistolario 5. 1885-1889, versione di Vivetta Vivarelli, Adelphi, Milano 2011
ADL – Alessandro Dal Lago, Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, il Mulino, Bologna 2017
RSN – Ruth S. Noel, Mitologia di Tolkien (1977), traduzione di Pier Francesco Paolini, Rusconi, Milano 1984