Pensiero antidemocratico – 2

Nietzsche è stato il primo vero artefice nei confronti della possibilità della formazione di un pensiero antidemocratico. Lo dimostra l’affermazione che ha sempre attraversato la sua opera, che noi ora possiamo considerare: “l’aristocratico non deve convincere, l’aristocratico comanda”. Tutto il pensiero di Nietzsche è un pensiero che si svolge in orizzontale aggredendo la filosofia a partire da quella affermazione che giunge improvvisa in verticale come un fulmine.
Così il pensiero antidemocratico è il blocco imposto al pensiero-chiacchiera che va avanti nella scacchiera di tutti i giorni.
Due sono i fattori che, secondo Nietzsche, devono accompagnare la comparsa di questo nuovo pensiero – o forse di tutta una nuova fase del pensiero: il ritorno della schiavitù e la necessità di sopprimere milioni di malriusciti. Che cosa fossero i malriusciti, Nietzsche lo ha precisato nell’Anticristo.
Dopo di lui Heidegger ha posto ulteriori elementi a favore della formazione di un pensiero antidemocratico. Lo dimostrano: la fine del ricorso alla teoria del soggetto nel progetto della filosofia; la possibilità di un nuovo inizio della filosofia, segnato dalla fine della metafisica; il rifiuto dell’umanesimo rinascimentale italiano e la conseguente separazione tra Grecia e Roma; il riconoscimento del nazionalsocialismo tedesco come nuova possibilità per la creazione di un concetto diverso di uomo; il rifiuto del concetto di essere umano come concetto fino ad allora accettato dalla filosofia tradizionale.
Prima di Nietzsche era stato invece Sade a intravedere la possibilità di un pensiero antidemocratico. In Sade l’ateismo realizzato diventa semplicemente il superamento dell’umanesimo. E quindi la possibilità di un nuovo modo di comporre testi.
In tutti e tre questi diversi pensatori, anche se in modo diverso, il rifiuto del cristianesimo è ciò che trae in modo fondamentale verso la possibilità della comparsa di un pensiero diverso.
Ma questo sempre perché il cristianesimo è la componente estranea che l’Europa deve scacciare dal suo interno. Così questo deve avvenire in quanto accettazione della questione della razza in Europa, che è la questione che, in Europa, finora non è stata posta.
Questo perché Auschwitz non è l’aberrazione da dimenticare, ma il germoglio da portare nella vicinanza che più suona lontana. Che è ciò che riguarda la razza semita in quanto razza con la quale fare i conti.

Cacciatori di nazisti

A volte Emmanuel Faye mette proprio di buonumore: «L’uso della parola Negerkral [da parte di Heidegger] è la cifra di un razzismo profondamente radicato. Raramente utilizzato, il termine tedesco Kral deriva da Kraal, parola olandese che sta per “villaggio”, che ritroviamo nell’inglese corral e che, in Sudafrica, designa il recinto per il bestiame: non siamo lontani dal “parco zoologico umano” di Peter Sloterdijk. Negerkral significa dunque “villaggio di negri”, o peggio: “recinto per negri”. Evidentemente, per il profondo razzismo di Heidegger il fatto di accostare l’Acropoli a un villaggio africano costituisce di per sé uno scandalo che non c’è nemmeno bisogno di commentare. La connotazione razzista di questo brano ci ricorda cosa già diceva dei “negri” e dei Bantu nei corsi del 1934.» (p. 360).
I cacciatori di nazisti fanno sempre più l’effetto degli sgangherati cacciatori di vampiri messi in scena in un film di qualche anno fa. Ma anche di quelli che si vedono caracollare nella pellicola dell’italo-americano Tarantino. È gente che fa sempre un po’ pena, ma pure non ha fatto il suo tempo.
Il nazismo aveva una ideologia favorevole alla formazione di un grande pensiero filosofico. Come dimostrato dal pensiero di Heidegger, che pure Faye non riconosce come pensiero. Egli infatti, quando deve parlare della filosofia di Heidegger, lo fa ponendo il termine filosofia tra virgolette, e la stessa cosa quando parla del filosofo Heidegger. Nel paragrafo “Il pericolo dell’opera di Heidegger e la sua discendenza negazionista” del nono capitolo discute sulla possibilità che l’ammirazione per il pensiero di Heidegger possa condurre di riflesso a una ammirazione per il nazismo, che quel pensiero ha prodotto.
Il nazismo era già di per sé “un altro inizio”. Qualsiasi altro inizio deve porsi sotto il segno di una opposizione assoluta al mondo giudaico-latino. Questo mondo, pur agendo come tale, non si riconosceva in quanto mondo, poiché si appellava a un vuoto dove i pensieri potevano manifestarsi. Tantomeno si riconosceva come razza. Il nuovo inizio, in quanto mondo germanico, riconosce il nuovo mondo e la razza che lo abita come insieme di caratteristiche indispensabili per la formazione del nuovo pensiero. È quanto Heidegger riconosce nel saggio Perché restiamo in provincia?, che Faye liquida come ideologia völkisch. Il nazismo si proponeva concretamente come l’alternativa germanica. Il nazismo non ha prodotto Heidegger, tanto meno Heidegger ha fatto in modo di “introdurre” il nazismo nella filosofia, ma opporsi alla visione del mondo giudaico-latino a favore della nuova visione del mondo germanica doveva per forza provocare un insieme che – per semplificare – comprende tanto il nazismo quanto Heidegger.
La domanda è fino a che punto sia ancora utile rimanere attaccati ai vecchi giudizi sul nazismo. Questi giudizi nascono invariabilmente dalla visione giudaico-latina del mondo e dalla sua difesa.
Che cosa è che spinge il pensiero di un filosofo? Tante cose. Se una di queste fosse la razza? Faye sembra a disagio davanti a questa possibilità, che pure la sua indagine sembra intravedere. Dall’io al noi. Ma anche l’io ha avuto le sue genealogie plurali.
Nel paragrafo “Dal revisionismo della risposta a Marcuse al negazionismo ontologico delle conferenze di Brema” (capitolo nono), giustamente Heidegger pone la domanda se le persone soppresse nei campi di concentramento nazisti siano mai realmente morte, visto che per la sua filosofia solo attraverso il raggiungimento dell’essere si può accettare autenticamente la morte. Nella filosofia la nozione di essere umano deve avere una valenza filosofica. Per cui, grazie a tale valenza, si può arrivare a dei paradossi se giudicati con il senso comune: l’individuo è immortale, come afferma certo idealismo, ad esempio quello di Gentile; certi uomini non muoiono mai, anche se vengono uccisi, come Heidegger può affermare in base al suo pensiero.
Faye precisa molte volte che l’intento di Heidegger sarebbe quello di distruggere la filosofia. Ma ogni innovatore fa piazza pulita. Nietzsche ha fatto lo stesso. «Io sono dinamite» diceva di se stesso. Nietzsche fa una vita randagia, nascosta, tutta ripiegata sulla sua opera segreta. Heidegger occupa un’altra posizione: carriera brillante, notorietà, conferenze, visibilità, ma il principio è lo stesso: distruzione del vecchio modo di pensare; apertura verso un altro tipo di pensiero, filosofia dell’avvenire. La filosofia di Heidegger può sembrare accademica, mentre quella di Nietzsche può spaziare verso l’antifilosofia, la lirica, il libro profetico. Ma l’intento è lo stesso: è un nuovo pensiero, sconcertante, che si fa avanti. Nel suo modo di affrontare “il problema Socrate” Nietzsche si scaglia contro la dialettica, l’arte di convincere con le argomentazioni del discorso ordinato proprio perché egli vede in essa la fine dell’aristocrazia, della razza greca. E infatti vede in Socrate il non greco, lo straniero, l’eversore di una grande tradizione. Giustamente dal suo punto vista, Faye rimprovera a Heidegger di non considerare mai Socrate: «Non sorprende quindi che nelle decine di migliaia di pagine che Heidegger ha lasciato non si trovi pressoché alcun riferimento a Socrate. Alla dialettica, che a partire da Platone permette la vitalità del dialogo filosofico e fonda l’esigenza intellettuale dell’interrogazione sui concetti, egli ha sostituito l’uso dittatoriale della parola ed esaltato la lotta, da condurre fino all’annientamento del nemico.» (p. 448), ma questo dimostra appunto che la questione è affrontata da Faye a rovescio.
Compito della filosofia è favorire un nuovo pensiero. È essere il nuovo, nonostante tutti i paradossi e le contraddizioni che questo nuovo, non ancora comparso appieno, possa portare nel pensiero ereditato dalla tradizione.
A volte Faye ha l’incanto di lasciare di stucco: «[…] in seguito alla sconfitta della Germania nazista Heidegger modificherà ancora una volta il suo discorso secondo il corso dell’‘evento’, affermando da quel momento in poi che “questa guerra mondiale non ha deciso nulla”. Eppure si tratta di una guerra che ha liberato l’Europa dalla dominazione nazista.» (p. 381).

Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, Roma 2012 (I ed. Albin Michel, Paris 2005)

Gramsci e il superuomo

1) Quel piccolo burocrate del pensiero che era Gramsci faceva una distinzione tra il superuomo che compare in Nietzsche e il superuomo a cui si rifacevano quelli che, nella sua nota, venivano definiti «nicciani»; Gramsci, tuttavia, non specificava chi egli intendeva col termine «nicciani». Solo il superuomo dei nietzscheani sembrerebbe così derivare dai protagonisti dei romanzi d’appendice, anziché derivare dalla filosofia di Nietzsche. (Quaderni dal carcere, vol. III, pp. 1879-1882, ved. anche vol. III, p. 1685).
2) Tuttavia il riferimento potrebbe funzionare anche per Nietzsche. Bisogna però togliere la puntualizzazione circa i romanzi d’appendice. Il superuomo potrebbe derivare dai protagonisti di alcuni romanzi, non solo dai protagonisti del sottogenere dei romanzi d’appendice.
3) In un frammento del novembre 1882-febbraio 1883, Nietzsche caratterizza il superuomo in questi termini: «Nel superuomo si trovano per sovrabbondanza di vita le stesse manifestazioni che si conoscono nei fumatori di oppio e la follia e la danza dionisiaca: il superuomo non soffre delle conseguenze.» (F. Nietzsche, Frammenti postumi 1882-1884, in Opere, VII/1/1, 4 [75], p. 125.)
4) Questo aspetto del superuomo è stato sempre ignorato, soprattutto da Heidegger.
5) Il superuomo di Nietzsche, partendo dal frammento sopra riportato, sembra caratterizzarsi come decostruzione dei protagonisti dei romanzi (non necessariamente dei soli romanzi d’appendice). Questa decostruzione investe il personaggio che compie azioni trasgressive, azioni che non lo vincolano in nessun modo per quanto riguarda le conseguenze. Si ha quindi un abbandono del naturalismo tipico del romanzo?
6) Ma Heidegger fornisce qui la migliore definizione del superuomo: «Per questo noi ci possiamo appena rappresentare il modo in cui devono ‘essere’ – e devono invero appartenere all’Essere e alla fondazione della sua verità – ‘qualcosa’ e qualcheduno che non ‘producano effetti’ e non si lascino alle spalle alcunché di compiuto.» (M. Heidegger, Ernst Jünger, Bompiani, Milano 2013, p. 477). Così Heidegger affossa quello che può collegare ad un progetto. A quanto di vecchio c’era nel progetto.

Su Lou von Salomé

Abbozzo di Nietzsche per una lettera a Lou von Salomé (prima di metà dicembre 1882):

«Fino a oggi non ho mai frequentato una p<ersona> misera come Lei
«ignorante – ma acuta
«ricca nello sfruttare ciò che sa
«priva di gusto, ma ingenua in questo difetto
«sincera e schietta nel particolare, di solito per orgoglio; in generale, per quel che riguarda l’atteggiamento complessivo, insincera (malata per eccesso di lavoro ecc.)
«Priva di qualsiasi tatto nel prendere e nel dare
«senza sentimento e incapace di amore
«nell’affettività sempre morbosa e prossima alla follia
«priva di gratitudine e di pudore verso chi le è benefattore
«infedele, e pronta a sostituire nei suoi rapporti qualunque persona con qualunque altra
«incapace di gentilezza d’animo
«avversa alla purezza e al candore dell’anima
«spudorata nell’esibizione dei propri pensieri, violenta con se stessa nei dettagli
«inaffidabile
«non “per bene”
«grossolana nelle questioni di onore
«mostruosa la negatività
« “un cervello con un principio d’anima”
«carattere del gatto – l’animale da preda che si atteggia ad animale domestico,
«la nobiltà come reminiscenza del contatto con persone più nobili
«una forte volontà, ma senza un grande oggetto
«priva di diligenza e di pulizia
«priva di senso civico
«sensualità crudelmente deviata
«tardivo egoismo infantile conseguente all’atrofia e al ritardo della sessualità
«capace di entusiasmarsi
«senza amore per il p<rossimo>, ma amore verso Dio
«bisogno di espansione
«astuta e perfettamente padrona di sé in relazione alla sensualità maschile»

Sono qui elencate le caratteristiche che distinguono l’attuale “donna in carriera”. Che si tratti di carriera intellettuale o no è irrilevante. La donna vi appare come qualcosa più vuoto dell’uomo. E più degno di essere disprezzato. Non che l’uomo sia esente da colpe. Tutt’altro! Ma nell’uomo c’è sempre qualcosa di più autentico. La donna, in questo campo, è qualcosa di più rozzo. Miguel Serrano: «L’uomo non vive di solo pane. La donna, sì.». Sarà forse perché, nella donna. manca l’aspetto realmente innovativo, capace di dare una svolta a ciò cui mette mano. Allo stato attuale la donna rimane una brutta copia dell’uomo. E in questi casi dell’uomo cattivo.
Deve infatti essere chiaro che l’emancipazione della donna non ha comportato altro che la creazione del tipo “donna in carriera”. Il lavoro non determina niente. La donna ha sempre svolto un lavoro, presso qualunque civiltà. Niente di più, poiché questo tipo è appunto il tipo adeguato alla modernità. Che è ciò da cui è stato promosso l’emancipazione della donna. Questo può dipendere dal fatto che la modernità non assegna una precisa funzione alla donna, come succedeva nelle società tradizionali. Poiché ha rinunciato a questa funzione.
Si potrebbe aggiungere che c’è un qualcosa che collega questo tipo di donna al mito del matriarcato, che, secondo gli ultimi risultati dell’etnologia, non sarebbe mai esistito. L’emancipazione della donna potrebbe così essere collegato a un falso mito – quale è il matriarcato.
La situazione è che Nietzsche vedeva la donna intellettuale come erede delle peggiori qualità dell’uomo intellettuale e se stesso come l’unico in grado di spezzare il meccanismo. Cioè il meccanismo della riproduzione del vecchio filosofo – o del vecchio intellettuale, come si preferisce dire adesso. Meccanismo che coinvolge uomini e donne, già allora intercambiabili. Poi, per quanto riguarda Nietzsche, si ha la quasi contemporanea comparsa di Zarathustra.

Friedrich Nietzsche, Epistolario, IV. 1880-1884, Adelphi, Milano 2004, pp. 279-280.
Miguel Serrano, Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010, vol. II, p. 597.

L’opera futura

Una incognita grava sulla possibilità di un’opera futura. Soprattutto c’è da chiedersi: “ci sarà ancora l’opera?”
Nietzsche era consapevole che una parte del suo pensiero doveva essere comunicato solo oralmente: riguardava una parte che non poteva essere letta, ma che doveva vivere nelle persone che l’avevano udita dalla sua voce. «Insomma, per dire tutta la verità: in questo momento vado cercando persone che possano raccogliere la mia eredità; io porto dentro di me diverse cose che non si possono assolutamente leggere nei miei libri – e per queste sto cercando il terreno migliore e più fertile.» (F. Nietzsche, Epistolario, vol. IV. 1880-1884, Adelphi, Milano 2004. Lettera 249, a Lou von Salomée, pp. 199-200).
Una parte di un pensiero si determina così come rifiuto di un’opera, cioè della dell’opera scritta. Intesa in senso tradizionale. Il pensiero si oppone alla stesura scritta del pensiero. Esso deve essere movimento, e fare presa su persone in movimento.
Forse la letteratura, un giorno, avrà posto solo nel pensiero. Un pensiero allenato apposta per dare vita alla letteratura e a ogni forma di saggistica, o di filosofia. E non ci sarà più bisogno dell’opera scritta.