Pensiero antidemocratico

Pensare il pensiero di Nietzsche vuole dire affrontare la possibilità di un pensiero antidemocratico, ponendosi – finalmente – in cammino verso la creazione di un pensiero in grado di funzionare su basi  antidemocratiche, anche solo in quanto pensiero.
Un pensiero libero, condizione indispensabile per qualsiasi nuovo pensiero, non può fare a meno, a partire da adesso, di avere l’aspetto di un pensiero antidemocratico, riconoscendo nella qualifica di “democratico” l’elemento fondamentale di tutti i mali e di tutte le cose da superare, cose che fanno capo a ciò che può essere definita la modernità, e ad essa connessi, aggirando quelle leggi che, non presenti da nessuna parte, condizionano il pensiero.
Non si è ancora concretamente pensato Nietzsche sotto l’aspetto del pensiero antidemocratico, cioè del pensiero nuovo. Questo perché non si è mai pensato Nietzsche integralmente. Eppure, la migliore e più convincente manifestazione di pensiero antidemocratico la si è avuta – finora –  con il pensiero di Nietzsche.
Niente è più difficile che essere l’artefice di un pensiero antidemocratico.
Nietzsche lo è stato, ma poi quanti altri lo sono stati?
Si può dire che il pensiero di Mishima fosse autenticamente antidemocratico? Quanto vecchiume del romanzo occidentale si è trasferito in quella arte “giapponese” della narrazione? Pensare in modo antidemocratico vuole dire creare una forma artistica inusitata, paradossale, che faccia sempre sorgere la domanda alla quale, per ora, non c’è risposta: “Che cos’è questa cosa che abbiamo davanti?”
Infatti sono le certezze più solide che devono franare, anche solo quelle che fanno riferimento a una forma consolidata.
Se la domanda si sposta al punto di passaggio tra pensiero non libero e pensiero libero (“fino a che punto il pensiero può essere libero?”), bisogna allora ricordare Sade: l’uomo più incarcerato della sua epoca e insieme l’uomo più libero tra tutti quelli della sua epoca.
Ma il pensiero antidemocratico è la possibilità che non cessa di minacciare continuamente la modernità.

Superuomo e postmoderno

La narrativa postmoderna rappresenta una scollatura del rapporto tra il soggetto e gli infiniti oggetti del mondo tutti ormai a sua disposizione. Il soggetto non si riconosce più come superuomo in quanto esponete della compiuta manifestazione dell’epoca della metafisica, e fa un balzo indietro rispetto a quanto formulato in proposito da Nietzsche.
Nietzsche aveva individuato nel superuomo l’esponente della compiuta manifestazione dell’epoca della metafisica.
Ma come portare a rappresentazione il dominio effettivo del mondo? E, a livello di letteratura, come rappresentare la realizzazione del dominio effettivo del mondo? Gli appunti, risalenti al 1888, sui nuovi futuri padroni del mondo, stesi da Nietzsche, sono ancora tutti da pensare – perché, troppo velocemente, sono stati liquidati come argomenti che non meritano di essere pensati. Ma forse, per quanto poco considerati, danno vita a un qualcosa, ancora non considerato, nel campo della sotto-letteratura e del cinema. Ma da proprio da questi campi, sotto-letteratura e cinema, si fa vivo il postmoderno.
Ogni frase, scritta nell’epoca del compimento della metafisica, porta con sé il paradiso, porta con sé l’inferno.
L’ipotesi del superuomo di Nietzsche andrebbe articolata secondo due possibilità:
1) l’ipotesi del superuomo vero e proprio (con esito verso un pensiero disantropomorfizzante);
2) l’ipotesi dei futuri padroni del mondo (con esito verso il ripescaggio di un pensiero antropomorfizzante di tipo tardo-romantico).
Il postmoderno presenta una narrativa dell’epoca della compiuta realizzazione della metafisica attraverso l’esclusione dell’ipotesi del superuomo. Così qualunque soggetto è un soggetto in balia della totalità degli oggetti del mondo, ma tutti a sua completa disposizione. È in questo bilanciamento ciò che porta alla biforcazione del caso Italia e del caso Giappone.
Per quanto riguarda la possibilità di una narrativa basata sul superuomo (come esponente dell’epoca della compiuta manifestazione della metafisica), l’Italia ha mostrato le due possibilità antitetiche: la narrativa di Gabriele d’Annunzio, nella quale il superuomo era tutt’uno con il protagonista (Il Fuoco); la narrativa di Umberto Eco, nella quale il superuomo non è considerato come ipotesi degna di attenzione, e il romanzo può sorgere, appunto, grazie alla negazione concreta del superuomo.
Nel romanzo postmoderno ogni cosa del mondo, compresa la stessa letteratura, diventa qualcosa simile a un parco giochi; diventa la stesura letteraria di un video-game, e anche la stesura letteraria di un gioco di ruolo. Il postmoderno è una sosta confortevole, la sosta nel luogo in cui si atterra alla fine del balzo che porta – adesso – a situarsi nel luogo prima della formulazione della teoria di Nietzsche circa il superuomo.
Per avere una reale contrapposizione a questo “caso Italia”, è necessario ricorrere, ancora una volta, al “caso Giappone”.
La questione che così viene posta al romanzo, è del tipo: “Se il romanzo è storiografia, di che cosa si fa allora storiografo il romanziere? ”
L’odiosa ideologia “buonista”, che il postmoderno ha rappresentato tramite i romanzi di Umberto Eco, non è l’unica manifestazione della narrativa postmoderna. La narrativa di Murakami Haruki ne ha infatti presentato tutta un’altra possibile forma. Ugualmente detestabile. Così, in Giappone il postmoderno ha dato origine a una geometria del caos e a una parallela geometria del caso; mentre ha dato origine, nella maledetta Italia dalla tormentata anima massonico-risorgimentale, a un impegno sociale, centrato sulla infinita e nascosta predica buonistica. La differenza può consistere in ciò che fa del Giappone il più grande produttore di golem del pianeta, secondo le parole di Miguel Serrano, e che invece ripiega l’Italia in un ridicolo progetto di mobilitazione globale dal fine vagamente utopistico e rosato, progetto che mette in berlina il grande senso di colpa che lo anima e lo istupidisce.
Ma si tratta sempre di tutta la stessa forma che, di soppiatto, mette le mani in tasca per borseggiare.
Il Giappone si pone come il più grande produttore di golem del pianeta. Il più grande produttore di prodotti che sporcano il mondo. Prodotti fatti per giocare, come quelli che provengono dagli Stati Uniti. Il cinema prima di tutto. Prodotti fatti per non pensare. L’Italia si pone su tutto un altro piano della replicazione golemica: spassionata dichiarazione di adesione alla propria malinconica ideologia in quanto unica ideologia delle diverse ideologie del passato. Ma ideologia del senso di colpa, prima di tutto. Nella Terra della Sera, quanto sbandierato dalla maledetta Italia è solo lo straccio di ciò che rimane delle ideologie cristiano-ebraico-socialiste, straccio a brandelli in un mondo senza vento.
La differenza è che il Giappone è l’artefice della replicazione golemica che sporca il mondo, mentre l’Italia è la sporcizia stessa della replicazione golemica, ma ad arte creata apposta per ripulire la propria coscienza – mai affrontata da uno sguardo non compiacente.
Il postmoderno è la ricaduta verso una antropomorfizzazione di tipo tardo-romantico.
Al di fuori del postmoderno, l’aspetto più emblematico verso cui il pensiero può essere condotto è quello che ne permette l’articolazione in termini del tutto disantropomorfizzanti. Si avrebbe così un pensiero la cui caratteristica fondamentale sarebbe – appunto – la disantropomorfizzazione a livelli attualmente inimmaginabili. Questo pensiero sarebbe il pensiero più adatto per la nostra epoca.

Un vezzo di Miguel Serrano

La simpatia che Miguel Serrano dimostra verso gli Italiani lungo tutto Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, unita all’antipatia nei confronti di Spagnoli e Giapponesi, costituisce un’abitudine strana, cattiva e ricorrente: un vezzo, appunto.
Ecco i brani in questione:

«Quella Spagna invertebrata, nazione dove è passato a predominare l’elemento aborigeno iberico, quella brutta razza, scomparso quasi integralmente l’ancestrale visigotico, con il suo meticciato indesiderabile, di mori e giudei, soffre dello stesso male del continente di sua creazione: l’America.» (AV, I vol., p. 79).
«Così sono gli italiani. Sono disposti ad iniziare imprese rischiose ed individuali. Sono, inoltre, precursori, creatori geniali.» (AV, I vol., p. 80).
«Tuttavia, la bella “razza del corpo” dell’Italia di oggi è un risultato della selezione razziale che si fece negli ultimi anni del fascismo, sotto l’hitlerismo. Magari in Spagna fosse accaduto altrettanto.» (AV, I vol., p. 120).
«Hitler rispettava ed ammirava il Giappone, per il suo codice dell’onore samurai, ma avrebbe preferito non averlo come alleato, ne sono sicuro. È un fatto che i giapponesi lo tradirono non dichiarando la guerra alla Russia, la qual cosa l’avrebbe aiutato a trionfare.» (AV, I vol., p. 78).
«A proposito dei giapponesi, essi non capirono il dramma e fecero solo il proprio gioco. Dopo l’ultima guerra, si sono trasformati in maniera così dannosa per il mondo come i giudei, meccanizzando tutto e sporcando la terra con il loro commercio di materie “deperibili”. Si sono giudaizzati fino alle ossa.» (AV, I vol., p. 78).
Con l’arrivo in Giappone «del massone Mac Arthur» (AV, II vol., p. 414) viene distrutta la monarchia solare, «trasformando il paese nel più grande produttore di “golem” del pianeta.» (AV, II vol., p. 414).

È evidente che Italiani e Giapponesi sono collegati in qualche modo, anche solo per essere stati alleati di Hitler. Bisogna quindi ricorrere a una lettura che riveli le possibilità di questa corrispondenza.
Gli inizi del popolo e della lingua giapponese sono tuttora poco chiari. Gli studiosi propendono per due ipotesi: una, di tipo meridionale, che vede l’origine della cultura giapponese in regioni del Pacifico a sud del Giappone; l’altra, di tipo settentrionale, che situa tali origini nell’Asia e la successiva introduzione in Giappone tramite la Corea (JP, p. 22).
Il Giappone ha sempre accettato influssi stranieri, soprattutto cinesi, ma li ha sempre trasformati in qualcosa di autenticamente nuovo, in cui manteneva una grande posizione gli elementi autoctoni di pensiero, come è avvenuto per il buddhismo zen.
Se alla base di ciò che riguarda il Giappone c’è un mistero, l’impossibilità di stabilire dati certi a livello di lingua e di razza, tutta la storia certa del Giappone mostra la creazione di una aristocrazia dello spirito, con una determinatezza di tipo nicciano. Così il Giappone, la Terra del Sole che Sorge, è la precisa contrapposizione dell’Europa in quanto Terra della Sera. Anche l’apparente resa totale del Giappone all’era della tecnica è un modo per distruggere attivamente un passato, che però non viene mai rinnegato, semplicemente distruggendo la terra tutta, sporcandola con l’invasione della materia deperibile. (Un qualcosa che richiama la pratica di “vincere perdendo” ricordata da Serrano.)
Se dalla Terra del Sole che Sorge passiamo alla Terra della Sera, notiamo una inversione degli elementi in ballo: da un mistero delle origini, si passa a una certezza delle origini; dalla formazione di una aristocrazia dello spirito, si passa al confronto, alla coesistenza, e poi alla tolleranza di un meticciato sempre più invasivo e sempre meno inteso come estraneo.
È solo una questione di stile in entrambi i casi, e lo stile è una questione di silenzio.
Se la creazione della razza è il Sole che Sorge sul Giappone, il meticciato è l’ombra che si allunga sulla Terra della Sera, ma è anche la metafora che getta luce di silenzio sulla Terra della Sera. Il meticciato è infatti l’Ombra che la Terra della Sera deve affrontare in quanto propria ombra.
L’Europa deve fare i conti col meticciato di tipo slavo e mediterraneo. Spagnoli e Italiani sono ciò che propriamente riguarda il meticciato mediterraneo presente nella Terra della Sera.
In nessun altro luogo il meticcio italiano ha potuto esibire la povertà spirituale della propria mente come nella musica. Per lui la musica è pura fissità di un ticchettio perpetuo di accenti: ora un po’ più veloce, ora un po’ più lento. Questo è il segreto della musica di Rossini e di Verdi. Ed è per questa ragione che la musica italiana non dice assolutamente niente; è picchiettio, e non musica.
Nella musica gli Spagnoli hanno una certa grandezza. Così come nella letteratura. La letteratura spagnola è superiore a quella italiana, praticamente inesistente. Finalmente Asín ha sputato in faccia a Dante i suoi versi. Tutta la storiella della letteratura italiana andrebbe ora affrontata dal punto di vista dell’impronta meticcia che la razza italiana vi ha di volta in volta impresso.
Pensare a Jordi Savall. Gli Italiani riversano nella musica tutta la volgarità del loro meticciato. Lo fanno senza starci a pensare (perché la musica italiana è priva di quell’unica cosa senza la quale non esiste musica: il pensiero), fidandosi della musica, ma la musica li tradisce. Quale arte, infatti, è così capricciosa, imprecisa e traditrice come la musica? È la fedeltà assoluta nel ticchettio regolare del tempo accademico che fa del meticcio italiano la realizzazione assoluta della ripetizione golemica. L’accademismo è infatti proprio ciò che sta alla base della ripetizione golemica. E la creatura golemica per eccellenza è adesso il meticcio italiano, in qualunque parte del mondo si nasconda.
(Anche per questo ho sempre definito gli Italiani “Ebrei senza intelligenza”.)
Così il meticciato è la teoria che non può essere formulata né applicata, ma che, di per sé, fa prendere al pensiero strade fino ad allora imprendibili. Lo fa evolvere, appunto, ma insieme blocca la possibilità di ogni pensiero tradizionale, secondo una logica simile a quella rintracciata da Heidegger a proposito della teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche.
Scrivere (come pensare) è sempre una questione di parole in ballo.
L’attenzione alla bellezza in tutto ciò che attiene a ciò che è giapponese, da parte di ciò che è giapponese, è il riconoscimento della bellezza della Terra del Sole che Sorge, dell’intreccio della bellezza dei suoi animali con la bellezza dell’andirivieni delle sue stagioni, cioè il suo appartenere al divino. Il riconoscimento di questa bellezza, attraverso ogni atto della vita in Giappone e attraverso la poesia, è il ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo. Nella Terra della Sera, il riconoscimento di una simile bellezza, e il ringraziamento agli dèi per la bellezza del mondo, è ciò che fa del poeta la creatura più povera della Terra della Sera.
Perché se l’Europa è la Terra della Sera, la penombra distesa dal meticciato è solo la falsa sera in ciò che non ha terra.
Grazie alla sua spinta verso la creazione di una razza, il Giappone ha potuto chiamare la bellezza in ogni punto lungo la sua strada; laddove la Terra della Sera si è trovata a incamminarsi sulla strada che porta alla pratica di una estetica del brutto sempre più esasperata, per poi intravedere il cammino che porta alla formulazione del concetto di “arte degenerata”.
Il Giappone ha riempito il mondo di prodotti golemici alla fine della sua traiettoria solare, così come l’Italia, in tutta la sua esistenza di nazione-pipistrello, ha riempito e continua a riempire il mondo dei peggiori criminali.
Gli Italiani meritavano la stessa sorte toccata a Zingari ed Ebrei. Così come l’Italia meritava il lancio delle bombe atomiche. L’errore profondo di Hitler è stato allearsi con gli Italiani, da sempre popolo di traditori, infidi e meticci; popolo della penombra, del crimine e dell’infamia. Non ha invece sbagliato ad allearsi col grande popolo giapponese, che mai lo ha tradito.

Italiani bastardi!
Dio stramaledica l’Italia!
Dio stramaledica i meticci!

 

 

          AV     M. Serrano, Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, 2 voll., Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2010.
          JR     H. Byron Earhart, Japanese Religion. Unity and Diversity, Thomson Wadsworth, Belmont (CA) 2004.

Esperienze

Esperienze:
     Gianluca Casseri
     Anders Behring Breivik
     Varg Vikernes
     Mishima
              Il padiglione d’oro
              Il discorso sul tetto

      Esperienze di dissociazione da come va il mondo.
             Ma con passi di colomba lo studioso si allontana dall’accademia.

      (Dio stramaledica gli Italiani!)
      (Dio stramaledica quel popolo di bastardi!)

      I ricordi d’infanzia sono angoli rubati al tempo, scorci, prospettive incombenti, scorci, geometrie non euclidee rese architetture espressionistiche.

     Diverse scienze hanno dimostrato la presenza di un linguaggio anche nel caso degli animali. C’è un linguaggio e una cultura umana tanto quanto un linguaggio e una cultura degli animali. Ma solo gli esseri umani sono le creature che, oltre a usare il linguaggio, ricevono la chiamata da parte del linguaggio. Da qui uno dei fenomeni più misteriosi e affascinanti dell’essere umano: l’estrema pericolosità delle sue idee.

Solo un facitore di parole

Mai dire di uno scrittore: «È nostro!» È sempre la gabbia che scatta intorno a tutti!
Il bello delle idee di un filosofo sta nella pericolosità. Tutte le idee dell’uomo hanno la bellezza di molte diverse pericolosità. Qualunque idea è pericolosa. L’appropriazione di una idea da parte di qualcuno fa perdere sempre qualcosa di questa pericolosità indefinita. Allora sopraggiunge la piattezza della interpretazione.
Uno scrittore, un filosofo, un poeta dovrebbe essere caratterizzato proprio a partire dalla sua insofferenza verso un sistema ordinato di uso delle parole.
Filosofia e poesia sono ciò che permette di sfuggire alla gabbia che condiziona la vita di tutti i giorni. Infatti, poesia e filosofia sono un inciampo nella vita di tutti i giorni.
Ma il filosofo e il poeta possono sfuggire alla gabbia che condiziona l’uomo comune proprio in quanto possono sfuggire alle leggi della psicologia comune. Che è quanto la critica di tutti i giorni tende loro a negare.
Il poeta rende vere le parole di una lingua quando, solo per gioco, in una luce che è appena d’alba polare, ne illumina l’aspetto di crepuscolo del gioco. È stato più volte detto che la parola usata dal poeta non è la stessa parola usata dal giornalista, nel momento in cui il giornalista usa quella stessa parola.
Il poeta è solo “un facitore di parole”, “ein Worte-macher”, per usare le parole lontane di Nietzsche.
Però niente deve ricordare la parola del poeta, perché poeta è colui che affida la propria parola al mondo che rigetta la memoria.
Allora uno scrittore non deve essere un punto dove tutte le linee di una personalità coincidono, ma un insieme teorico da cui serie sempre diverse si dipartono per disperdersi. La fantasia di una metodologia di questo tipo è stata applicata da Hugh Kenner nello studio L’età di Pound.
Da qui l’importanza del post-strutturalismo.
Tolkien è un comodo caso. Due esempi tratti da La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973 (Bompiani, Milano 2001):
Lettera 45: Tolkien scrive di aver cominciato a studiare germanistica «come reazione contro i “classici”» (p. 65). Continua accusando Hitler (la lettera è del 9 giugno 1941) di distruggere il vero spirito nordico.
Lettera 53 (al figlio Cristopher): Tolkien parla del mondo che sta diventando tutto uguale, e conclude: «Ad ogni modo, questo dovrebbe essere la fine dei grandi viaggi. Non ci saranno più posti dove andare. E così la gente (penso) andrà più veloce» (p. 76). Poco dopo dice: «non sono del tutto sicuro che una vittoria americana a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto della vittoria di –».
Notare: che cosa si può lanciare a partire dalla frase “fine dei grandi viaggi”? La «reazione contro “i classici”» richiama la contrapposizione civiltà germanica/civiltà latina.
Quanto si potrebbe collegare partendo da queste frasi! La critica ha detto di Tolkien: “Questo è nostro!”. Oppure: “Questo invece è nostro!”
Ma anche Mishima suona al caso. L’era degli scudi non chiamava più la penna da portare con sé.
Questo quando parlare non è scambiare parole come monete, ma chiamare alla parola.
Come l’infedele secondo il Corano, il poeta è simile al ragno, che costruisce la propria casa nel vuoto.

          ich bin nur ein Worte-macher:
          was liegt an Worten!
          was liegt an mir!