Musica automatica

Ho sempre pensato che la “genialità” di ciò che ci si ostina a chiamare popolo italiano non consista in nient’altro se non nella possibilità, che ha avuto il “popolo italiano”, di intravedere la nostra epoca moderna, fatta di decadenza e idiozia, grazie alla degenerazione razziale che fatalmente lo costituisce. Dante ha visto la moderna società multirazziale, soggetta all’islam, nella sua idiozia di poema e commedia all’italiana. Heidegger riconosceva nel Faust il merito di avere previsto l’epoca delle macchine. Niente di tutto questo si vede nella puttanata di Dante. Eppure in un punto gli Italiani hanno previsto l’epoca moderna: nella musica. In realtà la musica degli Italiani è sempre stato uno straccio di vergogna per quel popolo miserabile. Niente è più lontano, da quello straccio di popolo che sono gli Italiani, quanto la musica. Che riassume ciò che si può fare nella filosofia richiamando ciò che nella filosofia non si può fare. Per quale motivo si può dire che la musica italiana abbia precorso e percorso i tempi, fino a configurare l’epoca moderna? C’è un punto in cui la musica italiana ha previsto il futuro: il punto fisso piantato dalla stupida musica di Vivaldi. Ho sempre odiato la musica di Vivaldi. Musica automatica, musica che infastidisce. “Musica automatica” è l’espressione con cui io identifico quello che Miguel Serrano definiva con l’espressione “replicazione golemica”. Musica che è solo attesa di qualcosa che non si sa bene che cosa sia. Qualcosa che non arriva mai e che, appunto in quanto attesa, dà sui nervi. Musica che sembra volere distrarre, ma che invece ha lo scopo di infastidire. Perché è musica che non è musica, essendo solo fatta per riempire qualcosa che non si vuole fare vedere. Ma musica che tuttavia riempie il tempo. Quale tempo? Il tempo dell’attesa. Ma che senso ha, per una musica, fissarsi come tempo dell’attesa? Eppure quello che mi ha sempre infastidito nella musica di Vivaldi è questo essere fissata in un tempo dell’attesa. Ma ora ho capito in che cosa consiste la musica di Vivaldi: è la musica delle segreterie telefoniche. Genialmente preparata in quello schifo di città cloaca. Musica che dà sui nervi, musica ripetitiva. Ma anche per questo ci voleva genio: il genio latino, il genio cloaca. “Genio” della razza. Genialità dell’idiozia. Musica automatica. Ora capisco perché non ho mai amato la musica di Vivaldi.

HHhH

Qualunque discorso sul nazismo fatto adesso deve partire dalla considerazione intorno al tipo di Europa che si presenta adesso a noi, cioè dal tipo di Europa che la sconfitta del nazismo ha indirettamente contribuito a creare. Questo è il modo autentico in cui il nazismo può tornare a parlarci. Questo perché noi, che viviamo nell’Europa che la sconfitta del nazismo ha indirettamente contribuito a chiamare, per costruire ciò che ci affanniamo a definire “Europa”, chiamiamo indirettamente il nazismo come controparte di ciò che ci affanniamo ancora a definire “Europa”. Questo nel momento in cui noi riteniamo essere il nazismo la cosa che meno ha il diritto, tra tutte le cose che hanno la capacità di parlare, di ottenere la parola per parlare. Per cui noi, indirettamente, per la maggior parte dei casi, chiamiamo il nazismo come cosa che non può più tornare a parlarci. Ma il rinnegamento del nazionalsocialismo è stato per l’Europa l’atto di sottomissione alla razza semita. Si tratti di ebrei o di arabi, la razza semita è ciò che, con assoluta arroganza, abita adesso l’Europa. Il modo assolutamente arrogante con cui la razza semita abita adesso l’Europa è ciò che permette di comprendere ogni forma di razza straniera venuta ad abitare l’Europa. Si guardi come un negro o un indio camminano adesso, con assoluta spavalderia, nelle strade delle terre d’Europa, strade mai costruite per la loro andata. Ma questo perché le strade d’Europa sono le tracce di ciò che l’Europa ha abbandonato dell’Europa. Che doveva essere ciò che si sarebbe dovuto determinare come il pensiero dell’Europa sull’Europa. Ed è ciò che adesso deve essere posto a oggetto di un pensiero che rimane nascosto. Ogni vera musica vive solo nel respiro del silenzio. Ogni filosofia vive nel soffio di ciò che, nell’arte del dire della filosofia, viene sottaciuto.
HHhH di Laurent Binet (edizione originale: HHhH. Himmlers Hirn heißt Heydrich, Bernard Grasset, Paris 2010; traduzione italiana: HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich, Einaudi, Torino 2014) racconta un episodio della storia della Resistenza cecoslovacca: l’uccisione di Reynard Heydrich, allora governatore del Protettorato di Boemia e Moravia, ad opera di alcuni partigiani, soprattutto un partigiano ceco e un partigiano slovacco. Lo scontro che Laurent Binet si sforza di cercare di rappresentare in questo romanzo è quello tra volontà (da parte di un paese) di opprimere un paese straniero, e volontà, da parte di alcuni individui, di liberare il proprio paese da quella oppressione.
Ma questa certezza di intenzioni nasconde delle incertezze sul modo di rappresentazione da adottare ai fini di questa rappresentazione; incertezze che si possono riassumere in questa domanda: come rappresentare quella certezza, che deve essere la certezza della Resistenza? Che è poi ciò che nasconde la domanda: “che cosa si nasconde nella Resistenza?” Vale a dire la domanda: chi parla in quel punto? Che impone la domanda: Come dare la parola ai partigiani?
Il tema dell’amore per il proprio paese, da parte di un autore che, per nascita, non appartiene a quel paese, cioè alla Repubblica Ceca, essendo Laurent Binet francese, ma in quanto autore che ama quel paese, cioè l’attuale Repubblica Ceca, chiama a sua volta un tema che, in questo contesto, può sembrare fuori casa, ma che invece interviene nella composizione della casa quanto nella sua consacrazione, cioè in quanto attiene alla sfascio della casa: il tema del flâneur. Domanda che, nel tema della consacrazione della casa, suona del tipo: “Che tipo di Europa ha preso forma con la sconfitta del nazismo?” Tolkien è stato uno dei pochi scrittori a poter intuire qualcosa: «non sono del tutto sicuro che una vittoria americana a lunga scadenza si rivelerà migliore per il mondo nel suo complesso piuttosto della vittoria di –» (J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001, p. 76). Il  trattino indica appunto ciò che è da chiamare, vale a dire ciò che è da consacrare in vista di uno sfascio, anziché di una consacrazione, della casa; questo perché ciò che è da chiamare qui non è un nome solo ma una alternanza di nomi; non una costante ma una variabile che si determina in un tempo. Infatti il nome non è solo l’avanzo della sconfitta. Poiché ciò che chiama non è ciò che si chiama: non Hitler, ma Himmler, che insieme si chiamano Heydrich.
La storia registra che gran parte della Resistenza al nazismo è stata alimentata dall’amore verso il proprio paese. Che cosa avrebbe comportato una accettazione della ideologia nazista da parte di una persona il cui paese era stato invaso dall’esercito nazista? Ma soprattutto: che posto poteva avere, in quello scontro, colui che non aveva mai amato il proprio paese? HHhH: «Dopo la guerra qualcuno farà questa osservazione: fra le decine di paracadutisti selezionati per essere inviati in missione nel Protettorato, quasi tutti avevano dichiarato di essere motivati da un sentimento patriottico. Solo due, tra cui Čurda, avevano detto di essersi offerti volontari per amore dell’avventura, e quei due hanno tradito.» (I/184). Che posto potevano avere, quei due? Certo non solo quello del traditore. Se uno avesse ritenuto – con la massima convinzione – che la diffusione della propria razza avesse potuto costituire un pericolo per il mondo? Riconosciamo così di essere all’interno della parallasse di Rimbaud: “Sono sempre stato di razza inferiore”; perché è proprio all’interno della parallasse di Rimbaud che si deve articolare questo incauto tentativo di ragionamento. L’incauto ragionamento è quello che prende a modello l’ellisse della esagerazione e a termine la parallasse dell’equilibrio. Che pone un’altra parallasse. Infatti questo ragionamento è ciò che viene posto al di fuori della ragione. In quanto questo ragionamento – adesso – non può che suonare come una domanda di questo tipo: “Che cosa fare delle razze inferiori?”
Non si può parlare del nazismo senza parlare delle teorie razziali, che attualmente sono viste come l’essenza del male assoluto in opera sulla terra. La principale differenza tra il nazionalsocialismo e le altre teorie fasciste ad esso contemporanee consisteva nella predominanza che il nazionalsocialismo conferiva alla teoria razziale. Quale Europa si presenta adesso? È possibile rivendicare la teoria razziale nazionalsocialista in quanto valore posto a difesa dell’Europa? Per l’antisemitismo il semita è l’estraneo che deve essere allontanato dall’Europa. Ieri, questo estraneo semita, era l’ebreo; oggi è l’arabo. Ma parlando di razza, la razza è la stessa. Una sola razza nemica che si affaccia e ferocemente insiste in Europa: la razza semita. Stessa razza; stesso dio; stesse facce feroci. Stessa ferocia pronta a scattare. Ma non si tratta solo di antisemitismo. Accanto al nemico esterno c’è il nemico interno. Lo straniero di casa, che, agendo in casa, rende la casa non più cosa di casa: cioè il nemico rappresentato dal meticciato – il meticciato slavo e il meticciato latino: lo slavo e il latino. E poi gli zingari. Tutta questa compagine costituisce infine un unico bersaglio. Il grande bersaglio della grande Soluzione Finale.
Che è la grande differenza che compone epica e romanzo. Il romanzo mette in gioco individui; ma l’epica parla di razze. Quindi è ormai il tempo di pensare il pericolo che attende nel profondo. Ma vale la pena, alla fine, pensare ciò che porta con sé il pericolo? Solo quando il pensiero è qualcosa di pericoloso per l’uomo, allora il pensiero è qualcosa che vale la pena arrivare a pensare. Solo lì l’uomo è spinto verso qualcosa di diverso; cioè verso una decisione. Altrimenti è solo un mondo per dare da campare a figure grigie, che appunto così campano su un vecchio pensiero, che più non pensa pensieri pericolosi: vale a dire l’umanesimo. Pensare la pericolosità del pensiero è un modo per comprendere di essere sulla strada giusta. Deve essere chiara la differenza tra storia e storiografia. Questo è importante per la differenza tra epica e romanzo. Ma bisogna sempre mettersi a scrivere per pochi fanatici. Scrivere è un’arte magica. Un’arte dell’incanto che libera dai topi, ma che può portare via ciò a cui si tiene di più, se non si rispettano i patti. Bisogna insorgere contro la propria razza quando si scopre di essere di razza inferiore. Non perdonare chi ci ha fatto nascere lì. Noi adesso possiamo dire che la storia della Resistenza europea contro il nazismo è un episodio della lotta del meticciato d’Europa contro la razza bianca d’Europa. Questo perché dobbiamo chiederci: “Chi ha il diritto di abitare l’Europa?” Grande Michel Houellebecq!, che ha capito come il razzista odi sopra di tutti il meticcio! Io infatti odio soprattutto il meticcio italiano, o, come amo definirlo io, il disgustoso meticcio italiano. Odio quel bastardo di italiano. Odio il bastardo italiano. Lo odio soprattutto quando

Fuori Umberto Eco

La cultura ufficiale è adesso un po’ meno ufficiale e noi ci siamo tolti un peso dallo stomaco.
Con la sua narrativa, Umberto Eco è diventato il Borges dei poveracci. Per fortuna di ciò che è sano, questa narrativa non ha innalzato il livello culturale dei poveracci, ma nemmeno ha abbassato il livello di Borges.
Umberto Eco rappresenta in pieno la dannosità di tutto ciò che è italiano nei confronti della cultura internazionale. Grazie ai suoi libri, Umberto Eco ha potuto diffondere a livello mondiale quella furbizia, quel servilismo, quella cialtroneria che hanno sempre contraddistinto ciò che è italiano. Ha potuto trasformare nequizie “nazionali” in qualcosa in cui tutto il mondo ha potuto riconoscersi come segno dei tempi della globalizzazione. È la stessa cosa che Nietzsche riconosceva nei confronti di ciò che è ebraico. E quella stessa cosa non stupisce poi più di tanto: ciò che puzza può puzzare in mille modi differenti, ma al naso darà sempre fastidio.
Umberto Eco “spirito libero”? Un italiano è servile anche quando non è servile, così come è ladro anche quando non ruba.

Meridione d’Europa

Miguel Serrano: «Anche se si potrebbe accettare come un comodo elemento di esposizione la teoria delle razze dell’anima e dello spirito, di Evola e Clauss, alla fine non si rende necessaria, complicando unicamente le cose, servendo per parlare di razzismo tra genti troppo mescolate e popoli meticci, senza arrivare a ferire i loro sentimenti, giacché un mulatto, o un indio, tra noi potrà sempre pensare che sebbene il suo corpo sia di colore, la sua anima potrebbe non esserlo. Nasce il sospetto che tutto fosse stato inventato da Evola per parlare di razza agli italiani del sud ed allo stesso Mussolini.» (M. Serrano, Adolf Hitler, l’ultimo Avatara, Edizioni Settimo Sigillo, 2 voll., Roma 2010, I vol., p. 120).

Adolf Hitler: «Si pensi alle devastazioni che l’imbastardimento giudaico appresta ogni giorno al popolo nostro, e si rifletta che questa intossicazione del sangue potrà solo dopo secoli, e forse mai, essere eliminata dal corpo della nostra nazione. Si consideri pure quanto questa decomposizione della razza abbassi gli ultimi valori arii del nostro popolo tedesco, e spesso li distrugga, cosicché la nostra forza di nazione portatrice di civiltà va sempre retrocedendo, e noi corriamo il pericolo di arrivare, almeno nelle nostre grandi città, al punto in cui si trova già oggi l’Italia meridionale.» (A. Hitler, La mia battaglia, in A. Hitler, Mein Kampf, Edizioni di Ar, Padova 2009, pp. 233-4).

Chi nasce Italiano, non muore di razza.

Le voci dei morti

I morti da poco tempo hanno nei sogni uno speciale pallore di morte, che li rivela in modo particolare. Non parlano, stanno in disparte, fanno finta di niente. Non potendo fare a meno di ignorarli, li si tratta come persone appena tornate da un viaggio. Ma se, facendo finta di niente, li si osserva un poco, si scopre che qualcosa li ha resi diversi: sono più piccoli, più discreti, non vogliono attirare l’attenzione con il loro improvviso ritorno. Sempre sbirciandoli di nascosto, appunto per non inquietarli, non si può non fare l’errore di pensare che – di nuovo – non rimanga loro più tanto da vivere.
I morti sono come la voce di una razza appena dimenticata, della quale essi non hanno mai fatto parte; che però, in un soffio, vogliono dire a chi è sopravvissuto “vai avanti così”. Hanno lo sguardo passato di ciò che è postumo, ma con tenacia aspettano chi pure incitano ad andare avanti.