Nota su Manganelli

Intorno al cavalier Manganelli desidero appiccare una o più note. Come genialità il cavalier Manganelli avrebbe potuto far fuori i possibili cavalieri avversari nella giostra moderna che si tiene intorno al pupazzo del “realismo magico”. Penso ai nomi del cavalier García Márquez e del cavalier Salman Rushdie. Cosa sarebbe rimasto, di quei due cavalieri abbronzati, fracassoni e colorati, nel momento in cui fossero entrati in battaglia contro il nostro corpulento grigio cavalier Manganelli, che di agile aveva solo il soffio – antico e lieve – del genio? Allora perché il nostro cavalier Manganelli non è andato fino in fondo alla battaglia, divertendosi a postare il grande romanzo moderno che le letterature moderne chiamano alla sfida senza riuscire mai a portare al recinto di un giudizio del dio che la giostra moderna non può intendere come spazio del dio? Le possibilità in Italia di una vasta epopea moderna sono quasi impossibili. Un po’ è un bene, un po’ è un male. Detestare l’Italia è sempre un bene, ma un’opera di questo tipo sarebbe stata comunque opera che avrebbe aperto all’ultimo disprezzo nei confronti dell’Italia. Comunque sarebbe stata impresa degna di incoraggiamento. Il progetto di una “epopea moderna” in Italia deve scadere nell’impresa di becero intrattenimento; l’unica possibilità di romanzo postmoderno italiano va cercata nella grettezza dei romanzi di un umbertino tempo d’eco, che non è un nostro cavaliere, non è scrittore e non rappresenta niente. Eppure proprio in questo “niente” è rappresentata la maledetta Italia. Per cui siamo messi male. Il problema è che l’Italia non è una terra, non ha una lingua, non ha un popolo che la abiti con l’arte ambigua della poesia. (Ha solo Dante!) In qualunque modo, l’Italia non abita il mondo. Ma questo è quello che si può dire per tutti i paesi da dove sono partiti, in cerca di avventure, i cavalieri che poi sono qui confluiti, alla ricerca di gloria, intorno alla giostra del realismo magico. L’Italia rappresenta il caso limite. Per questo vale la pena parlarne. Però mi auguro sia l’ultimo. Al di fuori dell’Italia si può giungere a una formula conciliante tipo Thomas Mann o al romanzo saggio di Musil e anche di Broch. Però strade in Italia chiuse. Un romanzo realista che volesse affrontare la “storia italiana” non potrebbe fare altro che scadere in un intrattenimento becero e pecoreccio. La via opposta, per quanto non tracciata al fine di sfiorare il colpo, sfiora comunque la chiacchiera dotta e un po’ rassegnata (mi sa sia il caso del cavalier Manganelli). Questione di artigli smussati. Manca sempre la grande opera che graffia in faccia la vecchiaccia maledetta. Una via d’uscita possibile, che prima o poi verrà spalancata, è la rappresentazione del dramma di ciò che non ha terra di fronte a ciò che ha terra, cioè il tentativo di strappare la terra a ciò che si propone come terra che non poggia sopra una terra. Vecchia, maledetta Italia! Ma questo comporta il rivolgimento totale di assumere la terra (anche nel momento in cui quella terra si pone come non terra) come asse del discorso, che comporta a sua volta assumere il linguaggio (anche nel momento in cui quel linguaggio si pone come non linguaggio) come protagonista delle avventure cui va incontro il protagonista del romanzo. Così il cavalier Manganelli parte dal linguaggio senza poter giungere molto lontano da ciò che il linguaggio racchiude. Non è questione di mancanza di valore. Dove avrebbe potuto andare a parare – il nostro miglior cavaliere, senza andare a finire malamente? Accade un po’ quello che accade ai romanzi che prendono in giro la logica classica: scadono subito di credibilità, come se essi stessi non credessero nella possibilità di pensare logicamente in un modo diverso. Calvino è sempre il posto più morbido dove posare il culo di una penna da tanto tempo in pena. Probabilmente la lingua italiana è sentita inconsistente da tutti i maledetti scrittori italiani della maledetta Italia, così come inconsistenti sono sentiti i personaggi che con quella lingua molti si provano ad impastare. Non sono le persone a parlare e comunque gli italiani non esistono. Vero è che non sono mai le persone a parlare, è la lingua a parlare attraverso le persone – però mi sa che per questo rivolgimento del romanzo, il romanzo non è ancora pronto. L’affollamento di tanti vocaboli arcaici e letterari da parte del cavalier Manganelli nei suoi proclami di sfida indica un rapporto con la lingua avvertita come massa gretta stabile e sterile. La lingua degli italiani è l’alingua degli italiani: questo è più che un modo di dire. È il modo di vedere la lacrima che gioca sull’apostrofo là dove non ci dovrebbe essere. La stessa frase vincolo cieco del cavalier Manganelli, ipnotica e preziosa, che non porta a niente attraverso la sua lunghezza mai stentata, mai noiosa da leggere, diventa metafora di una situazione che non ha via di uscita per la maledetta Italia perché massa tumorale che gioca e passeggia in un corpo cui non può però fare più la pelle. Bisogna vendere tutta la baracca Italia baldracca. Una frase ha un’uscita, spesso che porta a un’altra frase, non nel caso del nostro cavalier Manganelli, però, che pure è il nostro più valente cavaliere nel momento attuale. È l’alingua degli italiani che viene trafficata in un gioco prezioso di brillanti fatti passare di contrabbando. Una cascata di diamanti che ha comunque il lampo di una sfida. La questione è: di che cosa si deve parlare quando non si può descrivere il vecchio mondo – che però è tutt’altro che spacciato? Si tratta di modi di mettere a fuoco o di mondi da mettere a fuoco? Spero ci sia sempre da appiccare il fuoco. Scrivere in modo da far leggere senza pensare di stare leggendo, ma di far suonare parola dopo parola, nella mente del lettore, il nuovo modo di mettere insieme le parole. Stiamo parlando di un modo di ingannare il lettore? Mai salvi dal gioco dell’eco. Poco importa sia crepato: soltanto macchinette, soltanto pupazzi. L’arte di leggere chiama l’arte di scrivere, così come l’arte di scrivere chiama l’arte di leggere. Questo vale per tutti i libri, non soltanto per i romanzi. È il nuovo che si va a cercare in ogni libro, la ricerca che ha portato alla domanda “Chi è il personaggio Zarathustra?”, ma alla quale nessuno dei nostri cavalieri può dare risposta. La letteratura non richiede sforzo, fatica, sudore o quanto meno applicazione, solo dosi di sana, paziente infernale attenta cattiveria; tanta continua cattiveria. Il cavalier Manganelli ha sfiorato il cavaliere tutto catafratto Adorno nella teoria del caos, non lo ha fatto cadere, ma ha continuato la sua corsa libero dalla giostra noiosa dei nemici, cometina brillante a cavallo della coda di un insieme di Mandelbrot.

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