L’ultimo dio

Ragnarök di A.S. Byatt e Il richiamo del corno di Sarban possono essere accostati in base al tema del ritorno del mito, rappresentato, in tutti e due i testi, dal richiamo al tema folklorico della Caccia Selvaggia. In entrambi i testi il protagonista, o il personaggio a lui più vicino, vivono una esperienza che li porta a essere sfiorati dalla Caccia Selvaggia, e a rischiare di essere, secondo modi diversi, inglobati nel corteo della Caccia Selvaggia (nel Richiamo l’inglobamento viene evidenziato dalle diverse nazionalità presenti nella foresta dove scorre la Caccia; in Ragnarök l’inglobamento viene evidenziato dalla comunanza di sorte con colui che è stato portato a combattere nell’aria). Essere sfiorati dal mito è sempre una esperienza avvertita come pericolo. Quando il mito è finito – in entrambi i testi la fine del mito è segnata dalla sconfitta della Germania nazista –, la nuova vita viene avvertita come stato di profonda depressione. Cioè come depressione indotta dalla scomparsa del mito dal mondo, per cui la vita compare come un grande vuoto che accerchia tutto intorno chi si è trovato nello stato di colui che si identifica come colui che è soltanto sopravvissuto. Tolkien ha suggerito come la sconfitta del nazismo avrebbe potuto significare il rutto della brutta Europa che stava emergendo da tutte le parti contro tutti gli europei rimasti. Tolkien partiva dal mito, e aveva accusato la Germania nazista di proporre una lettura inglobante del mito germanico ad essa favorevole. Ora possiamo dire che quel balbettio, allora appena consegnato in quella lettera di Tolkien, ha realmente segnalato la brutta Europa che si stava preparando, che è ciò che gli Europei si trovano adesso intorno da tutte le loro parti. Che è ciò che, intorno a loro, gli Europei sono chiamati a dovere chiamare Europa, ma che è solo una cosa estranea che gli Europei stentano a scacciare via – in quanto cosa del tutto estranea agli Europei e che, per gli Europei, suona solo come accerchiamento. Questo perché l’Europa non è più la terra degli Europei. Dire adesso “Europa” equivale a segnalare dove si trova il massimo pericolo. Infatti l’Europa rischia di non essere più la terra della razza bianca d’Europa. Che è ciò che rappresenta il massimo pericolo per la razza bianca. La razza bianca d’Europa è ciò che ha determinato l’Europa, per cui è tanto più giusto dire adesso: l’Europa alla razza bianca d’Europa!
Eliminare ciò che richiama il nuovo concetto di “essere umano”, è ciò che comporterà la nuova epoca. Il vecchio concetto di essere umano, di cui noi non possiamo fare a meno di parlare, è qualcosa che viene da una lontana filosofia. Pervenire a una nuova definizione di “essere umano”, non è solo ciò che porterà a un nuovo inizio della filosofia, ma anche ciò che deve condurre alla pratica degli “abbattimenti mirati”. Lovecraft ha segnato questa epoca come il peso dei sogni che alcuni si trovano a doversi portare addosso. Ma per questo ci vogliono sempre più filosofi scellerati (secondo la felice definizione da Klossowski utilizzata nei confronti di Sade).
Il testo di Borges dal titolo Ragnarök (incluso nella raccolta L’artefice), per quanto non sia un racconto, bensì il resoconto di un sogno, è ciò che permette di collegare i due testi: il primo per il titolo, il secondo per il richiamo al tema del sogno. Il testo di Borges potrebbe diventare il racconto che si è andato a pescare alla fine del mondo, in una delle tante spazzature del mondo. Infatti solo così il testo di Borges può essere richiamato: in Europa suona il richiamo del mito; alla fine del mondo, in una delle spazzatura d’Europa, si presenta il ritorno di una accozzaglia di dei, provenienti da Roma e dall’Egitto, che porta al loro – legittimo – “linciaggio”.
L’Europa non è ancora pronta per il politeismo – questo è ciò che il resoconto di Borges rende evidente attraverso il richiamo alla degenerazione degli dei prodotta dalla persecuzione condotta insieme dalle religioni della razza semita (“la Luna dell’Islam” e “la Croce di Roma” di cui parla il testo). Per meglio dire, a partire dal testo di Borges è evidente che l’Europa non è ancora pronta per il ritorno degli dei indoeuropei. Cioè degli dei della razza bianca. Questo perché l’Europa non è ancora pronta per la razza bianca d’Europa. Infatti nel testo di Borges tornano tutti gli dei, dei romani e dei egiziani. Indifferentemente dalla razza. Infatti il racconto di Borges non è ambientato in Europa: il ritorno di quella accozzaglia di dei è qualcosa che viene visto subito come qualcosa che puzza di malavita. Gli dei, nella terra alla fine del mondo, sono diventati perfetti malavitosi di quartieri di metropoli alla fine del mondo. Il loro andare per il mondo li ha soltanto impoveriti e stretti insieme nel cerchio della malavita alla fine del mondo.
Contro Faye, bisogna sempre pregare Dio affinché ci aiuti a portare a noi l’ultimo dio di Heidegger. Infatti dice Faye: «Quanto al contenuto di fondo, la mitologia nebulosa e più che torbida dei Beiträge non incita ad augurarsi che l’umanità conosca mai l’avvento di questo “ultimo dio”, tanto più che il titolo stesso della sezione, Die Zukünftigen, non può non ricordarci “Die Kommenden”, cioè il titolo della rivista del Bund degli Artamanen da cui è emerso Himmler, e alla quale Ernst Jünger fornì in particolare numerosi articoli» (p. 392), che è proprio l’insieme nebuloso che si chiede. L’incontro con il mito deve essere un pericolo. Se non c’è pericolo, non c’è incontro col mito. Perché non c’è pensiero – e pensiero è pericolo. Il testo di Borges rappresenta il falso ritorno degli dei, proprio perché non presenta l’insistenza di questo pericolo. È un pericolo che viene “fatto fuori” con il richiamo a una scena da film (le pistole estratte). C’è un regolamento di conti a livello di malavitosi, come è giusto che sia in uno stato spazzatura, dove la maggior parte di quelli che vivono lì sono italiani.

E. Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, Roma 2012

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