Nuovo inizio

Emmanuel Faye e prima ancora Victor Farias citando Benedetto Croce, accusano Heidegger di avere “prostituito” la filosofia, riducendola, da una questione che riguardava tutti gli esseri umani, a una questione riguardante il solo popolo tedesco in un tempo storico ben delimitato, segnato dal nazismo.
Scrive Victor Farias: «[…] Benedetto Croce fa notare, senza mezzi termini, che, nel suo Discorso del rettorato, “il professor Heidegger non vuole che la filosofia e la scienza siano altro, per i tedeschi, che un affare tedesco, a vantaggio del popolo tedesco.” Egli scrive ancora: “Oggi si sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l’unico vero attore, l’umanità (…) E così si appresta, o si offre a rendere servigi filosofico-politici: che è certamente un modo di prostituire la filosofia…” In una lettera a Vossler del 9 settembre 1933 Croce scrive: “Ho letto poi per intero la prolusione dello Heidegger, che è una cosa stupida e al tempo stesso servile. Non mi meraviglio del successo che avrà per qualche tempo il suo filosofare: il vuoto e generico ha sempre successo. Ma non genera nulla. Credo anch’io che in politica egli non possa avere alcuna efficacia: ma disonora la filosofia, e questo è un male anche per la politica, almeno futura.”» (Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri, Torino 1988, p. 114).
La stessa accusa è ribadita da Emmanuel Faye: «Possiamo quindi dedurre da questi testi [i corsi di Heidegger dal 1933 agli anni quaranta] che la questione dell’essere è esplicitamente diventata, nell’insegnamento di Heidegger e a partire dal 1933, una questione völkisch: essa concerne esclusivamente l’essere del popolo tedesco e si pone solo per questo popolo.» (Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, Roma 2012, p. 139).
La questione è posta male e non viene affrontata, in tutte le sue conseguenze. Conseguenze che devono essere affrontate proprio dal punto di vista della filosofia. Ciò che non viene considerato è appunto il carattere di “nuovo inizio” che Heidegger riconosce in quell’evento storico – e di cui il suo pensiero si pone come la controparte filosofica. Quindi ciò che non viene considerato è la necessità di separare nettamente questo nuovo pensiero dal corso precedente che la filosofia da tempo percorreva. Bisogna infatti precisare che anche la filosofia precedente era una filosofia con una impronta razziale, soltanto che tale impronta razziale rimaneva nascosta, o almeno non apparente, in quanto non affermata pubblicamente. Questa impronta riguardava la componente greco-giudaico-latina. Se questa componente non si rivelava come tale, ma anzi lasciava il passo a un pensiero che sembrava avvolgere tutta l’umanità, era per una vocazione, per così dire, all’impero universale da sempre presente in quella filosofia, vale a dire da un disconoscimento. Un disconoscimento del pensiero che disconosceva il corpo in quanto manifesto di razza. Questa filosofia poteva sopravvivere solo tramite una concessione di cittadinanza a tutti gli individui dei territori, per così dire, occupati. Di fronte a questa espansione dell’impero del pensiero e di questa concessione indiscriminata del diritto di cittadinanza, il razzismo diventa il crimine ideologico più grave, da perseguire con ogni mezzo. Ogni essere umano doveva riconoscersi in quel pensiero e, se ne era in grado, poteva aggiungere qualcosa alla sua costituzione. È la versione culturale della globalizzazione. Una questione che l’impero romano conosceva bene in tutte le sue forme. Il nazismo, e soprattutto la filosofia di Heidegger, operano nella direzione opposta. Da una componente, celata – greco-giudaico-latina – si passa ad una componente germanica, tutt’altro che celata, anzi apertamente manifesta; questa nuova componente, nuova destinataria della filosofia, non concede cittadinanza a chi non ne fa parte per razza. Ma tende a praticare la separazione. Il pensiero nasce dalla razza. O dalla razza come degenerazione, che non può dire la propria provenienza, o da una razza in quanto risultato di una selezione di razza. Che per questo manifesta la propria origine di razza. È questo il rinnovamento; è il questo il modo di pensare diverso che provoca un diverso modo di intendere la filosofia.

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