L’assassinio del commendatore

a) Fatti con cui si ha a che fare
I primi due capitoli del romanzo L’assassinio del commendatore di Murakami Haruki costituiscono una preparazione alla scena vera e propria, che pone il protagonista fermo nella nuova casa. Abbiamo visto il protagonista in modo fugace nel primo capitolo, tra tante cose. È una vista un po’ in superficie (il titolo è infatti “Se la superficie è appannata”), che comprende il tipo di pittura che egli fa, essendo un pittore, e i compromessi del suo stile di vita. Il secondo capitolo si concentra sull’evento scatenante: la decisione della moglie di lasciarlo. La donna, Yuzu, non fornisce tante spiegazioni e nemmeno il marito gliele chiede. Egli reagisce immediatamente, abbandonando la casa e mettendosi a guidare.
È in questa coesistenza di oggetti indifferenti e reazioni immediate che consiste il postmoderno. Adesso si viene a sapere molto sulla donna e sul periodo del matrimonio. Quello che si dice è però non determinante, perché la donna, lungo tutto il matrimonio, è stata forse infelice, o non soddisfatta, nonostante le apparenze. Il protagonista reagisce in modo strano e non facile da comprendere: non si infuria, non cerca di convincere la donna a desistere dal suo proposito; si mette in macchina e ripensa a svariati fatti.
Raccontare un fatto non permette di sviscerarne il significato, ma accostandolo ad altri permette di elencare significati possibili. Non c’è la romantica fine di un amore, il tradimento, la delusione; ma c’è la comprensione postmoderna di avere avuto a che fare con oggetti che sono sempre stati tutti intorno in enigmi di indifferenti abissi, che adesso, essendosi spostati, scacciano con la loro estraneità, estraneità di sempre, ma che adesso viene avvertita come estraneità non più possibile da sopportare.
Con il terzo capitolo si entra nello scenario dell’azione. Il protagonista è chiuso in una casa sui monti. La casa non è sua. Lo scenario si fa leggermente inquietante. La presenza del pittore, Amada Tomohito, proprietario di quella casa, che adesso è in una casa di cura colpito da Alzheimer, è costante. Anche il figlio di Tomohito, Masahiko, rivela di non andare mai in quella casa da solo, perché gli ha sempre fatto un po’ paura.
C’è qui una caratteristica importante del postmoderno: l’uomo è rappresentato tramite la sua assenza. È l’assenza del vecchio uomo, che pure si avverte e che dà senso alle cose. Anche se il romanzo è ambientato in Giappone, si può dire che l’uomo di cui si avverte qui l’assenza è l’uomo dell’umanesimo, almeno nel senso in cui il Giappone moderno ha accettato il modo di vivere occidentale, e quindi ha accettato l’eredità o il solo confronto con l’uomo dell’umanesimo. Le cose sono così determinate a partire dal vuoto che le distanzia.
A poco a poco sembra che questo romanzo – fino a qui “realista”, anche se nel senso del postmoderno – scivoli in una storia fantastica. Di notte si avverte infatti il suono di una campanella. Localizzarne la provenienza è molto facile: al protagonista basta uscire di casa con una torcia elettrica per appurare che il suono proviene da un punto sotto terra, proprio al di sotto di una specie di tumulo di pietre pesantissime, impossibile da spostare con le mani. Il protagonista narratore è in una posizione difficile anche dal punto di vista economico. Il soggiorno in quella casa e la separazione dalla moglie lo ha convinto a cercare uno stile di pittura tutto suo, rinunciando a quella attività di pittore di ritratti che costituiva la sua fonte di sostentamento. Il fatto che la casa fosse appartenuta a un importante pittore giapponese, Amada Tomohito appunto, predispone alla ispirazione artistica. A occuparsi della rimozione delle pietre è un personaggio molto facoltoso, che abita in una grande casa vicino a quella occupata dal narratore. La strana particolarità di quella vicenda, e il rapporto che esso sembra avere con il sovrannaturale, lo attira. Chi è questo personaggio? Si chiama Menshiki Wasaru. È straordinariamente ricco, poco oltre la cinquantina, di autentica eleganza, ma stranamente sfuggente. È entrato in contatto col narratore tramite l’agente di quest’ultimo, essendo interessato a farsi fare il ritratto proprio da lui. Il protagonista non voleva più fare ritratti ma la cifra eccezionalmente alta proposta da Menshiki, lo convince ad accettare l’incarico. I due devono così incontrarsi e parlare. Si trovano simpatici e quindi finiscono per frequentarsi, anche se moderatamente, anche se il narratore ha sempre l’impressione che Menshiki lo stia usando per qualche suo fine particolare.
Lo spostamento dal piano del romanzo realista a quello del romanzo fantastico comporta – più propriamente – il passaggio dal principio di realtà al principio di possibilità. Lo stesso personaggio di Menshiki è una incursione che proviene da un mondo particolare.
b) Il testo in anamorfosi
Il personaggio di Menshiki è una costruzione, per così dire, in anamorfosi di un altro personaggio di romanzo: Jay Gatsby del Grande Gatsby di Fitzgerald. Non è solo il personaggio a passare da un romanzo all’altro ma anche elementi della trama del Grande Gatsby, che da lì, si innestano perfettamente nella trama dell’Assassinio del commendatore. Per cui l’uno appare costruito attraverso una apparizione anamorfica dell’altro.
Fitzgerald costruisce le frasi del Grande Gatsby legando insieme più cose in modo imprevedibile. L’imprevedibilità è l’ironia con la quale il personaggio guarda le cose di quel piccolo mondo, destituendolo di importanza. Il grande Gatsby viene scritto a partire da un personaggio che osserva, Nick Carraway, mediatore finanziario e vicino di casa di Jay Gatsby. Il giudizio che tale personaggio dà sulle cose che vede è essenzialmente negativo, si tratta di cose futili che è giusto deridere. Nell’Assassinio il rapporto con le cose è diverso. Il romanzo inizia dopo che le cose e le parole si sono scollate fra loro. Le parole non deridono un mondo ma rivelano il nulla che è rimasto fra le cose del mondo.
Come genere il romanzo presenta il modo in cui le cose stanno insieme. L’assassinio del commendatore presenta questo stare insieme tramite uno scollamento fra parole e cose. In questo scollamento si delinea il tema dell’uomo che si è ritirato. Il romanzo presenta allora un viaggio sciamanico per ricostituire il rapporto tra le parole e le cose, indispensabile affinché qualcosa come il fenomeno “uomo” possa manifestarsi.
Il tema del viaggio sciamanico vero e proprio si presenta con la discesa sotterranea del protagonista nel secondo volume, che dalla clinica dove è ricoverato Motohito lo porta alla buca vicino alla casa da lui occupata (la buca nel bosco dalla quale proveniva il suono della campanella). Questo nulla che riempie il mondo è allora lo spazio che permette alle parole di stare insieme alle cose e alle parole di accostarsi ad altre parole, a sostituirsi a certe parole in quanto metafore, dando così origine alla poesia. Il nulla è allora ciò che permette al mondo di essere quello che è, perché è quella forma che senza quel nulla non sarebbe al mondo. Il viaggio sciamanico non ripristina il vecchio mondo qual era prima che il rapporto si incrinasse, ma crea la possibilità di un nuovo sistema di rapporti in un mondo che sarà allora un mondo rinnovato.
c) Il romanzo dell’uomo nuovo
Si è accennato al senso di vuoto tipico del postmoderno, dove l’uomo si è ritirato. Gli oggetti prendono qualcosa di enigmatico. Quello che si è ritirato è il vecchio uomo dell’umanesimo, senza che nessun altro tipo di uomo sia dopo di allora comparso. Il vuoto sembra però indicare comunque qualcosa come una nuova forma e proprio questo è inquietante. Un qualcosa di nuovo prende forma a partire dal vuoto che gli sta intorno, ma quello che il vuoto sembra così determinare è fortemente inconsueto, poiché mette in crisi il principio stesso di realtà. È quanto avviene con la comparsa in scena del Commendatore.
La rimozione delle grandi pietre l’una sopra l’altra ha rivelato una buca accuratamente scavata nel terreno. Per quale scopo? Non si riesce a capirlo. Sembrerebbe trattarsi di un pozzo ma il diametro è troppo largo. Che il suono provenisse proprio da lì lo rivela una campanella utilizzata nei servizi religiosi e trovata sul terreno in fondo alla buca, come lasciata lì dopo essere stata usata (per quanto tempo? Non si sa). Il protagonista la prende e la porta a casa, sistemandola su un ripiano della stanza adibita a studio. Quando cala la sera però un pensiero lo sorprende: e se di notte, alla stessa ora in cui si avvertiva il suono, la campanella si mettesse a suonare?
Prima di effettuare il lavoro di rimozione delle pietre, il narratore aveva informato Masahiko di quanto stava avvenendo, chiedendoli il permesso per il lavoro da effettuare, e questi glielo concede rapidamente, aggiungendo però uno strano avvertimento: «[…] “stai attento a non tirar fuori da là sotto qualcosa di strano.”» (II, cap. 14, p. 181).
Quando la campanella torna a suonare di nuovo, e questa volta nella casa occupata dal narratore, avviene la svolta definitiva verso il romanzo fantastico e la comparsa del primo vero personaggio fantastico di questo romanzo: il Commendatore.
Amada Tomohito era stato l’autore di un grande quadro, potente ed enigmatico, che aveva intitolato L’assassinio del commendatore. Il pittore era un grande appassionato di musica tedesca e austriaca, come dimostra la collezione di dischi presenti nella casa. In quel quadro egli aveva raffigurato una scena del Don Giovanni di Mozart, appunto quella dell’uccisione del Commendatore. Adesso un personaggio di quel quadro era presente nella casa abitata dal narratore, dopo che questi, grazie a Menshiki, aveva scoperchiato la buca nel terreno, permettendo al suo insolito occupante di uscire. Il Commendatore che il protagonista si trova così davanti quella notte è tanto uscito dalla buca nel bosco quanto scivolato o saltato giù dal quadro di Tomohito. Ma più che essere il personaggio di un quadro, questo Commendatore è un’idea, non uno spettro e nemmeno una entità creata dalla potenza dell’arte. Come idea può scorrere in orizzontale, ma non scendere in profondità: la profondità lo blocca, gli impedisce appunto di scorrere, può così fare in modo che altri lo liberino in modo che possa continuare a scorrere. È la metafora che scorre invece in profondità, là dove avviene la sostituzione. L’assassinio del commendatore è un romanzo diviso in due libri: il primo libro si intitola Idee che affiorano, il secondo si intitola Metafore che si trasformano.
Forse questo è il momento adatto per introdurre una domanda: perché il narratore del Grande Gatsby ha nome e cognome, mentre il narratore dell’Assassinio non ha né nome né cognome? (O per essere più precisi, ha senz’altro nome e cognome, ma il testo non lo rivela mai; quindi, in un certo senso, all’interno del testo non ha né nome né cognome, pur avendo nome e cognome nella realtà fittizia che il testo assume essere esistente al di fuori di esso.) Probabilmente perché il protagonista dell’Assassinio si situa al livello di equilibrio fra quei due tipi di romanzi: romanzo ancora realista perché vecchio romanzo, quindi con il vecchio tipo di personaggio, e romanzo teso a un nuovo tipo di personaggio (per quanto riguarda lo spaesamento che circola allora nel testo, basta pensare al titolo della conferenza di Heidegger Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?), romanzo che riproduce lo stile di un periodo (lo smart set degli anni Venti a New York) e romanzo che si apre a un nuovo tipo di romanzo, anche se non lo introduce mai.
d) Sangue
Si è già detto che il quadro di Tomohito L’assassinio del commendatore è descritto nel romanzo L’assassinio del commendatore, come un quadro molto potente e di ottima esecuzione. Tuttavia il suo autore ha scelto di non mostrarlo a nessuno. Anzi, lo ha nascosto in un sottotetto, tutto fasciato, in modo che nessuno lo vedesse. Solo un caso ha permesso al protagonista di recuperarlo e, in senso reale, riportarlo alla luce. A quale scopo nasconderlo?
Nel quadro nascosto di Tomohito, che ha per tema l’assassinio del commendatore, si insiste su un grande spargimento di sangue. Però la scena di sangue del Don Giovanni di Mozart non sembra completare la spiegazione riguardante il soggetto. In gioventù Tomohito aveva studiato a Vienna. Il periodo in cui cadeva quel soggiorno era il periodo dell’Anschluss e Tomohito era stato coinvolto nel progetto di un attentato contro un alto ufficiale nazista. L’attentato non aveva avuto luogo ma aveva comportato comunque un grande spargimento di sangue, almeno fra le persone implicate nel progetto. Chi era dunque il personaggio rappresentato nel quadro al posto del Commendatore? L’ufficiale nazista condannato a morte dai patrioti austriaci? Un personaggio simbolo per tutti i patrioti uccisi? Ma fino a che punto Tomohito aveva sposato la causa dell’Austria annessa al Reich tedesco? In quel periodo Tomohito era innamorato di una ragazza austriaca che faceva parte del complotto: vi era stato trascinato solo dal suo amore per la ragazza?
I personaggi presenti nel quadro sembrano essere quattro: il Commendatore (nasconde qualcun altro?), don Giovanni (nasconde qualcun altro?), donna Anna (nasconde anch’ella un’altra persona?), Leporello. C’è poi un quinto personaggio, di cui si vede solo la faccia e che sembra sbucare da una botola nel terreno, come dalla buca del suggeritore in un teatro e che il narratore chiama “Faccialunga”, del quale non si sa assolutamente niente.
A quale scopo nasconderlo? Ma l’intenzione era veramente quella di nasconderlo? Se lo scopo fosse stato quello di affidare al dipinto un messaggio molto particolare? E se il vero soggetto rappresentato aspettasse ancora qualcosa per essere completato? In fondo tutte queste domande ruotano intorno a una domanda fondamentale: è veramente necessario spiegare ciò che appare come enigmatico o è invece necessario articolare l’enigma in modo da preservarne intatta la sua pura natura di enigma?
La relativa familiarità creatasi tra Menshiki e il narratore fa sì che Menshiki lo metta al corrente di un particolare per lui molto importante: egli è forse il padre di una ragazzina, Akikawa Marie, che il narratore conosce, frequentando ella il piccolo corso di pittura da lui tenuto nella vicina cittadina. Menshiki vorrebbe che il narratore, dopo aver fatto il ritratto a lui, facesse anche il ritratto alla ragazzina.
Così Marie si reca a casa del pittore accompagnata dalla zia, Akikawa Shōko. Le sedute rivelano qualcosa della personalità della ragazzina, che in genere è introversa e con un mossa alla Gatsby, concordata con il narratore, Menshiki compare alla prima seduta, come se il suo intento fosse stato solo quello di passare per caso a salutare un conoscente. Durante quell’incontro Menshiki è gatsbyanamente impacciato davanti a Marie. Veniamo poi a sapere che, con un’altra mossa alla Gatsby, Menshiki ha acquistato quella lussuosa grande casa appollaiata su una vetta che circonda la valle, in modo da stare vicino alla casa dove abita Marie. Con un potente binocolo militare Menshiki era solito, di sera, osservare la casa dove abitava Marie e Marie sentiva addosso, o almeno nell’aria intorno a lei, la vicinanza di uno sguardo. Ora che aveva conosciuto Menshiki, aveva anche capito a chi apparteneva quello sguardo.
Tra quelle case sparse sui versanti di una valle circondata da boschi, molti erano i sentieri, anche nascosti, che permettevano a chi aveva voglia di camminare di andare da una parte all’altra senza prendere le comode strade asfaltate costruite per le automobili, e Marie, che era cresciuta in quella casa fin da bambina, li conosceva tutti. Di sera era solita uscire di nascosto da casa sua e percorrere alcuni di quei sentieri. Era così venuta a conoscere il tumulo di grandi pietre, vicino alla casa di Tomohito, aveva visto la buca nel bosco dopo che le grandi pietre erano state spostate e aveva visto il maestro Tomohito all’opera nella sua casa. Un paio di volte aveva anche usato quei sentieri per andare a trovare il narratore e raccontargli le sue perplessità intorno allo strano Menshiki.
Grazie a uno di questi sentieri Marie riesce a entrare nella casa di Menshiki, in modo da controllare il binocolo che aveva appena intravisto quando era entrata in quella casa insieme alla zia e a Menshiki, per vedere il ritratto dipinto dal narratore. In quella casa però si era anche trovata rinchiusa e allora in suo aiuto era comparso il Commendatore, che le aveva indicato in quale stanza restare nascosta e attendere il momento giusto per andarsene. Il periodo passato da Marie rinchiusa in quella grande casa coincide con il periodo impiegato dal narratore per il suo viaggio sciamanico e che gli permetterà di collegare la casa di cura dove è ricoverato Tomohito con la buca nel bosco vicino alla casa che egli occupa (la stessa tecnica usata da Meyrink per portare il suo personaggio nella stanza del golem a cui non c’era nessun accesso).
Quando Marie si trova rinchiusa nella casa di Menshiki, a mettere in pericolo la sua presenza, cioè a farla scoprire, è proprio lo spargimento di sangue a causa del ciclo. Nel quadro il sangue invade la scena, per quanto si tratti di uno spargimento di sangue offerto a un pubblico. Ma uno spargimento di sangue improvviso, a seguito di un assassinio, anche se previsto da un piano, da un progetto, da un copione. Che il tutto si svolga su un palcoscenico lo dimostra la presenza del personaggio che si sporge dalla botola a un lato del quadro. Il quadro si rivolge a un pubblico. Eppure quel quadro era stato nascosto dal suo creatore. La presenza di Marie in quel luogo, che non si svolge su di un palco, rischia di essere rivelata da un flusso di sangue che non dipende da un evento improvviso e innaturale, ma da un evento ciclico e naturale. Quella è una casa che non prevede uno spargimento di sangue, vale a dire una casa che non prevede la presenza di donne, dove ci sono abiti di una donna che un tempo aveva frequentato quella casa, ma non i dispositivi indispensabili a protezione da uno spargimento di sangue ciclico.
La questione del sangue è proprio ciò su cui Menshiki ha in tante occasioni insistito, poiché se Marie fosse sua figlia, allora Marie avrebbe il suo sangue. In questo caso il sangue sarebbe qualcosa che non deve scorrere (al di fuori del suo involucro). L’opera d’arte di Tomohito ha presentato uno spargimento di sangue. Ma in quale forma? Chi è il Commendatore che è chiamato a spargere il suo sangue? Qual è il rapporto tra questo spargimento di sangue e l’opera d’arte? Menshiki ha costruito la sua casa in base all’assenza di donne, ma prevedendo la vicinanza ad una giovane donna, presumibilmente sua figlia. Tomohito ha costruito la sua casa come posto dove nascondere la sua grande opera d’arte che presenta un grande spargimento di sangue.
Nell’opera d’arte di Tomohito lo spargimento di sangue è occasionale, se si pensa all’attentato come risposta puntuale, ma periodica se si pensa all’attività di creazione di un nuovo tipo di uomo – e, metaforicamente, di creazione di un nuovo romanzo. Questo è quello che l’opera d’arte dovrebbe rappresentare e che il quadro di Tomohito rappresenta come formula (o come geroglifico, ideogramma) ma non come nuova opera d’arte compiuta. Il protagonista, confrontatosi con quell’opera d’arte troverà un nuovo passaggio tra principio di realtà e principio della possibilità ma il resoconto della sua impresa non fornirà l’approccio a un nuovo tipo di romanzo. L’opera d’arte interviene all’incrocio dei due tempi – manifestandosi però come enigma di tale presenza.
Se Marie rimane nascosta nel punto più vicino alla propria casa (cenno in negativo al tema della “lettera rubata”), il protagonista deve invece effettuare invece un lungo percorso attraverso una terra geograficamente non localizzabile, ma topologicamente rintracciabile nella geometria del romanzo. Questo “sempre” è ciò che riguarda il passaggio da una narrativa della vicinanza con l’Altro a un’epica della distanza tra simili.
L’amore è il modo più efficace per agire a distanza sulla vicinanza delle cose. E l’amore è ciò che lega tutti i personaggi di questo romanzo, legati o no, che essi siano, da un vincolo d’amore, ma anche ciò che porta a scegliere di compiere atti che sfiorano la pura malvagità. L’amore sfiora sempre il piacere che sta alla base di ogni omicidio come atto di prevaricazione. Ma l’amore si determina pure per una cosa particolare, che lo allontana dalla prevaricazione pura. Allora il coinvolgimento di Tomohito nell’attentato, da questo punto di vista, non ha più nulla di melodrammatico: è semmai questo romanzo postmoderno a proporre un modo screditato di proporre una vicinanza imbarazzante – quanto si vuole – ma inevitabile: quella tra amore e prevaricazione. Così il protagonista sogna di violentare la moglie, che nello stesso periodo rimane incinta, senza avere avuto alcun rapporto sessuale nella realtà, cioè al di fuori del sogno – che dovrebbe riguardare solo il tempo del sognatore, meno che mai il tempo di ciò che il sognatore sogna. Tomohito affida la sua esperienza di formazione nella città di Vienna alla musica. Dipinge, ma si affida alla musica; dipingendo una scena che appartiene a un’opera teatrale: il Don Giovanni di Mozart; così come Murakami si affida alla musica per comporre questa vicinanza in quell’arte ormai giunta a vecchiaia che è l’arte del romanzo. Nell’Assassinio la musica fornisce tre appigli: il Don Giovanni di Mozart, Il cavaliere della rosa di Richard Strauss, il Quartetto in la minore di Schubert. L’impiglio è l’amore. Noi non abbiamo ancora un linguaggio che possa dire come due cose così distanti, quali riconoscimento dell’amore e rifiuto dell’amore, possano comporsi in una coesistenza tanto lieta e piena; ma abbiamo il genere artistico, che è il romanzo postmoderno, che può avvisare di questa possibilità senza ancora includerla in sé, vale a dire presentandosi come enigma che pone la domanda, la stessa che è alla base della conferenza di Heidegger sul personaggio Zarathustra.
Noi abbiamo conosciuto il narratore dell’Assassinio come persona lanciata fuori dal suo falso centro fra gli oggetti, senza un vero motivo, dalla sua casa di Tōkiō, lo abbiamo seguito fino ad arrivare in linea retta all’Hokkaidō, e lì ruotare per poi avvitarsi nella casa dell’Odawara fino a scendere in verticale nella piccola profondità della buca nel bosco, per poi intraprendere un lungo percorso, in orizzontale – ma sottoterra – per ritrovarsi infine nella buca vicino alla casa da lui occupata, che ha comportato il ritrovamento della sorella morta Komichi, quindi con la persona alla quale egli non aveva potuto dare l’amore che egli avrebbe voluto dare e la liberazione di Marie, la persona alla quale non era legato da amore ma per la quale egli aveva intrapreso il viaggio. L’amore è quell’ala di bellezza scontrosa che, passando, lega per sempre alla terra, perché questo è il romanzo della nostra epoca, ciò che il romanzo sarà portato a dire, che sarà un punto d’avvio tra Don Chisciotte e Finnegans Wake.
e) La vittoria del principio di realtà
La fine dell’Assassinio porta comunque la vittoria del principio di realtà. Il narratore accetta infatti il principio di realtà e, allora, da quel momento, più niente di strano compare nella sua vita. Egli continua a restare in contatto con Marie, che alla fine del romanzo sapremo essere al liceo. Questo è anche il tempo in cui è nata la figlia di Yuzu, Muro, il cui nome è stato ispirato alla madre da un sogno. Il narratore deduce che il protagonista del sogno sia Tomohito. Le vicende accadute nella casa del pittore vengono dimenticate, ma alcune questioni rimangono aperte:
1) Il Commendatore aveva avvertito Marie che la casa di Menshiki era ricettacolo di presenze ostili: per quale motivo? (forse perché se Menshiki non si accompagnava al protagonista liberava tendenze negative?)
2) Menshiki sembrava avere avvertito una presenza estranea, appunto quella di Marie, quando la ragazzina era bloccata nella sua casa, sulla soglia della camera dei vestiti, ma poi non era entrato e sembrava non avere mai più avvertito una tale presenza, (il narratore cerca infatti di informarsi su tale questione). Perché ha avvertito la presenza solo una volta? Si tratta dello stesso Menshiki o c’era stato uno sdoppiamento? In questo caso si potrebbe parlare di un Menshiki semplice, cioè del Menshiki privato dell’incontro con il protagonista.
3) La buca sembra adesso, dopo che il protagonista se ne è andato, non svolgere più nessuna funzione di passaggio dal principio di realtà a quello della possibilità e sembra soltanto una buca qualunque. Questo perché è la terra che chiama il suo abitante?
Il protagonista torna a dipingere ritratti per mantenere la famiglia. Esclude la possibilità di dipingere per creare arte, come per un breve periodo all’inizio del soggiorno nella casa di Tomohito, aveva pensato di fare.
f) L’equilibrio fasullo
Notare l’utilizzo del senso del fantastico in questo romanzo:
1) Abbiamo due piani: principio di realtà e intervento dell’elemento sovrannaturale.
2) Il sovrannaturale prende sempre più campo fino ad arrivare al viaggio sciamanico, dopo il quale viene riassorbito nel principio di realtà.
3) A questo punto il protagonista sceglie di non avere più nulla a che fare col sovrannaturale, ma trasmette nella figlia la credenza nell’esistenza del Commendatore (che tuttavia egli ha dovuto accettare di uccidere). Questo comporta un decadimento dell’idea (ricordarsi che il Commendatore era un’idea, non un personaggio) di alternativa al principio di realtà.
Il romanzo è introdotto da un breve capitolo-prologo, in cui il narratore deve fare il ritratto dell’uomo senza volto incontrato durante il viaggio sotterraneo. Questa era infatti stata una condizione per il suo aiuto. Il romanzo non dice niente sulla sorte di questo patto, perché il narratore sceglie di impostare la sua vita in base al principio di realtà. Ma il piccolo episodio si presenta all’inizio del romanzo, quando la fine del romanzo sembra sancire la vittoria, per scelta del protagonista, del principio di realtà.
Principio di realtà e principio della possibilità sono due principi che possono essere posti in equilibrio solo in base a uno squilibrio, che è quello che sceglie Menshiki (e che probabilmente determina il suo carattere così ricco di punti oscuri e ostili). Il protagonista dell’Assassinio non è per niente paragonabile a Ulrich dell’Uomo senza qualità. Purtroppo il romanzo L’assassinio del commendatore ha effettuato una scelta ben precisa, che per fortuna L’uomo senza qualità ha invece evitato con cura di fare.
Come romanzo basato sull’equilibrio, questo romanzo non chiama un nuovo tipo di uomo. Rimane nella fase dell’equilibrio, che coinvolge tanto il protagonista quanto Menshiki, e soprattutto l’autore dell’Assassinio del Commendatore. L’ago della bilancia di questa mancanza di equilibrio è rappresentato dal Prologo: l’uomo senza volto è tornato a visitare il protagonista per chiedergli di mantenere la promessa: fargli il ritratto. Ma in quale punto della vicenda si svolge questo incontro? Il ritratto dell’uomo senza volto è appunto la traccia del nuovo tipo di uomo, di cui però questo romanzo non parla.
È stato lo stesso Murakami ad affermare il collegamento tra Menshiki e Jay Gatsby. Il mistero che circonda Menshiki deriva dalla vaghezza che riguarda Gatsby di Fitzgerald.
Ricordare il particolare del libro che Akikawa Shōko legge durante le sedute necessarie per il ritratto di Marie. Ella sceglie di non rivelare il titolo del libro, quando il narratore glielo chiede, spiegando che, altrimenti, la lettura non sarebbe giunta a conclusione. Il titolo del libro non viene così mai rivelato. C’è da chiedersi se il libro in questione non sia proprio Il grande Gatsby, che semplicemente sfiora L’assassinio. Se il titolo fosse stato rivelato, cioè se quella situazione che coinvolgeva il narratore, Menshiki e Marie, fosse stata rivelata come particolari di un romanzo già scritto, allora l’insieme non avrebbe più potuto funzionare, cioè essere portato a conclusione.
Il narratore rimane bloccato dalla perfezione di quel quadro di Tomohito e lo contempla a lungo, ascoltando la musica dell’opera di Mozart. Da parte sua, durante le sedute per il ritratto, Menshiki sceglierà Il cavaliere della rosa. È il momento in cui Menshiki matura il tentativo di utilizzare il narratore come un suo cavaliere e latore di un messaggio.
La musica ha una grande parte nell’Assassinio e a sua volta si collega al tema della vicinanza delle cose. Il Quartetto in la minore (“Rosamunde”) di Schubert, a cui il testo fa riferimento più volte, fornisce alla narrazione un ritmo malinconico. È una grande campata che tiene insieme le cose senza appesantirle. È un’arte dello sfiorare le cose. Le cose chiamano con grande riservatezza, chiedono spesso che venga interpretata la loro vicinanza. In questo senso, la musica leggermente sfiorata del QuartettoRosamunde” di Schubert, può essere una metafora dell’intero testo dell’Assassinio.
Bisogna pensare alla musica come ad una forma artistica per mostrare il modo in cui le cose stanno insieme. Così la musica ha qualcosa da dividere con il romanzo e con la filosofia. È una cosa che riguarda il pensiero perché è una forma della cosa del pensiero, laddove l’anamorfosi suggerisce il metodo usato da Murakami per introdurre Il grande Gatsby nella sua trama e ottenere così L’assassinio del commendatore. L’anamorfosi è un espediente per far luce sul metodo di costruzione del romanzo postmoderno.

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