Dodici romanzi

1. R. Musil, L’uomo senza qualità
2. J. Joyce, Ulisse
3. J. Joyce, Finnegans Wake
5. W. Goethe, Gli anni di noviziato di Wilhelm Meister
6. W. Goethe, Gli anni di viaggio di Wilhelm Meister
7. A.S. Puškin, Evgenij Onegin
8. A.S. Puškin, La figlia del capitano
9. H. Melville, Moby Dick
10. H. de Balzac, Un tenebroso affare
11. D.A.F. de Sade, La nuova Justine e Juliette ovvero le prosperità del vizio
12. D. Defoe, Robinson Crusoe

I titoli sono scelti in base a una doppia esigenza: il romanzo deve mantenere una forma estetica, non deve essere una semplice descrizione naturalistica di fatti (il romanzo è soprattutto arte della digressione); deve andare oltre la natura che lo ha informato, vale a dire oltre la propria natura, quindi oltre la forma del romanzo, oppure rivoltarsi apertamente contro di essa. Il romanzo è arte dell’impossibile. Quindi? Quindi per iniziare è giusto chiedersi: non è il saggio critico la forma più lontana dal romanzo? La ricorrenza di tre nomi con due testi ciascuno, indica come il romanzo sia il tentativo di non conciliazione tra due opposti possibili: giorno e notte, progetto e digressione, poesia e prosa (e –  nel caso dell’estrema eccedenza – virtù e vizio). L’ordine dei titoli è dato dal tempo in cui essi sono giunti, ad uno ad uno, ad una mente attenta a tutto, fuorché alla distrazione. Ma il romanzo è anche arte della menzogna. È l’arte di quelle “robinsonate” che Marx segnalava in alcune delle proprie opere, come, qua e là, distrattamente, quanto tenebrosamente, ci si limita a indicare. Il numero “dodici” rimanda al turbine centripeto della Caccia Selvaggia; è anche il numero che si oppone al “dieci”, che invece rimanda all’asservimento della precettistica semita.

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