La Croce va a Sud

Lo sguardo incantato nel progetto
All’inizio di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi viene subito spiegato ciò che di strano si ripiega nel motivo del titolo: «Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia.» (p. 1).
Due considerazioni sono possibili:
1) Cristo appare come l’artefice di una civiltà, l’eroe culturale che, venendo dal Nord, avrebbe dovuto scendere lungo tutto il Sud;
2) ma, per un qualche motivo, questo viaggio dell’eroe culturale si è interrotto improvvisamente.
È aberrante che il cristianesimo, religione semita, quindi del Sud, sia visto come qualcosa provienente dal Nord, mentre invece è stata proprio la Croce, cioè il cristianesimo, ad andare a Nord – e sappiamo con quali difficoltà (Martin Carver, The Cross Goes North, Boydell & Brewer Ltd, Woodbridge Suffolk 2003).
A causa dell’interruzione di questo viaggio civilizzatore, sostiene il testo Cristo si è fermato a Eboli, deriva il carattere pagano del mondo contadino. Quel mondo pagano che il semita Carlo Levi osserverà e consegnerà al testo noto come Cristo si è fermato a Eboli.
Ricorrendo a questo artificio, il paganesimo può essere visto come ciò che è fuori del tempo; come ciò che è arretrato e degno di un illuministico disprezzo. Poiché di questo si tratta.
Da qui l’atteggiamento del narratore, atteggiamento che non è immotivato. Esso è infatti lo sguardo dell’intellettuale di una sinistra illuminista, che si identifica nella missione civilizzatrice del cristianesimo, e quindi nel viaggio verso sud dell’eroe culturale: Cristo. Il cui viaggio risulta poi improvvisamente interrotto.
Di che cosa parliamo? Della fastidiosa, semitica certezza del monoteismo culturale del meticcio italiano.
Indicare un Nord cristiano e un Sud pagano è allora un modo di capovolgere una questione già presente.
Poiché la Questione meridionale, di cui nel testo si parla, nasce proprio da questo capovolgimento. Non si tratta allora di una questione di inclusione, quanto di una questione di esclusione. È qui ciò di cui bisogna parlare.
«Nord e Sud uniti nella lotta!» Ma che cosa è Sud e che cosa è Nord, in quella flatulenza di geografia che è l’Italia?

Lo sguardo raziocinante – Ciò che mastica l’intellettuale
Prima riflessione: qual è il rapporto tra Cristo si è fermato a Eboli e il romanzo postmoderno di Umberto Eco? Per verificarlo è utile soprattutto partire dalla denuncia, dalla volontà di scrivere un romanzo per mettere sotto gli occhi una situazione – agli occhi dell’autore, vergognosa.
Seconda riflessione: Cristo si è fermato a Eboli potrebbe anche essere confrontato con Storia e coscienza di classe di György Lukács. Una delle questioni che ricorre in Cristo si è fermato a Eboli riguarda infatti la «coscienza politica» dei contadini (p. 71), di cui l’intellettuale riconosce con costernazione la completa assenza. Questi temi si intrecciano particolarmente nel penultimo paragrafo del libro (pp. 232-240).
Più precisamente: questo intellettuale riconosce la mancanza di storia, qui rappresentata da Cristo, e poi la mancanza di una coscienza di classe. I contadini sono pagani perché il paganesimo è ciò che viene prima della storia, cioè prima del cristianesimo. È il cristianesimo a mettere in moto la storia, a imporre la nuova e unica cronologia, dettata dalla nascita del suo eroe culturale.
Ma questo cosa comporta? Questo sguardo dell’intellettuale si concretizza in bozzetti ai limiti della comicità: si consideri, ad esempio, la scena nella miserabile stanza del prete don Trajella, con le galline appollaiate sul mucchio di libri (pp. 84-7). Il risultato non è mai tragico, perché è un qualcosa che sfiora la commedia. L’unica scena tragica, il mondo di Matera, appare nel racconto della sorella del protagonista, in una aggiunta tanto artificiosa quanto letteraria (pp. 76-81); artificiosa tanto da far piangere lacrime di sassi a tutto il neorealismo.

Lo sguardo becero – Il momento migliore per gridare: «Viva l’Italia!»
In gita in Italia, un gruppo di emigranti ricorda, in Cristo si è fermato a Eboli, le scampagnate domenicali fuori porta a New York: «La domenica mattina si saliva in treno, ma bisognava fare dei chilometri, per trovare la campagna! Quando eravamo arrivati in qualche posto solitario, diventavamo tutti allegri come ci si fosse tolto un peso di dosso. E allora, sotto un albero, tutti insieme, ci si calava i pantaloni. Che delizia! Si sentiva l’aria fresca, la natura. Non come in quei gabinetti americani, lucidi e tutti uguali. Ci pareva di essere ragazzi, d’essere tornati a Grassano, si era felici, si rideva, si sentiva l’aria della Patria. E quando avevamo finito, gridavamo tutti insieme: “Viva l’Italia!” Ci veniva proprio dal cuore.» (p. 89). L’Italia è tutta qui: nell’aria di merda di casa. Nel piccolo italiano di merda, che ha nostalgia dell’Italia di merda: il cuore e il culo hanno appena l’incanto di un bacio nel soffio di una distanza; così come, nelle case romane, le cucine e le latrine avevano appena il soffio di una paratia. È la commedia all’italiana che fa il suo sconcio capolino. Quindi è la commedia dell’arte che occupa di nuovo il palcoscenico ridipinto da Goldoni, e che ora viene occupato dall’intellettuale ebreo e italiano e di sinistra. È la logica dell’intellettuale di sinistra. Per Brecht era questione di fare arte attraverso la rappresentazione del bisogno di mangiare. Per l’intellettuale italiano si tratta del piacere impagabile di cagare.
Lo sguardo di questo intellettuale sul mondo contadino è sempre – in fin dei conti – derisorio. Lo si è mai notato? Sembra di no. Ecco una riflessione su quelle misere case di contadini: «Sotto il letto stanno gli animali: lo spazio è così diviso in tre strati: per terra le bestie, sul letto gli uomini e nell’aria i lattanti.» (p. 113). L’intellettuale intuisce i ritmi, vede la suddivisione dello spazio. Comprende l’ottimizzazione razionale di uno spazio limitato. Fa il suo mestiere di intellettuale. Ma cosa si può dedurre dalla sua osservazione? Che cosa provoca la lettura di questa sua osservazione? Soltanto riso. Riso di schermo. Riso beffardo da palcoscenico. Se questo intellettuale avesse scritto Il pensiero selvaggio, allora Il pensiero selvaggio sarebbe lo schermo di una grande comicità da avanspettacolo, un canovaccio da Commedia dell’Arte. Un mistero buffo plebeo e platealmente sporcaccione.
Dietro il testo serio e tetro, e socialmente impegnato di un intellettuale italiano c’è sempre la commedia italiana, o, se proprio si vuole richiamare la nuova oggettività cinematografica, il documentario stile Mondo cane: impeccabili entrambi nella loro irriverenza, nella loro tendenza a non perdere occasione per sfottere, nel loro becero qualunquismo. L’Italia è solo uno sfottò, una pernacchia, una scorreggia, una cagata: è un qualcosa che fa vergogna fare, che va fatta di nascosto, ma che alla fine, quando si è riusciti a fare, fa tanto piacere, poter gridare, nel vuoto in cui la si è fatta: “Viva l’Italia!”.

Lo sguardo menzognero – Il mito
Il semita Enea, si legge in Cristo si è fermato a Eboli, pone le fondamenta del potere di Roma; ponendo insieme le basi di quel potere che schiaccerà i contadini italici, cioè lo strato autoctono (pp. 130-132).
Notare come in questa ricostruzione manchi assolutamente qualunque accenno all’apporto indoeuropeo. Tutto si svolge tra agricoltori Italici e invasori semiti. L’Italia è giustamente tenuta fuori dalla civiltà indoeuropea.
Su questo sfondo compare il nuovo eroe culturale: Cristo. Cristo è il semita ripulito, de-eneizzato, che viene dal Nord, identificato nel testo come il luogo da cui la civiltà proviene, per civilizzare, ma che si ferma a Eboli.

Il tempo dell’Italiano di merda
Il tempo oggettivo rappresentato in Cristo si è fermato a Eboli occupa un anno. Ogni esperienza della vita, fatta suonare nell’arte di scrivere, suona come nota falsa. L’arte di scrivere non ha ancora in sé l’equivalente del serialismo dodecafonico. L’accusa di truffa è sempre pronta – e sempre passibile di legittimità.
“Cristo si è fermato a Eboli” è una contestazione e una constatazione etnologica da parte dell’Intellettuale italiano di merda, che riconosce appunto in Cristo l’eroe culturale della propria razza; ma è anche un titolo che si presta a suonare come una imprecazione: “Cristo! Si è fermato a Eboli!”: vale a dire: “perché non è andato oltre Eboli? Perché, proprio lì (Cristo santo!), si è dovuto fermare? Perché (Cristo santo!) non è riuscito a proseguire, portando anche laggiù la stramaledetta, fottuta cultura semita-italo-cristiana?” dell’Italiano di merda?.
Un Italiano di merda è un Italiano di merda. Un intellettuale di sinistra di merda è un intellettuale di sinistra di merda. Un italiano intellettuale di sinistra di merda è un italiano intellettuale di sinistra di merda. Un intellettuale italiano di sinistra di merda è un intellettuale italiano di sinistra di merda.
Dio ci aiuti a liberarci dagli Italiani di merda. Dio stramaledica l’Italia!

Carlo Levi, Cristo si è formato a Eboli, Einaudi, Torino 1945.

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