Una visita da lontano

– Scusi… Signore!
– Prego! AIUTO! Un Alieno, e là c’è anche il disco volante…
– Stia calmo! Sì, sono un Alieno, ma non ho intenzioni aggressive. Vorrei solo qualche informazione.
– Se è così, mi tranquillizzo! Prego, chieda pure!
– Vorrei sapere: non dovrebbe esserci una terra, là, in quel punto dove adesso c’è solo mare?
– Una terra?
– Sì, una terra. Vede quel moncherino schifoso, tutto avvizzito e, a tratti, un poco fumante e puzzolente? Secondo le informazioni in nostro possesso, da lì dovrebbe partire una penisola di notevoli dimensioni.
– (Ahimè!) Proprio di una penisola parla? (Ahimè! Ahimè!) Non so, non capisco…
– Guardi questa mappa.
– Veramente… Mi sono ricordato di non avere proprio tempo…
– La guardi. Qui è dove siamo noi, e qui è dove dovrebbe esserci la terra di cui le parlavo, che invece non c’è.
– Ah! La Maledetta Italia! Lo sapevo! Metta via quella carta! La metta via!
– Perché?
– La metta via! La metta via, le dico! Bene! Adesso si avvicini. Parli a bassa voce. Sì, laggiù stava l’Italia: la Maledetta Italia! Ma adesso, come può vedere, per fortuna non ci sta più. Gran brutta gente: nasi da ebrei; ceffi da zingari. Tutto in una sola brutta faccia. Sa come erano chiamati? “Il popolo dei bastardi”. Ma porta male parlarne. Ecco là: che le ho appena detto? Guardi il disco volante. Si sono spente le luci. Ora per lei sarà un bel guaio.
– Ma no, è andato in standby.
– Meno male. Lo dico per lei. Qui nelle vicinanze abbiamo un solo meccanico. È un brav’uomo, ma è tutto fatto a suo modo. È astemio e sembra sempre ubriaco.
– Posso chiederle dove è finita tutta la gente che abitava quella terra?
– Che vuole che le dica? Ringraziamo Dio, piuttosto, per non avere più a che fare con loro.
– Che fine hanno fatto?
– Che fine vuole abbiano fatto? Hanno fatto la fine del topo di fogna quando viene portato fuori dalla fogna di casa. Si sono estinti.
– E perché la terra è ridotta a quel misero moncherino? Prima, se non sbaglio, quella penisola aveva una notevole estensione…
– Quando quella terra (grazie a Dio!) non fu altro che un enorme cimitero, il veleno contenuto in tutte quelle maledette carcasse, lì seppellite tutte insieme, finì per corrompere e disgregare la terra, che alla fine prese l’aspetto che ora può vedere.
– Ah, ecco! Certo, doveva essere gente ben disgraziata!
– Lo può ben dire!
– Che lei sappia, credevano in qualcosa di superiore? Che so: uno Spirito Supremo? un Dio Padre?
– Più che in un Dio Padre, credevano in un Dio Padrino. Lo rappresentavano con le fattezze di uno dei tipi più primitivi della loro razza stramaledetta, già di per sé abbastanza primitiva: basso di statura, tarchiato, sempre tutto ingrugnito, vestito in modo sommario, con la coppola in testa calata sulla fronte e la lupara pronta sulla spalla destra. Una figura molto poco rassicurante. Secondo alcune teorie, fu appunto questo bel generino di divinità a farli fuori tutti, uno per uno, percorrendo il maledetto territorio e sparando a tutti quelli che incontrava. Probabilmente avevano avuto da ridire su qualcosa tra di loro. Quelli facevano presto ad accopparsi. Lo chiamavano: “uno sgarro”. Dia retta a me, è una grande fortuna che siano scomparsi.
– Non lo metto in dubbio! Solo, adesso dovremo aggiornare le nostre mappe e anche i nostri databases relativi a popolazioni e credenze religiose. Sa cosa significa?
– Mi dispiace. Non so che dirle. Io parlo dal mio punto di vista.
– In qualche modo faremo. Lei è stato molto gentile. Spero non averle fatto perdere troppo tempo.
– No, assolutamente. Faccia buon viaggio.
– Grazie. Arrivederci!
– Arrivederci!
– Vada pure, se vuole. Io devo mettere in moto.
– Ci mancherebbe. Aspetto volentieri. Bene, è ripartito! Certo, è stato uno strano incontro… Chissà, lo potrò raccontare? Però, che incubo che erano, quelli là! Erano odiati da tutti e presi in giro da tutti. Infatti se ne poteva sempre incontrare qualcuno in ogni angolo del mondo. Aspetta… aspetta… A proposito di “raccontare”… Mi viene in mente un personaggio di fantasia, creato a loro somiglianza, che aveva anche avuto una certa notorietà… Doveva essere il protagonista di una serie di filmetti polizieschi. Roba squallida, ma che rappresentava bene il tipo: era antipatico, puzzolente, prepotente, sporco lurido lercio, schifoso, servile, arrogante, malvisto, trafficante, ignorante, meschino, trasandato, sempre con una fame da orbi, sempre dappertutto, sempre fuori posto dappertutto, sempre pronto a fregare il prossimo, spione, abbarbonato, brutto, miserabile, cencioso, pezzente, straccione, poveraccio, maligno, poco intelligente ma astuto nel fregare chi gli capitava a tiro, diffidente, maldisposto verso tutti, che seminava zizzania dappertutto: una vera muffa ambulante di sottouomo, un vero rappresentante di quel popolo maledetto di bastardi. E… (ora mi ricordo!) aveva sempre l’abitudine di dire: «Quando lo racconterò a mia moglie…»

L’arte di restare nascosto

La vita di una persona non può mai essere condivisa con un certo numero di libri scritti a una certa età, in certi luoghi e in certe occasioni. Il concetto di autore scricchiola. Scricchiola a partire da qui. Se proprio lo si vuole mantenere, esso dovrebbe prevedere una sorpresa finale. Quale sorpresa? Quella che di colpo manifesterebbe un’opera messa insieme lungo tutta una vita, resa apposta casuale e monotona, non tramite libri singoli, ma attraverso rifacimenti dello stesso progetto, tendente a una sola frase fondamentale, o a uno snello insieme di frasi sottili e forse  fondamentali. Il libro è un intralcio, soprattutto per un autore. Autore sarebbe allora sinonimo di attività postuma. E probabilmente, prima di sparire del tutto, che gli piaccia o no, esso è destinato a diventarlo per davvero.
I libri sono un intralcio e un surrogato, appena appena adeguato, richiesti allo scopo di consegnare un autore al fatto di essersi adeguato ai fondamenti, del tutto arbitrari (quando lo si comprenderà?), di una carriera.
Che cosa cambierebbe col sopraggiungere di questi principi? L’opera sarebbe un enigma, a volte lunga, sì e no, quanto una frase; essere un autore sarebbe una delle tante manifestazioni dell’arte di restare nascosto per tutta la vita.

I Tre Culetti

Li chiamavano I Tre Culetti. Ma uno per uno li chiamavano: Culetto Suadente, Culetto Puntiglioso, Culetto Crudele.
In Italia, quando una persona non parla da sola, parla sempre addosso a un’altra persona: parla con rabbia e a voce sempre più alta, allo scopo di soffocare la parola di qualunque altra persona. I Tre Culetti, invece, parlavano sempre uno dopo l’altro, in modo soffice e curiosamente ordinato. Vero è che, secondo alcuni, più che di un ordine del discorso, si trattava di monotonia “secca e sputata”; e vero è che la voce dei Tre Culetti era di una monotonia incredibilmente fastidiosa. Nessuno però poteva negare che, nel discorso dei Tre Culetti, ci fosse alla fine un ordine superiore e perfetto, regolato appunto dal passaggio alla parola dei singoli Culetti: Culetto Suadente cominciava una frase gorgogliante di verdose promesse, Culetto Puntiglioso la continuava con una rabbia biancastra che alludeva a lontane minacce, Culetto Crudele la terminava con una stoccata di rabbia rutilante.
C’era poi qualcuno che, proprio a causa delle sfumature di colori che il discorso dei Tre Culetti prendeva, a mano a mano che i singoli Culetti si passavano la parola, chiamava i Tre Culetti il Triculore.

La professione di scrittore

Anders Behring Breivik ha risposto “Scrittore” al giudice che gli chiedeva la sua professione nel corso del processo che lo vedeva imputato per i fatti del 22 luglio 2011 in Norvegia.
Essere “scrittore” non dovrebbe mai poter essere considerato una professione. Si è “scrittori” solo tramite la decisione di un attimo, che però cambia la vita, ma di cui non si può essere poi più responsabili; un po’ come avviene per la decisione del suicidio: la decisione di un attimo. (Ovviamente non si parla qui dello scrittore postmoderno.) La differenza è che la decisione di essere scrittore può essere rilanciata diverse volte nel corso di una stessa vita, con esiti sempre diversi e inevitabili; cosa non possibile nel caso del suicidio.