La timidezza delle parole

La questione dell’olocausto non si pone. Il revisionismo ha avuto il merito di dare una scrollata alla questione, ma sembra ossessionato dalla priorità di assolvere il nazismo.
La questione dell’olocausto deve semmai essere impostata da un punto di vista completamente diverso. Questo punto di vista deve essere appunto, una volta di più, ciò che elimina il punto di vista.

Anche con la parola “razzismo” è la stessa cosa. Spesso si sente accusare di razzismo gruppi che storicamente sono stati vittima del razzismo. (Succede in Sudafrica dopo la fine dell’apartheid.) Ma questo è un cattivo uso del termine “razzismo” assunto solo in quanto parola. Vale a dire in una dimensione puramente di cronaca giornalistica. Si è spesso più timidi con le parole che con le persone. In realtà, il razzismo è una corrente filosofica e antropologica che concerne la razza bianca. La sua messa in gioco globalizzata non può essere passata di mano in mano come una moneta, cioè come una “parola” divenuta valore di scambio valido solo per convalidare un disvalore.
È appunto questo aspetto che riguarda anche l’olocausto.

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