Malumore

La brutta musica di Šostakovič può essere paragonata, in qualche modo, a quella di Rossini. Infatti anch’essa, per ricordare la bella definizione contenuta nell’Estetica di Hegel, è un “puro solletico per l’orecchio”.
Šostakovič può essere visto come un “Rossini cupo”, un mestierante stupratore della musica così come, molto tempo prima di lui, lo era stato Rossini, ma con l’aggiunta della cupezza tipica, gravida di futuro, del meticcio slavo; laddove Rossini non faceva altro che manifestare, nella sua maledetta musica, tutta la predisposizione del pagliaccio e del truffatore che costituiscono l’essenza del meticcio mediterraneo.
(Ma poi, che altro può essere “un meticcio che fa musica” se non uno stupratore della musica?)

Mendelssohn e Mahler

Nella musica di Mendelssohn e di Mahler c’è qualcosa di stranamente simile: un qualcosa che il termine superficialità può rendere. La musica è bella, convincente, ma è superficiale; si sente che manca di profondità.
Gli scherzi delle sinfonie di Mendelssohn riassumono appieno il misto di superficialità ed eleganza musicale. C’è maestria, arte della rappresentazione in tutti e due… ma qualcosa manca.
Una definizione possibile della musica di Mahler permette forse di comprendere quella di Mendelssohn: una musica troppo “profumata” per essere profonda.

Musica olistica

È un errore contrapporre la musica popolare, in quanto musica creata da una collettività, da un popolo, alla musica d’autore, cioè alla musica creata da un solo individuo. La musica è sempre creata da una sola persona. Una musica creata da più persone è invece da collegarsi a una musica creata secondo schemi industriali, cioè creata “a tavolino”, da più  persone raccolte intorno a un progetto.
A creare la musica è sempre un individuo, ma ciò che cambia è la posizione dell’individuo all’interno della società, che di volta in volta lo esprime con la particolarità, sempre in movimento, dell’individuo. Nella musica popolare l’individuo è parte integrante del popolo; nella musica non popolare l’individuo crea secondo il proprio capriccio, o secondo gli intenti di un’industria; nel migliore dei casi secondo lo Zeitgeist. La sua musica è così una musica che nessuna società può riconoscere come propria. È una musica che viene da fuori, come una moneta straniera – che ha valore, ma in tutta un’altra parte del mondo. Viceversa, nella musica popolare, l’individuo, che è parte integrante del popolo al quale appartiene, crea una musica che ricade in quel popolo come una freccia scagliata in alto e destinata a cadere in un raggio preciso, e nella quale il popolo si riconosce per sempre.
Non esiste un’epoca della musica popolare; né, tantomeno, una fine di essa. Chiunque può creare musica popolare. È la posizione dell’individuo all’interno di una società a rendere possibile la comparsa di una musica popolare. E questa posizione, a quanto sembra, non è data una volta per tutte in modo definitivo. Nel caso della musica popolare il compositore è parte del popolo; nel caso della musica non popolare il compositore si separa dal popolo. È per questo che, nel caso della musica popolare, sembra che a comporre la musica sia stata una totalità. Invece, nella musica popolare individuo e popolo sono un tutt’uno e il compositore è testimone di questa compresenza. Nel caso della musica non popolare il compositore si pone come un soggetto di fronte a un oggetto e suona (nella migliore delle ipotesi, cioè nel’ipotesi si mancanza di una industria culturale) questa separazione.
La musica popolare è un salto nella maschera che è comunque sempre possibile per l’individuo. È in questo il mistero della musica popolare, sempre morta e sempre viva. Quindi anche la musica popolare è una possibilità che continuamente si apre.
Abbiamo allora il caso di una musica olistica e di una musica esercitata attraverso diversi livelli di individualismo. La musica olistica è la reale creazione di un genio individuale; la musica individualistica è la reale creazione di una collettività grigiamente anonima.
Sullo sfondo c’è sempre il soggetto, che si configura come una fase in un ciclo, che ne ammette la comparsa così come la sparizione.
Nell’epoca della modernità, niente è più fragile della modernità.

Suonare il vuoto

Tutta la settima sinfonia di Mahler tende al rondò finale come movimento in grado di completarla perfettamente. Prima di Mahler, solo Haydn riusciva a scrivere sinfonie perfettamente concluse da un rondò.
C’è però un vuoto. Che tipo di vuoto? Tutti i movimenti sembrano abbozzare un tema che, di volta in volta, non viene mai esplicitamente fatto suonare.
Il movimento meno coinvolto in questa costruzione è il primo, che si basa su un tema di marcia. Il movimento dove più questa soluzione viene fatta suonare è il rondò finale. Infatti la sinfonia ha la sua logica e perfetta conclusione nel rondò finale.
Nella musica possono identificarsi diversi tipi di vuoto. Quello più pacchiano è rivelato nella Estetica di Hegel, nella forma di un giudizio sulla musica di Rossini. Questo giudizio suona: “puro solletico per l’orecchio”. È il tradimento della musica. L’uso indebito del dono musicale fatto agli uomini. La settima sinfonia di Mahler fa suonare il vuoto in un altro modo. Come impossibilità di determinare un tema con precisione. La sinfonia rimanda allora alla definizione di “tema” musicale e a ciò che c’era, nella musica, prima che, nella musica, ci fosse il vuoto. Questo tipo di vuoto. Ma che tipo di vuoto è questo vuoto?
La settima sinfonia di Mahler procede verso il riconoscimento del vuoto tra i vari componenti musicali che dovrebbero far suonare un tema nella sua integrità. Questa situazione di base è già stata riconosciuta.
Peter Revers ha notato che lo Scherzo si costruisce sulla dissociazione delle strutture tematiche e motiviche: c’è come il tentativo, da parte di alcune cellule ritmiche, di creare un tema, che però fallisce. Questo, secondo Revers, è un tratto comune delle ultime sinfonie di Mahler. Adorno vi riconosce un collasso delle strutture musicali. Più lontano nel tempo, continua Adorno, questa dissoluzione del tema può essere intravista già in Beethoven (dissociazione tra schema ritmico e tema vero e proprio, ad es. nella settima sinfonia). In Mahler questa dissociazione prende l’aspetto di una marcia senza interruzione (nel primo movimento), mentre nel rondò si manifesta in un modo meno definibile. Qui, infatti, ci sono diversi elementi che sembrano appartenere allo stesso insieme, ma questo insieme non costituisce mai un modulo musicale unico riconoscibile come tema, e tutta la musica suona così un vuoto tra quelle parti che proprio dovrebbero comporre l’insieme.
Alcune considerazioni:
Il tema non è più ciò che esprime la musica, ma ciò che la musica mette in scena: da soggetto del fare musicale, il tema diventa oggetto di questo fare.
La settima sinfonia di Mahler ha anche questo di particolare: rimpiange il tema.
Il quinto concerto di Beethoven evita il tema.
Partire dal concetto di musica tematica. La musica atematica è solo la musica prima di quella tematica. Alla fine della musica tematica c’è il rimpianto per il tema: il vuoto che si intravede.
Rimane un fatto: la differenza tra la musica vuota di Rossini e il vuoto suonato nella settima sinfonia di Mahler.
Gli Italiani sono Ebrei senza intelligenza.
Considerare le sinfonie di Mendelssohn. Un altro tipo di vuoto. Bozzetti effervescenti.
Il rondò della settima di Mahler allude a una musica che non c’è più. Tutti gli abbozzi iniziali di temi sembrano alludere a temi nel momento in cui il tema non c’è più.
È possibile un modo di scrivere (ad es. un romanzo) che usi la stessa tecnica della “musica che non c’è più”, almeno come compare nel rondò della settima di Mahler.

Peter Revers, The Seventh Symphony, in Donald Mitchell & Andrew Nicholson [Edited by], The Mahler Companion, Oxford University Press, Oxford 2002, pp. 376-399.

Un passo indietro

«It seems likely that Pfitzner was acquainted with Richard Wagner’s remarks to the Paris public concerning Der Freischütz (1841) in which Wagner claims that the poem of Freischütz seem to have been written by the Bohemian forests themselves. The specific German character of the tale, Wagner says, lies precisely in its depiction of Nature. In these passages, both Pfitzner and Wagner are placing Freischütz within a long cultural tradition that locates the national essence of Germany in its forests. Like so many other aspects of German cultural identity, this tradition was oppositional in its structure, pitting the German forests against the Mediterranean city, the greenery of the north against the masonry of the south.» (S.C. Meyer, Carl Maria von Weber and the Search for a German Opera, Indiana University Press, Indiana, Bloomington 2003, p. 105).
La foresta nel Freischütz è la rappresentazione del tratto fondamentale di una nazione e di ciò che la contrappone ad altre nazioni e civiltà. Per questa caratteristica il Freischütz è un caso unico. La focalizzazione sui personaggi nell’Euryanthe è invece un passo indietro, per un motivo ben preciso: nel Freischütz tutta la vicenda si svolgeva ai margini della foresta e al mondo dei cacciatori; nell’Euryanthe tutto si svolge nel mondo raffinato della corte medioevale.
Wagner rappresenterà un altro passo indietro, poiché tornerà al teatro tradizionale, soprattutto con l’opera che doveva regolare i conti col teatro francese e italiano: I maestri cantori. In Wagner lo scontro foresta città sarà del tutto assente, così come la messa in discussione della fonte non germanica del teatro.
In Wagner la questione non sarà mai tra luoghi, ma all’interno del teatro. Tutto si svolgerà dentro il meccanismo teatrale. La Tetralogia è senz’altro l’opera wagneriana più vicina alla mitologia germanica. Ma anch’essa è tallonata dallo spirito teatrale. L’oro del Reno e il Siegfried sono le opere che più si spingono oltre il teatro. La musica sembra un’onda continua e ha una compattezza unica. Siegfried, inoltre, riprende felicemente momenti dell’antica poesia germanica, come la gara di indovinelli. La valchiria e Il crepuscolo ricadono invece nella spirale del teatro. Cioè del teatro peggiore. Il teatro è qualcosa che viene dalla Grecia, che nulla ha a che fare con la mitologia. Wagner stesso intendeva collegarsi alla tragedia greca. Nel teatro c’è sempre qualcosa che puzza di latino, di italiano. Vale a dire: puzza di meticcio. In pratica, tutta la questione della Nascita della tragedia andrebbe riveduta.