Locuste bianche

Il romanzo Le locuste bianche (1958) di Chinua Achebe si delinea attraverso una parabola epico-brechtiana incentrata sul colonialismo.
Ma questo pone la domanda da sempre presente nel progetto brechtiano: chi è realmente chiamato a pensare attraverso questa forma di parabola?
Il romanzo è articolato in tre parti. Queste tre parti sono basate sulla inclusione dell’Altro nella struttura della narrazione. Che in questo caso si presenta secondo la forma seguente:
1) Autocoscienza (“Io” sono parte di questa società che descrivo attraverso il protagonista Okonkwo);
2) Comparsa dell’Altro nella fase dell’esilio;
3) Obnubilamento dell’Autocoscienza al ritorno dalla fine dell’esilio e scontro con l’Altro.
Il romanzo comprende venticinque brevi capitoli così ripartiti: tredici nella Prima parte; sei nella Seconda parte; di nuovo sei nella Terza parte.
Il bilanciamento tra Prima parte, di tredici capitoli, e le altre due parti, di complessive dodici capitoli, mostra chiaramente come alla base di questo romanzo sia lo squilibrio nel confronto con l’Altro. Uno squilibrio segnato da una unità in eccedenza. Che è ciò che deve essere lasciato cadere.
La fase dell’Autocoscienza è la più lunga. È il tempo in cui impariamo a conoscere Okonkwo, il protagonista delle Locuste bianche. La Seconda parte, dedicata all’esilio di Okonkwo nella terra del clan materno a causa di un incidente che ha provocato la morte di un uomo, è la parte che presenta la comparsa dell’Altro. È una comparsa qui solo mostrata come indiretta, attraverso il resoconto che ne fa un amico di Okonkwo, Obierika, che è andato a fargli visita nella terra dell’esilio. È quindi un Altro che compare, come riflesso, nella fase dell’esilio dell’Autocoscienza. La Parte terza è invece la fase che presenta l’obnubilamento dell’Autocoscienza, cioè la disgregazione dei valori tradizionali della civiltà Ibo, e lo scontro aperto con l’Altro.
La fase dell’Autocoscienza è la più lunga, comprendendo tredici capitoli. È il momento in cui avviene la descrizione orizzontale di un tempo orizzontale. E proprio qui sta la caratteristica delle Locuste bianche. Infatti Le locuste bianche è un testo che non si pone il compito di tramandare la memoria di un grande uomo, come nel caso delle saghe islandesi. Certo, Okonkwo è un personaggio rilevante all’interno della civiltà che il testo richiama. Okonkwo vuole emergere con gli strumenti che la sua civiltà gli mette a disposizione. Egli non li critica; li usa a suo favore. Sa che la sua determinazione è sufficiente per raggiungere un alto livello in quella civiltà. Il suo obiettivo è infatti diventare uno dei capi del clan. Con il padre, debole di carattere e pigro, si è dimostrato inflessibile. Sapendo di non poter contare su di lui, ha fatto sempre tutto da solo. Tuttavia Le locuste bianche non è costruito sul personaggio di Okonkwo, come la Egils saga Skallagrímssonar lo è sul personaggio di Egill, ma su ciò che lo attende, in quanto personaggio che agisce all’interno di una parabola. Questo perché Le locuste bianche è un testo composto per circolare in un ambiente diverso da quello che descrive. Il rapporto tra Okonkwo e la civiltà cui appartiene è semmai quello dell’Autocoscienza – e del suo scacco. Okonkwo si comprende in quanto comprende la propria civiltà; ma, soprattutto, Okonkwo è ciò che permette il funzionamento del romanzo di cui è protagonista, che ha la sua funzione nella presentazione della cultura Ibo e del suo sfaldamento a seguito della comparsa di una civiltà “altra”. Okonkwo può così funzionare come protagonista di una parabola di tipo brechtiano. Ciò che Le locuste bianche mostra svolgendosi come trama è infatti il rapporto con l’Altro, poiché nell’incontro con l’Altro si ha il punto fondamentale della trama, cioè lo sfaldamento dell’Autocoscienza in quanto accettazione della propria civiltà. Sfaldamento che porterà Okonkwo alla comprensione che nessuno, di quanti fanno parte del suo villaggio, combatterà ormai per difendere la propria civiltà, e quindi al suicidio.
La constatazione dell’Altro è il contro-tema della letteratura post-coloniale al tema della letteratura occidentale, incentrata sull’Altro. Ma questo contro-tema sorge come risposta al tema della letteratura occidentale, che è il tema dell’Altro. La letteratura post-coloniale introduce il tema di una colpevolizzazione tutta nuova, ma il meccanismo è lo stesso. Il romanzo occidentale ha sempre considerato l’Altro; ma è l’unico che possa tacitamente evolvere verso un’epica della distanza tra pari. In realtà questa Autocoscienza che organizza il materiale delle Locuste bianche è il tempo, cioè il tempo della letteratura post-coloniale, la quale si determina a partire dallo spazio, in quanto tempo della colonizzazione e della presa di coscienza, cioè nel rivolgimento di un punto dello spazio in tempo. Tema ben conosciuto nella filosofia occidentale come dialettica dello spazio e del tempo: «La negatività che si riferisce come punto allo spazio e sviluppa in esso le sue determinazioni come linea e superficie, nella sfera dell’essere fuori di sé è però altrettanto per sé e vi pone le sue determinazioni al tempo stesso come nella sfera dell’essere fuori di sé, con ciò stesso manifestandosi come indifferente rispetto all’inerte giustapposizione. La negatività posta così per sé è il tempo.» (G.W.F. Hegel, Enciclopedia, II, § 257, Utet, Torino, 2002, p. 111).
D’altra parte, la determinazione del romanzo come rappresentazione dell’incontro con l’Altro è ciò che la letteratura post-coloniale accetta della letteratura occidentale; capovolgendone ovviamente i termini. La letteratura post-coloniale ricicla così fasi della letteratura occidentale ormai superate nella letteratura occidentale e quindi temi filosofici. Qui lo vediamo operare con la teoria epica di Brecht, in Márquez lo vediamo operare con la tecnica di Faulkner. Ora si può dire che questa letteratura è un intralcio e svolge una funzione simile a quella del post-moderno, di cui pure è un attivo ingrediente. La letteratura del post-colonialismo si inserisce nel solco del postmoderno poiché ne condivide il tratto che ne è alla base: il ritorno al realismo in quanto residuo di realismo, integrato come realismo magico.
Okonkwo può quindi diventare protagonista solo ricorrendo allo sguardo sull’Altro, La narrazione è qualcosa che si svolge dal difuori (l’autore che organizza la storia da raccontare); e che non può essere svolta dal di dentro (le gesta del grand’uomo da tramandare). Okonkwo permette di rendere visibile la cultura Ibo, alla quale egli appartiene, a un pubblico estraneo ad essa, presumibilmente come è il pubblico occidentale, al quale il romanzo è rivolto.
Si è già notato che Okonkwo non riceve il suo statuto di protagonista a partire dalle grandi imprese da lui compiute, che il testo deve tramandare, ma solo in quanto rappresentante tipico di una civiltà e insieme come rappresentante tipico di un atteggiamento tipico nei confronti dell’Altro in quanto civiltà altra. Il suo è uno statuto di testimone passivo di una civiltà osservata nei suoi ingranaggi. Egli quindi offre solo la possibilità di mostrare gli ingranaggi di una civiltà in modo completo. Vale a dire in modo da evitare l’accusa di “mancanza di civiltà” o di “pensiero selvaggio”, che da quella civiltà “altra” lo hanno sempre raggiunto. Le locuste bianche ha il compito di dimostrare che la cultura Ibo era una cultura in sé completa, in grado di formare uomini e di distruggerne altri, come del resto tutte le civiltà e non aveva bisogno di un apporto da parte di un’altra civiltà. D’altronde, la figura di Okonkwo sorge solo nel momento in cui la civiltà di cui egli è chiamato ad essere il testimone è quasi già completamente scomparsa. Okonkwo è uno spettro, destinato a infestare non tanto la civiltà alla quale, in modo “tipico” apparteneva, quanto il romanzo occidentale. Infatti Le locuste bianche è un testo che trova il suo statuto solo all’interno della letteratura occidentale, come “romanzo”, il cui statuto, all’interno della civiltà occidentale, è tutt’altro che definito in modo univoco. Si consideri la struttura delle Locuste bianche: i tredici capitoli della Prima parte presentano il funzionamento della cultura Ibo attraverso il personaggio di Okonkwo; nel momento in cui la presentazione di questa civiltà ha raggiunto un livello di completezza accettabile, il personaggio di Okonkwo è eliminato, ricorrendo al confronto con la civiltà altra, cioè tramite il confronto con l’Altro.
Se la fase dell’Autocoscienza era la più lunga e si disponeva secondo la descrizione orizzontale di un tempo orizzontale, l’Altro è invece il fulmine che cade verticalmente e distrugge irreversibilmente la possibilità di una estensione in orizzontale. La Parte seconda e la Parte terza presentano infatti entrambe questa struttura; la Parte terza ampliando il movimento della parte precedente e concludendo con un contro-movimento da parte di Okonkwo: l’impiccagione, che lo muoverà, dapprima, verticalmente verso l’alto e, poi, dall’alto verso il basso, ponendo fine al suo scontro con l’Altro. L’immagine finale del romanzo è infatti quella dell’ufficiale inglese davanti al corpo appeso di Okonkwo, che progetta di scrivere un libro di etnologia. L’intero progetto che sta alla base di questo romanzo raggiunge così la sua totalità: Le locuste bianche era cominciato come progetto pseudo-etnologico da parte del suo autore, Chinua Achebe; e termina con uno pseudo progetto etnologico da parte di un personaggio di quel romanzo, il Commissario Distrettuale. Questo perché è lo sguardo sull’Altro che lo determina in tutte le sue articolazioni.
Il protagonista è un dato stabilito dall’Autocoscienza; l’Autocoscienza è un dato stabilito dalla civiltà occidentale. È questo il tributo che la letteratura post-coloniale si trova a pagare alla letteratura occidentale. Semmai l’Altro non deve essere né ignorato né demolito. Serve una filosofia che si disponga indipendentemente dall’Altro, cioè una filosofia finalmente in grado di evitare queste pastoie. Ma una tale filosofia potrà sorgere solo con il superamento del tema dell’Altro, che a sua volta richiede un mutamento antropologico. Per ora, quello che si può constatare, dando uno sguardo a tutto il pasticcio del colonialismo, è l’assoluta (quanto inevitabile) mancanza di spregiudicatezza dimostrata nel portare avanti il maledetto progetto del colonialismo, che doveva rispondere al bisogno di creare schiavi e ha creato eserciti invasori.

Chinua Achebe, Le locuste bianche, Mondadori, Milano 1962

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