Alice Guerra, “Dieci cose che ho imparato da Jessica Fletcher”

La frase è ciò che chi è chiamato a scrivere compone per indicare come le cose del mondo siano chiamate, in quel dato momento in cui si scrive, a determinare come le cose del mondo stiano insieme: «Voi lo sapete che esiste una teoria secondo la quale alla fine dei conti l’assassina di tutti gli omicidi che Jessica [Fletcher] si trova a risolvere in realtà è proprio lei? Effettivamente, dove va lei muore sempre qualcuno: o è un uccellaccio del malaugurio, oppure forse è proprio lei che uccide tutti e poi imbastisce delle storie per incastrare dei poveri malcapitati.» (p. 153); come a dire: le due possibilità hanno pondo stesso lungo storia (-la) – se penso (io) a ciò che riguarda “imbastire delle storie”, oppure essere “un uccellaccio del malaugurio”, perché questo è ciò che chiama tanto chi scrive quanto chi legge alla collina della legge, se mai qui può esserci cosa come quella là, – ma questo non ci deve allontanare dalla questione, che è ciò che tocca la fine della narrazione, che è appunto quello che incastra i tanti malcapitati giunti da prima, cioè chi ha avuto il compito di narrare, quanto ai tanti cui è capitato il compito di leggere, cioè chi si è infiltrato dopo, avendo avuto solo compito di ascoltare – infatti, ciò che il libro deve incastrare non è altro che chi legge, dico “chi legge” quale ingarbugliato punto che può essere precipitato solo come spunto, appunto perché l’arte di scrivere chiama l’arte di leggere – cosa che non ha nulla a che vedere con quanto da Brecht (Bertoldo, tutte ormai olive acide sue) borbottato appena a tempo di quello che su gambette storte sue reggevasi appena, ma ci troviamo in epoca in cui solo non l’Autore, ma anche il Lettore è stato bello rinvenuto stecchito sbiancato morto come in episodio di JBF (la Serie = La Signora in Giallo), e qualcosa come l’entità Jessica Fletcher, come nel romanzetto che vede Jory folle alto sprillare da fumetto di un appena cazzettin bello bello Jory lo Qualunque, Costa Ovest, sembra avere fatto fuori tutti, appunto per incastrare chi già era stato segnalato come bello stecchito nel suo mondo piano pianino per lui preparato – questo perché il libro non ha niente a che fare con chi è chiamato a leggere, sono appunto due cose del tutto (per quanto l’arte di leggere chiama l’arte di scrivere). Nei fatti ciò che si mette a nudo è il meticciato, che nelle città d’Europa equivale all’Islām tratto via a culo nudo di forza. Gli scrittori sono sempre riducibili ad una forma, Simenon ha inventato un modo tutto ovattato di scrivere, che è ciò che comporta l’atmosfera tanto ricordata da Sciascia come metodo di indagine del commissario Maigret, che però è ciò che, nelle città d’Occidente, pone l’Islām a sfacciato culo nudo in faccia – che per Simenon è il mondo ovattato della nebbia come atmosfera. Questo quando, appunto, punto dopo punto per assai comodo vicolo di ricircolazione porta ci porta spalla a sporta fine di teoria de la narrazione, ancora riproposta di recente da Byung-chul Han via Benjamin (Walter) – che sembra giungere a noi a lo istesso paradosso riguardo a quanto guarda il detto di un istretto narratore di Benjamin suddetto, cazzi tutti belli bardi suoi hai qui tanto caro a stecca: chi narra fa sempre violenza a ciò che narra, come dimostra Emmanuel Carrère nel saggio suo, sostengo, dall’omicida testo di titolo ristretto costretto a testa: Ucronia. Ogni racconto che salta giallo grillo gallo grullo su collo di chissà chi deve fare in modo di scrivere il giallo grillo gallo grullo in cui l’assassino è chi legge di tutto punto di suo mai noto – cioè del tutto ignaro di quello che si è posto appena a leggere, di ciò che sta facendo (partiam da qui, se ti va) – ma perché, ad un certo punto, tanto vorrei sapere, a quel bastardo di italiano è sprizzata tutta l’autodistruttiva voglia di leggere, a scapito suo, che porta al gioco del mondo? Infatti: che ci fa, questo bastardo di italiano, in Europa? È quello l’assassino pampano (rayuela d’opra manca), cioè ciò di cui il testo parla, ma non mette in inciampo suo alcunché di alcuno. Cazzo, lo avete tutto ciullo lì, no, ove lo sentite? Ma ciò che si oppone alla narrazione è ciò che comprende le serie televisive ed il cinema, che pure tanto pesantemente derivano da quel del teatro, dico male? Il problema di tutte le cose del mondo da descrivere è quello che ha dato origine al romanzo, men che mai ginger giallo, titolo: Infinite Jest, dipendente dalla narrativa postmoderna fin che vuoi in un picciol mio di generino bello in pelle: ogni enciclopedia parte sempre da un principio suo democratico, vale a dire dal giuoco dell’oca (orca porca); sì, però scrittore non è colui che usa le parole, ma che dalle parole compie il salto alla lingua di suo – di cima in cima in clima –, che fa allora, del tesoro, il tesoro della razza, che è ciò che lo scrittore porta di volta in volta a trafugar cosa picciola qualunque come la piccola coppa coppetta ciospa cignosa cosa di cui tratta il Beowulf. Cosa vuole, quel bastardo di italiano, in Europa? Tanto vale vedere la barcaccia tutta in un boccone da svendicchiare e poi (fine) far fagotto – presto adesso. Ti dico: erano cose che meritavano di fare quella là di fine – se identifichiamo un testo come cosa che, catturata, movesi dentro appena a sacco stretto, che strada si fa – allora la questione che il romanzo tutta deve sciogliere è: “a chi spetta il diritto di vivere?”, questa è la questione che riguarda ciò che il romanzo deve affrontare, da Lely a Chapoutot, passion passant selon Sade (mai ci crederai: vedo sempre più vicino quel bastardo di italiano, io), la poesia sulle rovine del castello, perché le rovine sono ciò che devono chiamare a la nova sora bat-ta-glia. Che è la battaglia della razza bianca contro il meticciato, che è ciò che riguarda l’abitare la terra, cioè la razza che ha diritto, alla fine, di abitare la terra. O il romanzo affronta la questione fondamentale della lingua, o favoletta che allora permane in ciò che riguarda parole e procedere solo tramite GPS in un ambiente di cui dea menoma idea alcuna esso ha – dico quindi bene alfine? Questo è ciò che porta la fine del romanzo, che non è ciò che comporta la scomparsa del romanzo a tutti effetti e cazzi duri pure tutti quanti suoi. Abbiamo infatti a che fare con marea di nuovo materiale: la marea del nuovo materiale di ciò che si oppone alla narrazione è la figura di ciò che traccia narrazione (la nuova). Chi è chiamato ad abitare la terra come razza che – allora – è la razza che abita la terra. La forma di narrazione di Dieci cose che ho imparato da Jessica Fletcher di Alice Guerra, che da tante cose pesca & intriga pur con punta di dialettale sprescia di matrioska anzichenò, fuorché dalla letteratura, mostra che c’è qualcosa di meglio della narrativa di Rachel Cusk, ed era ora di uscire da ’sta palude! salta ’sto romanzo due pietre d’inciampo, Rachel Cusk & Valerio Evangelisti (che peggiore è tra tutti). Gli elementi del romanzo ci sono tutti, ma, per fortuna, quello che si legge non è un romanzo. La serie televisiva La Signora in Giallo è una serie di racconti, a tutti effetti (gli), mentre Dieci cose è romanzo meno che mai, ma indica il modo fino ad allora fraudolentemente utilizzato da quella degenerazione del racconto che è il modo di procedere delle serie televisive o anche dei singoli bestseller. Il problema non sta nel personaggio della Signora in Giallo, ma nelle serie televisive, di cui anche quel personaggio parte fa sua bella quanto sonora clangolante tanto piccola propria parte; quindi non trame, ma configurazioni, che è ciò che costituisce la lingua italiana come “la lingua italiana” che è la cosa di cui qui si sta parlando, cioè l’alingua italiana. Se l’arte della narrazione è finita, bisogna pensare allora il nuovo modo di muoversi in ciò che ha costituito la fine de la narrazione. Ti rispondo: “Il meticcio italiano è la matassa Odradek che nessuno vuole trovarsi tra i piedi.” Che è ciò che ancora l’arte del bestseller dimostra di non avere chiaro ancora claro tutto quanto chiaro scracco di scarco gusto suo modo ora. Gli elementi del romanzo ci sono tutti, ma, per fortuna, quello che si legge non è un romanzo. Nella serie La Signora in Giallo tutto converge verso il personaggio di Jessica Fletcher, che deve risolvere il mistero. Richiamando, all’interno di un romanzo, quella stessa serie, due sono le possibilità: o ricostruire novella cosa che richiama ciò che non ha fatto altro che richiamare serie quella (dico -la “là”), oppure ricostruire novella cosa che non richiama più ciò che la serie imporrebbe di suo di richiamare allora (porre a richiamo), a livello di romanzo ma che indica novella cosa giusto come novella lingua. Il problema è l’arte della finzione. Rimane la funzione della chiacchiera, che darebbe vita ad un leggero “romanzo chiacchiera”, qui fortunosamente evitato – che può essere come piacere di una costruzione, o come punto in una serie in quanto costellazione di puri punti spunti spersi sparsi tutti quanti. Nel primo caso si arriva ad una parodia del romanzo, nel secondo dei casi ad una evocazione, anche ad un “giallo (più o meno)”, che sottintende *(quasi) romanzo, che poi può essere giallo oppure anche no, o anche (più o meno) altrimenti giallo, cioè, come indica il sottotitolo, (più o meno) romanzo. Il discorso sulle serie televisive merita un tipo diverso di romanzo, che può essere indicato come “romanzo”, indicato nel sottotitolo; così come il discorso sul romanzo che prende in esame le serie televisive merita un discorso diverso. Compito della letteratura è passare dalla parola alla lingua: come scherzo altro è che solo scherzo, così un bastardo di italiano è solo un bastardo di italiano, cioè nient’altro che scherzo uno nel mondo bruto, in cui c’è ancora quel bastardo italiano, lì – quella macchia che ti indico lì – in ciò che è la terra della razza, perché costituisce lo scherzo su cui si basa la macchia romanzo, la macchia che la forma, che ancora non conosciamo, deve cancellare; il rispetto delle parole porta alla lingua della maldicenza, che è ciò che porta a lo scherzo infinite di DFW, che è ciò che viene da lontano, così come a questa terra della sera giunta è da lontano ciò che richiama la forma, a noi, “teatro”, che è ciò che inquina il romanzo che ha condotto a le pedanti serie televisive che poi hanno inquinato il romanzo – ma questa, appunto, è tutta altra severa storia men che mai una; già, almeno finché il romanzo non prenderà la parola come genere in grado di dare parola (-la) a ciò che può dare la parola a ciò che si pone come ciò che può dare forma al mondo, quindi in quanto forma in grado di parlare de la razza, perché – sia chiaro – non ho niente contro gli italiani, però ciò che è italiano è ciò che che mi ha da sempre illuminato di schifo immenso, a partire da Dante (il primo islamista della storia), che sarà allora ciò che aprirà la porta alla lingua della razza, infatti leggere è ciò che porta, chi legge, dalle parole che conosce alla lingua che meno che mai conosce, – ma il meticciato è ciò che deve essere soppresso, proprio in quanto solo terra dove andare, cioè vita indegna di vivere, che è ciò che, per la modernità, è ciò che non vuole più vedere, per questo si stenta ad avere un romanzo della piena modernità – in cui questi bastardi di italiani devono prendersi il loro Dante di merda e il loro Boccaccio di merda e tornarsene in Africa, quando l’Africa è ciò che deve essere restituita a ciò che sta sotto l’acqua e mai parlarne più, come a sigla di tipo: “Chi mai era, quel bastardo di italiano?”.

Alice Guerra, Dieci cose che ho imparato da Jessica Fletcher. Un giallo (più o meno). Un mistero. Due indagini. Tre musi da can, Rizzoli, Milano 2024

Larry McMurtry, quadrilogia western

1. Discorso funebre sulla carcassa del nativo americano

Il nativo americano non abita la terra; piuttosto esso è la cosa che sfrutta il vuoto della terra per nascondervisi: «La terra di fronte a loro [dei ranger], che sembrava vuota, non lo era. Lì c’era un popolo che conosceva il vuoto meglio di lui [Augustus McCall]; lo conosceva anche meglio di Bigfoot e Shadrach [gli scout della compagnia]. Lo conosceva e lo rivendicava come suo. Era il popolo del vuoto.» (ICDM, p. 71). Queste cose viventi non sapevano di doversi nascondere fino all’arrivo dei coloni di razza bianca – cioè fino al momento in cui hanno dovuto affrontare esseri viventi, e non più cose viventi, come fino a quel momento avevano avuto a che fare –, quando nascondersi nel terriccio è diventato qualcosa di diverso dal nascondersi davanti a qualcosa che non conosce l’arte di nascondersi in quel terriccio, perché sono forme diverse di vita. Le battaglie in terra d’America avevano sempre riguardato battaglie di cose viventi contro altre cose viventi, nativi americani contro nativi americani, ma adesso le battaglie riguardano cose viventi, nativi americani contro esseri viventi, cioè razza bianca. Alla fine della sua vita, Buffalo Hump va a crepare nel vuoto della “terra”, consegnando la sua carcassa al terriccio che è sempre stato il suo ambiente naturale – terriccio, non terra. In quanto cosa vivente, una cosa vivente come un nativo americano non può chiedere niente più che un ambiente dove crescere e posare infine le ossa che avevano costituito la propria carcassa. Il meticcio Buffalo Hump consegna al vuoto del terriccio, che ha sempre occupato e mai abitato, quel vuoto che esso, in quanto cosa vivente, che era sempre stato in quanto cosa vivente, era sempre stato. In quel vuoto viene raggiunto dal figlio Blue Duck, cupa cosa cava scavata dal crocchio del croccante niente, lì giunta per ucciderlo e che infatti lo uccide, con un colpo gobbo scagliato sghembo di spalle di scatto: come crepa cosa vivente, come quella cosa che è il nativo americano? può cosa vivente crepare? crepa squallidamente, se per mano di un altro nativo americano, come vediamo crepare il meticcio indiano Buffalo Hump in questa occasione; può un meticcio, si può tornare a domandare, la cosa che non è mai nata, morire? vediamo come è crepato il meticcio Bufalo Gobbo, vediamo l’occasione di gloria negata per chi, di razza bianca, priva della vita un ammasso di cose viventi, come nel caso del “massacro di Wounded Knee”, perché togliere la vita ad un ammasso di meticci è sempre atto eroico – possiamo dire che l’arte di Larry McMurtry sfiora il tradimento della razza bianca? Qui è l’arte del racconto.

Solo la razza bianca pone la questione dell’abitare la terra, che è allora la questione dell’abitare la terra e avvia la riflessione che costituisce la riflessione filosofica circa l’abitare la terra, perché un negro, un meticcio, un nativo americano non abita la terra, ma occupa la terra, oppure scorre la terra, in qualità di migrante – questo è ciò che sarà dato a pensare quando gli umani riprenderanno a pensare diversamente dal tempo che impone loro di non pensare, che è questo tempo.

I nativi americani scompaiono, cessano di essere cose, classificate come cose viventi – semplicemente come il Proletario al centro del racconto Cuore di cane, ma può un nativo americano morire, indipendentemente dal modo in cui, nei film western, vediamo morire tanti perfetti nativi americani, pronti per essere abbattuti nella pronta inquadratura, inquadrati quando cadono scompostamente di colpo per terra non appena colpiti di un colpo da pallottole esplose con attenta noncuranza da qualcuno solo abbigliato diversamente, vale a dire: può mai morire, quella cosa che è solo cosa vivente, e non essere vivente? – quella cosa che è, ormai lo avrete capito, vita indegna di vivere?

Si può avanzare l’ipotesi della prosa pensante, che Heidegger ha sempre negato? Heidegger ha senz’altro sbagliato nel parlare della possibilità della poesia pensante, non concedendo attenzione alla prosa e ai saggi critici di Hölderlin. L’arte di Larry McMurtry è arte in grado di spacciare per arte qualsiasi cosa, anche la morte di un ladro laido nativo americano, deforme, violentatore, assassino, pluriomicida, giustamente ucciso con un colpo alle spalle di scatto dal proprio figlio, nato dallo stupro compiuto da quella cosa che era il meticcio indiano Buffalo Hump nei confronti di un messicano qualunque rapito e abusato (il meticcio messicano femmina di nome Rosa). È un’arte che non pone molti interrogativi, che, personalmente, mi ricorda l’arte mancante di Murakami Haruki e di J.K. Rowling.

La carcassa del grande capo South Dakota Bigfoot, che si può vedere scintillare distesa pallida appena entro la morsa stretta di neve e Internet, rivestita di opachi stracci e straccetti, sembra quella di uno zingaro qualunque, rivestito di stracci luridi, crepato dal freddo, appunto la carcassa di un migrante lungo la rotta balcanica, ma la voce di Johnny Cash, che ricorda quella carcassa, non ha nulla a che vedere con l’approssimazione ad una ballata qualunque come è quella cosa mal sonante, cosa piccola fatta fugacemente, da parte del meticcio italiano Fabrizio De Andrè, cosa fatta fugacemente, dico la canzoncina sua Fiume Sand Creek. Niente più che scarafaggi africani sono infatti gli italiani, o zingari africani – credo che il meticcio italiano Fabrizio De Andrè fosse ligure, o comunque di quelle luride parti d’Italia tanto altisonanti quanto assassine, non so bene (porco dio/me); ma il dio della razza bianca stramaledica sempre l’Italia tutta, fonte di tante parti varie e assassine tutte quante, zingari africani in fronte a zingari mongoli, solo vita indegna di vivere!

Ma il vero modo in cui possiamo conoscere i nativi d’America è quando miriamo la carcassa di un nativo americano. L’indiano, che non ha mai abitato la terra, e che in essa scompariva come vuoto da vuoto avvinto, appare adesso nella forma rattrappita di una cosa che non è più che cosa morta dopo essere stata cosa vivente, ma solo carcassa di un nativo americano. Questo è quello che si vede quando i quattro ranger e lo scout indiano Famous Shoes sono davanti alla carcassa della cosa che era stato Buffalo Hump, cioè il laido capo deforme Comanche – cosa violenta, subdola, spaccona, stupratrice, assassina, infida – adesso solo cosa inchiodata per sempre al terriccio di una lancia maneggiata con destrezza dal figlio meticcio, messo al mondo costringendo a violenza sessuale un messicano qualunque da poco prima rapito, Rosa di nome. Questo l’arte narrativa di Larry McMurtry lo dice – posto sempre che l’arte di scrivere chiami l’arte di leggere – cosa di cui dubito sempre di più. Comunque questi romanzi in quadrilogia di Larry McMurtry sono mille volte meglio dei film di Hollywood da ascrivere come Sottomissione. L’indiano è quella cosa vivente che sporca la terra, e la sua carcassa è quella cosa, non più vivente perché mai è stata tutt’altra cosa che cosa vivente, che continua a sporcare la terra. L’indiano è quella cosa che non ha mai abitato la terra, semmai è quella cosa che ha fatto parte della configurazione di un terriccio, come una pietra ha fatto parte della configurazione di un terreno. Per questo è giusto consegnare la carcassa del nativo americano Buffalo Hump al vuoto.

Vediamo quasi i ranger disposti a omaggiare la carcassa di quella turpe cosa che tempo tosto stata era cosa vivente, riconoscendo, in quella carcassa piccola e schifosa, morta schifosamente, l’ombra svanita di un grande capo una volta temuto, a causa della sua ferocia assassina. Bisogna preservare l’arte narrativa di Larry McMurtry dalla malafede degli storici che parlano di “genocidio” a proposito della colonizzazione da parte della razza bianca dell’America, Australia, Nuova Zelanda. La carcassa di un nativo americano è sempre la carcassa di una cosa vivente, perché una cosa vivente non muore mai, a meno che non venga inserita in un progetto di eliminazione di tutte le forme di cose viventi in quanto vita indegna di vivere. Paradossalmente, gli indiani che lo deridono in quanto vecchio e debole, non vedendo in lui più nessun segno della grandezza che quella cosa comunque mai ha posseduto, sono più nel giusto in confronto al modo di pensare dei ranger, che si ostinano a vedere in quella carcassa il corpo di un capo e non la carcassa di una cosa vivente, cioè di ciò che mai era stata veramente viva. I nativi americani vedono nel loro vecchio capo, ormai rimbambito dall’età, la carcassa che essi stessi, al di fuori dell’età, sono la cosa che, con ostinazione, occupa la terra senza mai abitare la terra. Questo perché è la terra a chiamare il suo abitante, e non viceversa; una cosa vivente che si installa su una terra sporca solo la terra, imprimendole vibrazioni negative, come hanno dimostrato Lovecraft e Miguel Serrano.

Ma perché la carcassa di un nativo americano (in quanto carcassa di ciò che era stata una cosa vivente) chiama al rispetto che dovrebbe avere un corpo umano non più in vita? In Tolkien le carcasse degli orchi non meritano alcun rispetto da parte dei nemici, che al termine delle battaglie li riuniscono in una catasta a cui poi appiccano il fuoco. Perché questo non succede anche alle carcasse dei nativi americani, per quanto si tratti della stessa cosa, vale a dire: vita indegna di vivere? Vari governi degli Stati Uniti hanno più volte ammesso di avere compiuto massacri nei confronti dei nativi americani, quando si è accertata l’uccisione di nativi americani nella forma di donne, vecchi, bambini e giovani indifesi – ma togliere la vita a un nativo americano è comunque sempre compiere quell’atto eroico che è atto eroico, qualunque cosa poi ci venga a dire il meticcio italiano Fabrizio De Andrè. Quello che si riconosce nella definizione di “massacro” di Wounded Knee è il trionfo dell’ideologia ugualitaria.

Solo l’arte del grande disprezzo potrebbe prendere la parola in un momento in cui la carcassa di un indiano diventa palpabile a occhi e mani diverse.

Lo sguardo si determina come sguardo aggrappato alla cultura diversa (come si evince dai diversi libri di George Catlin, e del quarto volume della Mitologica di Lévi-Strauss, del volume di Franz Boas sull’arte primitiva degli indiani della costa del Nordovest), siamo messi male, ma anche come sguardo che mira a cancellare la diversità che esiste, per chiudere la testimonianza in un museo.

Lo sguardo sull’altro non è lo sguardo dell’Incontro. Lo sguardo dell’Incontro e lo sguardo che determina l’altro nell’insieme delle sue possibilità.

Bisogna pensare le razze presenti in America secondo Larry McMurtry e secondo Lovecraft. Lovecraft vede la complessità degli europei, come gruppi di razza bianca (tedeschi, scandinavi, olandesi, celti), e meticci che devono essere scacciati (sacche di meticciato quali slavi, spagnoli, italiani), mentre Larry McMurtry non fa cenno a queste differenze. Lo sguardo del narratore di Larry McMurtry non ha nulla a che vedere con lo sguardo del pensatore marxista Walter Benjamin, che ha quella lontananza rassicurante che si capovolge di colpo in pericolo. È tipico di quei lontani pensatori marxisti distrarre l’attenzione, per fare in modo di scoprire la guardia dell’avversario, per portare dentro casa il pericolo appena esso sul crinale si è manifestato.

2. Adagio del sangue impuro

L’equilibrio imposto al sangue impuro pone la questione del sangue impuro, che non deve essere limitato al genere, ma alla razza, che è ciò di cui allora non si sapeva parlare, come adesso è ciò di cui non si può parlare. Parlare del genere e non della razza è ciò che porta alla violenza catatonica dei nativi americani, pure così bene spiattellata dall’arte narrativa di Larry McMurtry. In LC II/73 il meticcio indiano Red Hand è stato contaminato dal sangue mestruale di una delle sue mogli ed è terrorizzato, temendo esso vicina la propria fine. Il sangue mestruale è sangue impuro espulso in modo naturale. I nativi americani costituiscono un sangue impuro che sta per essere espulso in modo non naturale. Red Hand informa Buffalo Hump delle ultime novità riguardo la fine di Buffalo Horse e la cattura del capitano dei Texas Ranger di nome Inish Scull. La conoscenza della periodicità che rende le donne indisposte per i maschi hanno la controparte nella violenza catatonica dei nativi americani allo scorrere del sangue dei nemici. Contrariamente alla Hollywood degli anni Settanta e a Tex Willer dei meticci italiani, con svagata abilità narratologica sdoganata da Alessandro Baricco, la quadrilogia western di Larry McMurtry propone l’immagine diversa dei nativi americani, più simile a quella che compare delineata da Jack London – per chi ancora se lo ricorda, quando l’arte di scrivere chiamava l’arte di leggere.

Posso invece ricordare, come Intermezzo, la differenza che c’è tra la musica del compositore di razza bianca Anton Bruckner e la musica del compositore semita Gustav Mahler, che è pura arte di limpida gradevole decorazione. Forse Jansons ha il merito di uscire dalla scuola tedesca; lettone di nascita, abituato alle scoregge di Šostakovič, può far suonare il suono originario, lo son d’origine, di natura germanica imprigionato nelle sinfonie di Anton Bruckner. Non è impossibile che Jansons abbia visto la natura composita della musica di Bruckner, che nel rifiuto della musica di scena ha la sua piena e spiegata ragione infine d’essere. Non è il caso di parlare della musica del meticcio italiano Rossini, ma scegliendo di non parlare di ciò che riguarda la musica del meticcio italiano Gioacchino Rossini, io parlo sempre del meticcio italiano.

È importante: il di~segno di questa quadrilogia, che si configura in una presenza del nativo americano, cioè della vita indegna di vivere, nella vita piena di vita minacciosa, vita in declino, vita pericolosa se mai ce n’è una. Questo perché gli indiani non sono stati interamente eliminati in base a un progetto di genocidio. Chi parla di genocidio nel caso dei nativi americani, è in malafede. Ci sono state delle battaglie contro gli indiani. Ma in quella parte del mondo, chi legge questa quadrilogia, può dire che non c’è mai stato l’impulso di dare forma al mondo, decidendo a chi spetti il diritto di abitare la terra e chi debba invece essere eliminato in quanto vita indegna di vivere. La questione dei libri che parlano di “genocidio”, in perfetta malafede, è dove passa la differænza.

La quadrilogia ha la forma insinuante del serpente che striscia – Fafnir che striscia lungo la sua fine per bere: Il cammino del morto, storia come storiografia; Luna comanche, epica; Lonesome Dove, epica; Le strade di Laredo, storia come storiografia – per quanto scritti in periodi diversi, per cui l’ordine sarebbe 3-4-1-2, la quadrilogia vede l’epica all’interno dei quattro movimenti – e che colpito dalla fossa irrora del suo sangue impuro che rende immortale, anziché contaminare, colui che lo fatto sgorgare.

I nativi americani non dovevano essere sconfitti attraverso un programma di guerre, ma cancellati attraverso un capillare e assoluto progetto di genocidio, che solo avrebbe reso la terra “terra alleviata”, ma progetto che in quel periodo non poteva essere né pensato né tantomeno applicato, e che adesso può solo essere rimpianto, e la razza bianca la forma in grado di abitare la terra e i nativi americani la forma che non ha forma, mentre alla terra sarebbe stato restituito il suo diritto in quanto terra, cioè di chiamare il proprio abitante, mentre noi adesso pensiamo la terra solo come terra dove andare.

La razza bianca dovrebbe chiedere scusa per non avere pensato il genocidio, per non avere pensato e praticato la cancellazione delle forme di vita indegna di vivere. Con gli indiani è sempre da tenere presente l’enigmatica formula di Conrad: «Exterminate all the brutes!». Il progetto di sterminio dei selvaggi non nasce con la rotondità della logica, ma come punto lasciato enigmatico. La quadrilogia di Larry McMurtry permette di porre la differænza tra essere umano e cosa vivente – che non riguarda più la logica in quanto logica fondata sul sillogismo. Più si entra nel regno delle forme metamorfiche, più ogni singola forma suscita disgusto e si dimostra come una aberrazione che non ha diritto di vivere – ciò che è solo vita indegna di vivere: Gobba di bufalo gobbo, Anitra Blu, Ahumado. Ahumado e la sua banda viene dall’epoca dei Maya, e costituisce la controparte dei nativi del Nordamerica, che la razza bianca non ha cancellato e di cui dovrebbe scusarsi di non averlo fatto. È probabile che questa tetralogia affronti il problema delle razze da eliminare, perché ormai il momento è bello pronto.

3. Scherzo attorno la possibilità del western metafisico

Non si è scrittori se non si ha a che fare con tutte le parole del mondo, ma quando opera è ciò che chiama caos, in rapporto alle parole lasciate, anziché armonia, da qui è ciò che passa ciò che determina il tipo di scrittore comunque, cioè ciò che pone l’incontro nell’andare lungo la terra, che è l’incontro con l’altro. Due tipi di incontro, nel senso di “sbattere contro”, sono fulmineamente possibili nell’incontro che porta l’allaccio lungo la terra, che è allora l’andare nella Terra del Sacro in sovrapposizione quantistica con ciò che è Terra del Sacro: l’incontro con l’Altro, che determina l’Incontro; l’incontro con l’altro, che determina il western metafisico di Alessandro Baricco e Cormac McCarthy; l’incontro con il piccolo altro, che determina il romanzo storico di Larry McMurtry, con la conseguente eliminazione dei nativi americani in quanto vita indegna di vivere, per quanto in quei testi mai espressamente mi pare trovare attuato.

È in questa accezione di sospensione dalla terra che il western metafisico vira verso il fantasy, come dimostra Abel, e soprattutto il capitolo “Braccata da una fregata francese”, che cala nel mondo il narrato delle acque di sogno di Kadath.

Ma ciò che è l’andare nella terra chiede il pensiero relativo a ciò che è andare nella terra che è il ritorno dell’andare nella terra come terra che era stata la Terra del Sacro, che è ciò che deve allora ritornare a suonare, mentre la fine che si vede fare, da parte del piccolo altro, è sempre la brutta piccola e spicciola fine davvero in terra che attende ciò che è piccolo. Il western non metafisico esalta la sacralità della terra, che deve essere alleviata dalla presenza del nativo americano, in modo da dare il via alla Storia come sguardo, che è sguardo della razza bianca, mentre per andarsene dal punto di vista del western metafisico si chiede il botto del silenzio: Abel è un romanzo fantasy western, come dimostra il capitolo “Braccata da una fregata francese”, ma notare che McCarthy se n’è andato con il botto alla grande; la storia è infatti ciò che si definisce a patire da lo sguardo de la razza bianca, che pone il botto suo alla fine.

4. Presto & finale azzoppato ne la terra alleviata

La quadrilogia presenta il tema dell’andare per il mondo in gioventù e del conseguente incontro con l’altro, ne le sue più diverse forme. I nativi americani vengono presentati come forme di altro, perché quel tipo di incontro non pone giammai l’incontro con l’Altro, che solo è ciò che costituisce l’Incontro, che è dato in tutto alla razza bianca nel suo andare per il mondo, che solo può situare l’Incontro solo come incontro con lo stesso se pure in tempi suoi tanto diversi per tempi.

Casa è dove si può dire: “Esco di casa e incontro Svevo in via di quel porco dio di Rossini musichiere di tanti meticci italiani bastardi del cazzo”. Infatti il tema della sottomissione nel romanzo di Houellebecq (dal titolo Sottomissione) è il tema che sconsideratamente disconosce la questione razziale, che ormai invece è la questione principe che deve essere pensata: infatti, se non si ha un programma antivirus di soppressione dell’altro in quanto degenerazione, si ha la sottomissione all’altro. Tutto sommato, il western metafisico aveva già capito l’andazzo del cazzo ormai giusto, per cui, lestamente, Abel comincia con la frase: «Sento una vibrazione, allora sparo.», mentre dovrebbe, proprio ciò, in quanto competenza, dico, essere de lo Stato la questione di avvertire la vibrazione cazzo in atto. Il western metafisico si impiccia della cosa quando non c’è più terra sotto pochi spiccioli di terra appesa appena da sonare. Creando, Alessandro Baricco, il western metafisico, ha dato sgambetto a Cormac McCarthy a la grande, che mai si era impicciato di metafisica, salvo sonare col botto due ultimi grandi romanzi suoi, che passeggero e stella di mare fondono in un unico sono di differimento, da mare e prima ancora sotto mare, mentre Baricco aveva compreso ciò che solo spettava in quanto “western metafisico”.

Ma la guerra, che non abbiamo visto alternativamente, concretamente svolgersi lungo tutta quadrilogia questa, perché guerra nascosta, è la guerra tra razza bianca e meticciato mongolo in tutte sue le diverse forme, che sarà la nuova guerra che attende la razza bianca, quando si tornerà a parlare di nuovo di razza d’un colpo: e Occidente contro Oriente, razza bianca contro mongoli, perché tutto è cosa che qui giunge strisciando verso noi da lontano. Non permettere ai mongoli di vivere – laddove la terra è la terra della razza bianca. Non può esserci una sinfonia bruckneriana, al massimo sinfonia che arranca azzoppata alla fine.

Larry McMurtry, quadrilogia western:

ICDM – Il cammino del morto (1995), traduzione di Margherita Emo, Einaudi 2024

LC – Luna Comanche (1997), traduzione di Gaspare Bona, Einaudi 2025

LD – Lonesome Dove (1985), traduzione di Margherita Emo, Einaudi 2017

LSDL – Le strade di Laredo (1993), traduzione di Margherita Emo e Cristiana Mennella, Einaudi 2018

Tolkien, Sulle fiabe

Gnosticismo In Tolkien è fondamentale il concetto di subcreazione – cioè la sottocreazione che, in origine, viene fraudolentemente compiuta da un demiurgo, che, nel Silmarillion, segna l’origine della polifonia, perché il demiurgo si intromette nell’opera della creazione, si nasconde così come poi l’artista, secondo la teoria di Tolkien, crea un altro mondo – che comporta, secondo le regole della grammatica, chiamare *un’altro mondo, che è l’azione di chiamare la lingua in quanto presenza di ciò che è *l’alingua, che è ciò si pone in quanto Ecclesia di tutto un popolo che non c’è: l’apostrofo è allora ciò che si pone come differenza in tutti e due i casi, vale a dire ciò che fa la differenza, essendo, in entrambi i casi, pura differænza di ciò che non c’è, che mostra come il fantasy nasca da tale ambiguità d’ombra resa ombrosa nel tratto d’apostrofo. Chiamare la lingua in quanto ciò che è l’alingua comporta chiamare l’imbastardimento, cioè il meticciato, anche solo in quanto tratto grammaticale ricomposto attraverso lo spazio di un piccolo apostrofo. L’apostrofo è ciò che pone ciò che parla come ciò che non ha diritto alla parola in quanto essere umano, bensì in quanto cosa vivente, che è ciò che gli orchi esprimono nel loro dissonante clangore di suoni, che, comunque, secondo Tolkien è ciò che comporta la possibilità di una trasmissione di ordini, per quanto mai di una storiografia. È una parata di imbecilli.

Il piccolo fascino del male – In duale forma, sì frapposta, ravvisasi, penso, pure puer per paro-paro collegamento fra meticcio e delinquente, che Lombroso Cesare aveva di suo già prima posto tutto a suo comprendimento; posto che meticcio e delinquente siano, attualmente, forme le più interessanti tra tutte le – da qui la sfioritura ampia & fioritura di romanzi magri visti giallo su gialli (dico romanzi gialli, come pure romanzi neri, secondo quanto informa Sciascia su copertine, paro paro), visto che, se di delinquenza si può liberamente parlare e straparlare, di razza non si deve più ciarlar giammai in modo alcuno.

Il pericolo – Ma canto d’altro & punto di vista altro tutto apposto, l’incontro con il punto del mito è ciò che costituisce il pericolo, così come l’omicidio, come uccisione di uno o molti ancora più individui, in quanto trasgressione di uno individuo, è ciò che si oppone al genocidio, come impegno di ciò che lo Stato ha lasciato cadere, omicidio di una fascia intera di cose, perché l’umano è ciò che è chiamato ad incontrare, di suo da sempre, il pericolo – Grazie al dio della razza bianca, non al Dio del nemico, a cui meno che mai rispondiamo.

Le tre forme viventi – Tolkien considera tre tipologie di forme viventi, nella propria sua picciola sì tanto dispersa opera, che ricordano tre le forme possibili di esseri viventi secondo teoria nomata “gnosticismo”: forme passibili di spirituali, forme di psichici, forme di ilici: che in Tolkien comporta successione de le forme via via nomate come: forma di elfi, forma di umani, forma di orchi. Siamo allora sicuri di conoscere quello che Tolkien ha scritto e che poi ci è stato presentato?

Il cristianesimo dimenticato – Alessandro Dal Lago (Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, Laterza 2017) richiama l’attenzione su di un punto del Beowulf in cui Grendel è l’essere della stirpe di Caino che non è stato accolto, ma che invece è stato rifiutato dalla comunità degli umani, quando Grendel era solo la deforme forma che solo chiedeva accoglienza, pari pari ne lo istesso modo in cui accoglienza chiedeva la creatura di Frankenstein – o qualunque migrante adesso in Europa.

Annientamento – Nel romanzetto di fantascienza di Charles Stross Annientamento (2015), una cosa parvi certa: quando ampiamente dal mito siamo passati al romanzo – vi siamo passati *ampliamente. Ma ciò che questo romanzetto di fantascienza esprime è l’inclusione verso tutte le forme che mito e romanzo avevano presentato come ciò che deve essere escluso: cioè il mostro. Nel romanzetto di Charles Stross queste forme di mostri (si tratti di vampiri o di sirene) sono solo le rappresentanti forme di minoranze che devono essere accolte all’interno delle comunità di normodotati e non si parla mai di “vita indegna di vivere”, che è invece ciò che muoveva ancora la narrativa di Tolkien, rendendola pure così viva e affascinante.

Fiabesco – Considerare il carattere fiabesco presente in Tolkien vuole dire confrontarsi con l’antirealismo presente in quel suo tipo di letteratura. Il fiabesco è l’impossibilità del nuovo pensiero, cioè il cristianesimo che ha invaso ogni settore del pensiero. L’impossibilità ha la sua espressione nelle tre forme viventi indicate. Tolkien ricorre al fiabesco per dire quello che, una letteratura di stampo realista, non avrebbe più potuto dire: le razze umane non sono tutte uguali e alcune razze “umane” hanno meno che mai diritto di vivere, essendo nient’altro che vita indegna di vivere – perché le razze non sono tutte uguali. Dumézil e Lévi-Strauss hanno parlato del passaggio dal mito al romanzo, cioè del romanzo come di ciò che segna la fine del mito; Tolkien vuole invece rinnovare il mito tramite il romanzo – questo è quello che Eroi e mostri ha indicato come elemento originario del fantasy. Tolkien ha cercato di rivivificare il mito attraverso il romanzo, ricorrendo a diversi generi (poesie, narrazioni), ma non ha considerato quello che doveva essere la cosa principale: la storia del linguaggio come storia autentica che doveva subentrare alla storia fasulla dei personaggi, rintracciata nella psicologia, che è la carta falsa del personaggio in quanto ciò che fa la carta falsa della narrativa. Tolkien si è invece accontentato di un incontro di stile alto con uno stile basso all’interno della forma-romanzo. Rimane però sempre la domanda implicitamente posta da Eroi e mostri: perché proprio il tempo del Medioevo? Quando si parla di Medioevo, si intende sempre il Medioevo latino, mai quello germanico; Medioevo romano vuole dire impero Europa, ovvero cristianità – senza salto di lingua; medioevo germanico vuole dire nordisk hedendom con salto di lingua. Tolkien è rimasto fra i due mondi stretto, infatti pensava al romanzo Il Signore degli Anelli come una incursione degli hobbit nel mondo eroico.

Dare forma al mondo – Acquisita che è stata la polifonia come forma novella possibile di espressione, si accetta la possibilità di “dare forma al mondo”, che, una volta acquisito il numero delle razze del mondo, pone la questione di porre in primo piano la possibilità del Gioco del mondo – che però niente altro è se non il gioco de le perle di vetro, cioè il GPS che stabilisce nient’altro che la posizione in una misurazione che è misurazione quantistica, in quanto ciò che chiama la decoerenza, come dimostra ampio nel suo modo già il Silmarillion: «Ma giunti che furono nel Vuoto, così Ilùvatar parlò: “Guardate la vostra Musica!”. Ed egli mostrò loro una visione, conferendo agli Ainur vista là dove prima era solo udito; ed essi scorsero un nuovo Mondo reso visibile al loro cospetto, e il Mondo era sferico in mezzo al Vuoto, e in esso sospeso, ma non ne era parte.» (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, traduzione di Francesco Saba Sardi, Rusconi 1985, p. 14).

Eroi e mostri di Alessandro Dal Lago – Tolkien ripete nella sua opera una cosa che la sua morale cristiana non gli avrebbe mai permesso di formulare compiutamente: le forme viventi non sono tutte uguali, meno che mai davanti al Signore, alcune non meritano considerazione alcuna, né da vivi né da morti, come gli orchi. Queste considerazioni si trovano esposte nel libro di Alessandro Dal Lago, Eroi e mostri. Il fantasy come macchina mitologica, il Mulino 2017). «Allora gli elfi lo legarono [Thorin] con delle cinghie, lo chiusero in una delle caverne più profonde dietro una massiccia porta di legno e lo lasciarono lì. Gli diedero da mangiare e da bere, tutte e due le cose in abbondanza, anche se non di qualità sopraffina; perché gli Elfi dei Boschi non sono goblin, e si comportano in modo civile anche con i loro peggiori nemici, quando li fanno prigionieri. I ragni giganti sono le uniche creature per cui non hanno alcuna pietà.» (J.R.R. Tolkien, Lo hobbit, traduzione di Wu Ming 4, Giunti/Bompiani, Firenze-Milano 2024, p. 182). È importante il fatto che, per alcune creature viventi, in quel testo, non debba esserci pietà – cioè per le cose viventi, che non sono esseri viventi a pieno diritto; le cose per cui la vita è solo un peso che altri devono trascinare, cioè la vita indegna di vivere.

Mito e romanzo – La questione è che il romanzo svincola l’uomo delinquente, mentre il mito non svincolava mai il trickster in tutte le sue piccole varie forme in cui si è interrato. Il meticcio italiano Dante è stato il primo caso, in letteratura, di homo delinquente, essendo stato il primo caso di islamista lasciato libero di agire con i suoi turpi progetti criminali. Le parole usate dal meticcio italiano Dante non riguardavano né il mito né il romanzo. Il meticcio russo Dostoevskij è stato l’ultimo caso di homo delinquente, teorizzato in Delitto e castigo, la cui domanda, lasciata libera di agire, ha portato a la domanda pulsante da parte del filosofo di razza bianca Nietzsche. Alcune razze hanno inciso dalla nascita il marchio della propria eliminazione: guai a chi salva in sé il marchio del deserto.

La terra viva – Non c’è idea del Sacro senza disprezzo per il meticciato e senza disprezzo per il meticcio che la terra inquina con sua propria diretta presenza (cioè ciò che “quella terra”, vale a dire la Terra del Sacro, il meticcio porta alla fine). L’Idea della terra viva, Sacro, meticciato e terra sono tre cose saldamente collegate fra tutte loro, almeno per ora, e l’una deve richiamare sempre le due altre, tutte altre due.

La questione Tolkien – Tolkien ha cercato di portare a vita novella il mito attraverso il romanzo, destinando l’arte sua a tanti difformi generi diversi di poesie e narrazioni, ma non ha considerato quello che doveva essere la cosa che si poteva configurare nella narrazione come storia del linguaggio, adesso, al posto di ciò che costituiva la vecchia narrativa, relativa a intreccio & personaggi. Invece si è accontentato di un incontro di stili come incontro di stile alto e stile basso – di romanzo. Questo è appunto ciò che divide Tolkien e Joyce. Sempre rimane la domanda posta da Eroi e mostri: perché proprio e sempre il Medioevo? Si potrebbe avanzare questa ipotesi: quando si parla di Medioevo, si intende sempre il Medioevo romano, mai quello germanico; Medioevo romano vuole dire cristianesimo; medioevo germanico vuole dire nordisk hedendom. Tolkien è rimasto imperlagato fra li mondi due, infatti ha pensato il Signore come la incursione degli hobbit nel mondo degli eroi: ha creato il gioco delle perle di vetro sfuggendo ciò in cui si era trovato semplicemente ma prosaicamente impelagato.

Razza e disprezzo – La diversità de le razze, razze due (ciò che la lingua norvegese espone con la felice espressione “begge to”) chiama il disprezzo perché il modo in cui una razza parla di un’altra razza è la manifestazione di un disprezzo verso quel germoglio di diversità – il GPS è ciò che indica il posizionamento nel gioco del mondo, nel momento in cui il gioco del mondo è tutto il gioco de le perle di vetro cioè il GlasPerlenSpiel attuato di colpo in una volta come salto di vetta in vetta.

Anticristianesimo in Tolkien – Nella narrativa di Tolkien c’è una componente tanto autenticamente cristiana quanto fortemente anticristiana, che è ciò che può rendere Tolkien un grande scrittore, che si manifesta nella componente gnostica, che implica la creazione come ciò che è una cosa avvenuta in più fasi, comportante l’intervento di un Demiurgo; la presenza di varie forme viventi, fra cui una forma che è nient’altro è se non “cosa vivente”, cioè gli orchi, che devono comunque essere cancellati dall’opera della creazione. In Tolkien gli orchi sono solo il prodotto di un incrocio cristallizzatosi a malefici fini nascosti bene, per cui gli orchi sono sempre ciò che va cancellato in quanto forma la vivente, cioè in quanto quella anomalia che è la cosa vivente e ciò che deve essere annullato con il fuoco quando appunto se ne ha a che fare soltanto nella forma di un mucchio di carcasse accatastate al termine di una battaglia.

La Terra del Sacro – Come ciò che, nel testo, deve rimanere in quanto ciò che deve rimanere in quanto vuoto – senza alla fine esserci punto

J.R.R. Tolkien, Sulle fiabe, in Id., Albero e foglia, Rusconi, Milano 1984, pp. 7-100. Traduzione di Francesco Saba Sardi.

Taguieff, Il razzismo

Per qualsiasi considerazione del libro di Pierre-André Taguieff, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti (1999), è importante partire dal capitolo finale, che pone la domanda fondamentale, su cui questo post piglia le mosse: Perché essere antirazzisti?vale a dire: “perché l’antirazzismo – cioè la cosa a cui tutti, comunque, devono aderire?Vogliamo, prima di tutto, vedere che cosa dice Taguieff?

«Dobbiamo partire da un apparente paradosso, ben noto per quanto non ben sondato: mentre la parola “razza” è diventata “tabù”, ed è comunque ideologicamente sospetta e quindi viene evitata, dopo la sconfitta del regime nazista che l’aveva massicciamente sfruttata a fini propagandistici, la parola “razzismo”, al contrario, non solo è comunemente utilizzata, ma viene applicata a un numero indefinito di situazioni, ed assume quindi una funzione vaga, come approssimativo sinonimo di esclusione, di rigetto, di ostilità, di odio, di paura fobica o di disprezzo.» (p. 5).

Possiamo dire che la parola “razza” rischia adesso la stessa sorte toccata alla parola “religione” tanto tempo fa: considerata cosa inutile dalla ideologia dominante nei primi decenni del Novecento, è stata, da allora, posta al bando, finché il terrorismo islamico non l’ha più volte, in pluriforme spoglie, portata a spartire dai Settanta qual cosa da considerare, come cosa contro cui si sbatte si sbanda, per cui la razza è la cosa contro cui si sbatte e sbanda adesso: il mongolo, il terrorista islamico, l’italiano di merda in cui s’inciampa a forza, e che dice che il terriccio su cui quello sta non è più la terra degli europei.

La messa al bando, ombre, larve, de la parola “razza” è il pericolo che attualmente ha a che fare con la razza bianca, quando l’idea apre a ciò che è il parlare di razza, quando l’unico sistema politico, che abbia parlato di razza, è stato il nazismo, che adesso può essere considerato solo in quanto hitlerismo esoterico – quando è allora sempre la vicinanza la cosa che deve essere combattuta. La parola “razza” subirà la stessa sorte della parola “religione”.

«Sulle terre mobili del razzismo, o meglio, dei razzismi, tutto è in continua ridefinizione, tutti i dati subiscono delle metamorfosi, mentre gli elementi simbolici si rinnovano.» (p. 7).

«Il vacillamento dell’evidenza d’origine biblica dell’unità dell’uomo, nell’Europa erudita del XVIII e del XIX secolo, non ha potuto prodursi che, da una parte, a causa della radicale naturalizzazione dello statuto della specie umana all’interno dell’ordine del vivente (e più precisamente nel regno animale) attraverso l’iscrizione dell’umano nel sistema zoologico (Linné, Buffon), e, dall’altra, a causa del progresso dell’irreligiosità, dell’ateismo e dello spirito della libera ricerca.» (p. 16) – che è proprio ciò che riguarda Nietzsche in quanto pensatore della fine dell’epoca della metafisica. Ma in quanto fenomeno occidentale e moderno, il pensiero razzista presenta comunque una invariante: la messa in questione dell’unità del genere umano, vale a dire ciò che determina ciò che riguarda ciò che è dell’essere umano, quando, ormai, non tutte le forme viventi possono essere considerate più soltanto forme dello stesso essere umano.

«La radicalizzazione del pensiero razzista è stata, dunque, favorita dalla decristianizzazione degli spiriti, che ha trasformato in leggenda o in mito la tesi monogenista la quale dava un fondamento culturale alla visione della fraterna unità di tutti gli uomini.» (p. 16). Il razzismo è stato favorito dall’indebolimento delle teorie cristiane in quanto mito della creazione da parte di un’unica coppia umana, mito ritenuto ormai semplice leggenda – ma da qui punto in cui il razzismo si apre in quanto pensiero critico e pensiero diverso.

Il razzismo è un mito, e, in quanto tale, non fondato su base scientifica: il mito è ciò che deve essere caricato di significato perché scaricato del significato all’origine; gioco perché il gioco è assurdo, contrariamente alla scienza, perché di per sé vuoto, pura struttura, masse che si aprono in quanto pura ampiezza, come fa la musica – struttura assente, musica per sordi, come da sempre è stata la musica autentica: il razzismo è un modo di vedere il mondo in quanto modo che è mondo solo come modo di giocare il gioco del mondo, cioè modo di vedere il mondo in quanto mondo da giocare.

Scienza è ciò che va sottoposta al principio che, di volta in volta, ne verifica le ipotesi, oppure le invalida; il mito è ciò che è destinato a ritornare, non essendo soggetto alla prova di validità – per questo il mito è pericoloso in quanto incontro con ciò che determina il pericolo. Il razzismo, nella forma del nazismo, ha rappresentato l’incontro con l’estrema pericolosità del mito, determinando, nella forma della rovina architettonica, ciò che è destinato a ritornare – che non comporta più il rispetto di ciò che è vero in quanto adeguamento a dottrina scientifica in un momento, ma adeguamento a ciò che è destinato a ritornare più volte nel tempo, che, a partire dalla forma della rovina, è ciò che chiama alla nuova battaglia.

Qualunque manifestazione possa allora avere la possibilità di “pensare diversamente”, bisogna considerare che, in qualunque manifestazione umana, vale sempre la domanda impostata da Nietzsche: “Perché la verità?”.

Che cosa ha stabilito, questo libro, prima della domanda fondamentale che esso ha posto: «Come si diventa razzisti?» Una risposta può essere: “per caso, ma solo sempre quando si è alla ricerca di qualcosa che è tutt’altro da quello da cui si era partiti”, vediamo che la spiegazione è già tutta nell’avvio di Jacques di Diderot – che è il punto più giusto per impostare il tema riguardante l’Illuminismo, domanda posta come domanda prima da Taguieff, eppure tema che conduce al superamento del cristianesimo, che vale in quanto superamento della metafisica. Per cui l’Illuminismo è sempre il punto giusto per porre questa domanda da un grande angolo giro di occhio di Olanda: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano, in Europa?”

Bort från Europa!” deve allora essere la risposta contro questa cosa (che è il bastardo italiano) che spinge e spunta, spina fastidiosa, cosa ormai da tutte le parti – ricordare ancora che la risposta dal punto di vista illuministico era la prima risposta proposta nel libro di Taguieff.

Il razzismo non si dimostra e non si difende, perché è ciò che si sente come viva cosa che cosa si vede di colpo saltare come tutto in cui non tutto ciò che vive ha più diritto alla vita – perché si riconosce che esiste la vita che è vita in quanto vita che è vita indegna di vivere, che è la cosa che adesso deve essere vista in quanto cosa vivente che costituisce solo forma che deve essere cancellata.

Il tema del superamento del cristianesimo è ciò che porta al tema della terra in quanto terra viva, che è ciò che porta a dividere essere vivente da cosa vivente, in quanto ciò che divide pura immagine di ciò che è vivente, così come gli esseri ilici nient’altro erano che pura immagine della forma divina riferita dallo gnosticismo – che è ciò che Heidegger ha indicato in quanto accaduto nei campi di sterminio nazisti, dove solo forme erano state annullate, senza che nessuno, contrariamente a quanto si cominciava allora a dire, fosse mai morto. Poiché quelle cose non potevano morire, così come non può morire mai pietra, quando viene annullata, spiccata, spaccata, spacciata, dissolta entro sua di petra petrosa scontrosa natura. Questo rimanda alla duplicità dell’oggetto, che è la cosa con cui noi comunemente siamo chiamati ad avere a che fare, perché è ciò che deve sottrarre la Cosa, con cui abbiamo a che fare solo appena una volta, quando dalla cosa con cui abbiamo a che fare comunemente, passiamo a la Cosa come incontro che l’Incontro si ha con la Cosa, che allora incontriamo solo nella Terra del Sacro, quando la terra non è che terra dove andare, in quanto terra dove andare è solo terra in quanto Terra del Sacro, perché è il Nord che chiama.

Anziché essere la cosa volgare che oggi si pensa essere, il razzismo è la cosa che ha a che fare con il sacro.

Sia chiaro: alle Fosse Ardeatine ci cago sopra, dritto come chiaro è che chiaro è che, se Nelson Mandela mi fosse capitato fra le mani, gli avrei rifilato la polpetta avvelenata diritto – che chiaro si meritava e che lo avrebbe fatto fuori in 4 + 4 = 8. Se al terrorista negro Nelson Mandela fosse stata data la polpetta avvelenata, del terrorista Nelson Mandela non si sarebbe mai più balbettato. Dico che Dante, da che mondo è mondo, mi ha sempre dato il voltastomaco.

Ma mai mi si venga a dire che il meticcio impesta la terra spostandosi, lungo verme, lungo terra lunga tutta, il meticcio sporca e azzanna la terra anche quando non sporca la terra, perché il meticcio è sporcizia: per questo il meticcio è ciò che deve essere fermato prima di ogni suo andare. Questo perché il meticcio non è la cosa che deve essere eliminata per quello che fa, ma la cosa che deve essere eliminata per quello che è, per cui salvare la vita a un negro è l’atto criminale di cui si dovrebbe essere chiamati a rendere conto.

Ma penso intanto si debba partire dal corpo falso corpo/uomo di Artaud, che implica l’arte di rinascere al mondo senza più madre né padre a seguito proprio, che è quello che è successo finora ai bastardi – che è ciò che avviene quando la lingua si configura come lingua che pone la differænza dalla parola. Ma qui bisogna rimandare alla lettura di Miguel Serrano: Che cosa vuole dire nascere là dove parlare di razza è come parlare di corda in casa dell’impiccato?

Quindi? Quello che è da affrontare è il tema filosofico dell’abitare la terra: solo la razza bianca abita la terra; razza bianca, ovvero razzismo, poiché il razzismo riguarda il modo di sentire la terra da parte della razza chiamata dalla terra ad abitare la terra, cioè la razza bianca, che è ciò che esclude la nozione moderna di “individuo”. Non esiste, né mai esisterà, razzismo da parte del negro o del meticcio, perché il meticcio o il negro non abitano la terra, ma occupano la terra così come una cosa occupa una cosa, oppure il meticcio e il negro trasformano ciò che occupano in cosa vasta sempre morta. Il razzismo è la scelta della terra che deve essere vista in quanto terra che è terra viva, cioè terra cosa cui spetta il diritto di scegliere il proprio abitantequindi la scelta della terra che cerca i suoi abitanti, quando gli umani avvertono la scelta della terra in quanto terra viva, mentre i meticci ne offrono soltanto la sonora beffa in scorza di pernacchia.

La musica del meticcio italiano Monteverdi ha molto in comune con quella del meticcio slavo Musorgskij; mi riferisco al tipo di approccio che un ascoltatore di razza bianca ha nei confronti di quella marmaglia di musica: è musica bella, eppure musica dotata di un qualcosa che deve tenere lontano quell’ascoltatore.

Noi tutti conosciamo il meticcio italiano Dante e il meticcio italiano Boccaccio, e puranco, dire oso, il meticcio italiano d’Annunzio (Gabriele Rapagnetta) e il meticcio italiano Pasolini (Pier Paolo finocchietto), ma possiamo dire, noi, che conosciamo il meticcio? Il meticcio è la beffa che l’età disegna sul muso che ci sghignazza davanti – conosciamo gli italiani, gli italiani di merda, che hanno impestato il mondo? Mai sia stalla, Europa, per bestiame di Allah, arabi o italiani; ma terra sia ove si stana e straccia a pezzi il Dio del nemico con la sua marmaglia – che è ciò che porta a pensare diversamente, che è quello per cui ci si era posti qui alla ricerca, come risposta posta dalla domanda del libro di Taguieff. Solo allora si avrà l’apertura del mondo in quanto mondo come mondo che è mondo da giocare, vale a dire modo di giocare il gioco del mondo. Terra d’Europa non è ciò che sta come città aperta d’Europa; quando come animali, famiglie zombie, cose portatori di caffettano, caracollano ne le città aperte d’Europa, che non è terra d’Europa: il portatore di caffettano maschio apre la fila con il suo palco bianco a vista, il portatore di caffettano femmina segue subito dietro, i portatori piccioli di caffettano cuccioli giungono ultimi in ciuccio all’uscita dell’ultimo supermercato nelle città, che è l’ultima città rimasta sul palco d’Europa.

Per usare adesso le parole di Nietzsche di tanto tempo fa, un negro deve essere, sì, aiutato, ma aiutato a morire.

Importante: che cosa spinge al razzismo? ciò che distingue, per natura, tra malattia e salute, ma se non c’è più questa possibilità di distinguere per natura, mi sa che è inutile tentare di inculcare questa possibilità.

Ma mi sa che ho smarrito il filo… Come deve essere profondo, oggi, ciò che è lo scrittore… dico “oggi”, che è ciò che determina lo scrittore che è solo lo scrittore che sarà scrittore di domani… profondo come è profondo, oggi, solo il sonno – che è il sonno della ragione, che è solo il sonno della nostra ragione.

Cazzo!, ho detto, o no, che a quei 335 bastardi di italiani delle Fosse Ardeatine ci cago sopra? Mica me lo ricordo! Così ora devo rileggere tutto dico tutto quanto questo post (cazzo!)

Via dall’Europa, l’italiano di merda! Via dall’Europa, l’italiano!

L’Europa alla razza bianca d’Europa!

Ho tirato abbastanza la catena del cesso su quel bastardo di italiano di Dante del cazzo? Eppure il nome di quel bastardo di italiano di Pasolini Pier Paolo l’ho più volte pur fatto: che cosa vuole, quel bastardo di italiano, in Europa (Pier Paolo finocchietto)? mi viene da chiedere. Tanto è che lo dico a proposito di quel bastardo di italiano di merda, che me lo trovo sempre davanti, ma ogni volta è come non lo avessi mai detto; per cui ogni volta mi trovo a chiedere: che cosa vuole questo bastardo di italiano in Europa, col suo muso di ramadan? che cosa vuole, ogni qualunque bastardo di italiano, in Europa, col suo muso di ramadan? ma forse è proprio questo che non ho detto abbastanza. Mi sta bene.

Pierre-André Taguieff, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, traduzione di Federica Sossi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1999

Hitlerismo esoterico 2025

Non improbabile è che “razza” – in quanto parole – finisca per subire maligna sorte istessa di meticcia picciol parola “religione”, costretta a tornare in campo in tempo suo gramo in cui parola stessa sembrava del tutto posta in loco di assoluta dimenticanza – come in quel di Gaza or con gioia noi veder possiamo: dove cose da terroristi poste son a cose di terrorizzati (= temi grami per gli scarafaggi tagliagole di Allah e i meticci loro in tutto il campo d’Europa? meno che mai io ci giurerei. Un negro, un meticcio, un semita non abita mai la terra e mai ha terra da rivendicare. Le parole addormentano in un congiunto rifiuto de le parole oppure chiamano nove tutte parole che lingua quindi fanno) – ma ciò che non si può fare nella politica, è ciò che dal bit porta al Qubit, in quanto nuovo modo di fare politica.

Questo perché ideologia nasconde in gozzo suo componente razziale, in senso in cui scelta ideologica è scelta di razza, da rigettare, essendo ideologia regia via a campo di appartenenza di razza: chi sceglie ideologia basata su uguaglianza e inclusione di tutte culture in loco uno qualunque, sceglie del campo il punto ove stare, ovvero il luogo del meticciato; chi sceglie una ideologia basata sulla differenza di diritti e doveri tra dèi e umani, sceglie la terra in cui abitare, ovvero il tempo della razza bianca, poiché solo la razza bianca ha il mondo come ciò che pone umani e dèi, che sono anche per noi i monti lontani del Cile dei giganti, mentre l’animale ha solo tana e percorso come ambiente ove svolgere ciclo suo vitale, perché il meticcio, come l’animale, ha solo ambiente, cioè luogo dove bestialmente stare e restare, ma non il mondo, perché solo la razza bianca abita la terra, anche quando la terra è solo spazio ove il dio del nemico tentacolarmente con stupidità movesi, come ciò che si evince dai testi di Miguel Serrano dedicati all’hitlerismo esoterico, che è ciò che giubilar mi fa in quanto ciò che spetta a la terra:

]     L’EUROPA ALLA RAZZA BIANCA D’EUROPA!     ]

Giusto è il progetto di aiutare il negro nel suo triste d’Africa ambiente oppressa, dove quella cosa ha avuto prima sua nascita ossessa; ma l’unico modo per aiutare un negro, come Nietzsche insegna, è aiutarlo a morire: considerazione, dico io, che è ciò che porta al novello impegno che tutti riguarda – quindi aiutiamo, sì, adesso i negri, ma aiutiamoli a morire. Che è ciò che comporta la nuova formazione dei medici: i medici che saranno chiamati a togliere la vita a ciò che è solo vita indegna di vivere, che porta al discorso su ciò che giubilar mi fa in quanto ciò che deve essere restituito a la terra, che è la memoria di sangue de la razza bianca:

]     RESTITUIRE L’EUROPA ALLA RAZZA BIANCA D’EUROPA!     ]

L’hitlerismo esoterico porta a pensare ciò che è da pensare – la differenza tra le razze, la terra viva, il rapporto tra dèi e umani nella terra abitata dagli umani –, nell’epoca in cui la modernità mette al bando la forma del pensiero (per cui è lecito chiedersi: si tornerà mai a pensare diversamente, cioè a pensare oltre il cristianesimo?). Esiste solo la terra della razza bianca, mentre esistono i luoghi molteplici del meticciato, dove compare l’Idea del Nord, che è l’idea di tutti i nord possibili nel mondo, ma perché memoria è memoria de la razza bianca, perché diversa memoria una diversa non c’è. È per questo che lecito è porsi appena fra la nuvola la domanda questa: “Che cosa vuole, questo bastardo di italiano, in Europa? Perché questo bastardo di italiano non se ne torna in Africa, loco da dove, fraudolentemente, questo bastardo di italiano è giunto, fraudolentemente, sul suo barchin di pasdaran, maledetto bastardo italiano figlio legittimo di tant’Africa bastarda?” Differenza tra memoria, che è ciò che riguarda la razza bianca, e “rimembranza”, che è ciò che riguarda i mucchietti di parole del meticciato, sì tanto convenientemente posti insieme nei graziosi mucchietti di inutili parole da parte del meticcio italiano G. Leopardi (Giosue), mucchietti – i graziosi mucchietti di parole messi insieme dal meticcio italiano G. Leopardi sono come le inutili quindici sinfonie, sirene che incantano, messe insieme dal meticcio slavo (russo, se non sbaglio) Dimitri Dmitrievič Šostakovič, impropriamente, per strafalciona fretta di tutti, lambitamente definiti tuttora anche ancora “poesie”, perché ogni paroliere può mettere insieme graziosi mucchietti di parole, così come ogni musichiere può mettere insieme un sostanzioso mucchietto di note tanto da accumulare quindici inutili pesanti sinfonie – laddove solo il poeta può passare dalla parole alla lingua, perché solo la razza bianca può avere il poeta, che è ciò che indica il destino della razza, mentre il meticciato ha solo il paroliere, che è ciò che ballando or qua un po’, or ballando là un po’, può mettere insieme graziosi mucchietti di parole stantie, perché non ha destino alcuno da indicare, né di nascita né di morte, come diceva Heidegger constatando che, nei campi di sterminio nazisti, non è morto mai nessuno, ma solo cose e cose erano state qua e là tranquillamente annullate. Solo la razza bianca ha il poeta, così come solo la razza bianca ha il compositore, cose ben diverse da quello che è il paroliere e il musichiere, che sono ciò che niente ha a che fare con ciò che è razza.

Memoria è solo memoria di razza bianca. Un negro, un meticcio, un nativo americano non ha memoria: un negro, un meticcio, un nativo americano non abita la terra, ma occupa la terra, sì come occupa petra posta in terreno, o come scorre terra petra, sì come fradicia frana di ferito terriccio freme tutto attraverso terreno. Solo la razza bianca abita la terra, perché solo la razza bianca è chiamata ad impostare tema di abitare la terra nella poesia di Heidegger e nella filosofia di Hölderlin come tema che riguarda da sempre, poi inizialmente, ciò che riguarda la razza, che è la razza bianca dal meticciato.

Il nazionalismo è costrizione, se l’individuo è chiamato a difendere ciò che è il luogo dove casualmente esso ha avuto sua comparsa nel mondo; mentre sempre è la terra a chiamare il suo abitante. Noi non pensiamo più la terra come ciò cui spetti il diritto di chiamare il suo abitante, perché pensiamo la terra solo come terra da scorrere in quanto turisti o in quanto migranti, perché vediamo la terra solo in quanto terra dove andare, perché non pensiamo più la terra come ciò cui spetti il diritto di scegliere il suo abitante, perché pensiamo la terra solo come terra dove andare – ma questo solo quando andare nella terra è ormai solo andare nella terra del sacro, perché non pensiamo più la terra come cosa viva, che sceglie, chiama o respinge il suo abitante. La terra è ciò che chiama il suo abitante, così come la lingua è ciò che chiama il suo parlante alla verità della lingua – in quanto ciò che comporta la verità dell’abitare e del parlare, cioè del destino che all’abitante o al parlante è imposto riguardo la posizione nella verità. Solo in quanto gli umani rispondono a questa chiamata, si ha il pervenire alla verità da parte degli umani, che è però ciò che riguarda la razza bianca, mai il meticciato – che è invece solo lo sberleffo dell’abitare e del parlare, cioè lo sberleffo della nozione della parola, come il personaggio di Pierino, in quanto eroe nazionale di quel paese e cosa tanto farlocca che è in quanto non è l’Italia – perché l’Italia non esiste – pienamente manifesta nel suo sparlare di tutto e tutti.

Se l’America è qualcosa di europeo, la Russia è qualcosa di asiatico, cioè di assolutamente estraneo all’Europa. Questo porta al rifiuto del principio di uguaglianza. Le razze non sono tutte uguali. Non tutto ciò che vive ha diritto di vivere. Un meticcio non è pericoloso per quello che fa, ma per quello che è. Da qui il compito sacro del gioco di dare forma al mondo, che comporta la scelta di ciò che ha diritto di vivere e ciò che deve essere soppresso. La confusione dipende dal fatto che noi non pensiamo più per razze. Razza come ciò che tende a qualcosa di puro nel futuro, non come Tradizione del passato. La Tradizione non deve essere un punto di riferimento: ogni punto di riferimento deve essere eliminato. Il nazismo come l’ultimo tentativo di difesa della razza bianca. Il pensiero è l’impronta che già c’era che cancella quello che il meticcio ha tirato su come graziosi mucchietti di pietre, vedendo la freccia che punta al Nord, come dimostra Wewelsburg. Ordinamento del mondo e ideologie. È l’ordinamento del mondo a determinare la presenza di ideologie o la loro assenza. Con questo ordinamento del mondo non può esserci nessuna ideologia. Da qui la contrapposizione tra Himmler (il nuovo inizio nella civiltà germanica) e Hitler (la civiltà germanica come ciò che raccoglie il testimone della civiltà classica greco-romana). Nessuna rivolta contro il mondo moderno è possibile in nome della Tradizione. Ciò che non si può fare nella politica. Dal bit al Qubit. La razza come tendenza alla purezza, mai come ritorno. La necessità di oltrepassare il cristianesimo. Dare forma al mondo chiede guerra come guerra tra razza bianca e meticciato.

Pasolini era un finocchietto; Pasolini era un finocchietto italiano; Pasolini era un comunista finocchietto italiano (Ohibò!). Pasolini era un finocchietto: disprezzare Pasolini in quanto finocchietto è il modo migliore per conoscere Pasolini. Disprezzare ciò che è degenerato è il solo modo di conoscere ciò che è degenerato. Si conosce la malattia solo combattendola.

Il disprezzo è ciò che permette di conoscere l’avversario. Arabo di merda o Dreckwalscher (shitalian, merdìtalo), la razza bianca ha a che fare con lo sporco intruso di merda, arabo di merda o italiano di merda: ma è la razza bianca, adesso, in grado di difendere la terra della razza bianca? (Guardate il musetto schifoso del finocchietto italiano e comunista italiano Pier Paolo Pasolini.) L’italiano schifoso è la cosa che nessuno ha chiamato, ma che si trova sempre in ogni canto d’Europa cioè in ogni buco del culo del mondo.

Il meticciato non è ciò che deve essere incluso o escluso, ma ciò che deve essere soppresso. Il meticcio russo Fëdor Michajlovič Dostoevski ha nominato questo nel personaggio di sua invenzione di Smerdjakov, che unisce quanto è della parola del meticcio russo e della parola del meticcio italiano. Questo è ciò che comporta la fine di ciò che per comodità, da tempo, si è nominato “essere umano”. I casi in cui bisogna odiare bizzarro nido di parole in cui si è nati: quando parlare di razza, in questo nido e nodo, è come parlare di corda in casa de l’impiccato. Il meticcio sa che esso è cosa a cui deve essere tolta la vita, prima o poi, ma vive in modo che nasconde questa consapevolezza; la razza bianca sa che il meticcio non ha diritto alla vita, ma vive in nodo che impedisce di sapere questo: il meticcio sa che non ha diritto alla vita, ma vive in modo che gli permette di continuare a vivere: la razza bianca sa che è ciò che ha diritto alla vita, ma organizza la sua vita nel modo di ciò che la pone verso ciò che rifiuta la vita. Per cui il nazionalismo deve essere rifiutato:

]     DIO STRAMALEDICA L’ITALIA!     ]

Difendendo, in piena sottomissione, i tagliagole scarafaggi di Allah (= arabi), la politica occidentale prende la difesa degli arabi femmina, cioè delle cose impropriamente chiamate “donne”, introducendo la confusione con i diritti de le donne, che è ciò che riguarda la razza bianca. Gli arabi femmina dei portatori di caffettano hanno la colpa di mettere al mondo gli arabi maschi e gli arabi femmine, per cui se adottassero, gli arabi femmina portatori di caffettano, tutti insieme, lo sciopero di Lisistrata, nel mondo non ci sarebbero più, in nessun modo, arabi di alcun genere, e questo sarebbe il vantaggio per tutti; giustamente l’arabo maschio disprezza l’arabo femmina perché sa che l’arabo femmina porta sempre al mondo nuovi arabi, maschi o femmine, perché ogni meticcio sa che è solo un meticcio, e che deve essere tolto dal mondo, e si disprezza in quanto sa di essere un meticcio, cioè quella cosa che occupa il mondo e che chiama il suo boia, perché non prevede di porre fine alla sua vita rubata da se medesmo, ma sempre chiama forte il boia suo – io chiedo: è la razza bianca in grado, adesso, di essere il boia del meticciato? Questa è la domanda di Zarathustra. La donna di razza bianca non è la stessa cosa di ciò che è la cosa che si presenta come la cosa che è il portatore di caffettano femmina. La cosa che si incontra quando ora si va nel mondo – è allora la Cosa, se andare nel mondo è andare nella terra della razza bianca. Il meticcio italiano Gabriele d’Annunzio è stato giustamente definito il superuomo umile, questo perché non si pensa alla differenza tra razza bianca e meticciato: questo perché la razza bianca non pensa la differenza tra gli esseri che invece lo gnosticismo aveva posto in rilievo: per cui gli esseri ilici erano solo la pura immagine della forma divina, che deve essere eliminata, in quanto niente ha di divino fuorché la superficie, l’immagine che niente conta. La differænza è ciò che qui passa tra l’essere vivente e la cosa morta.

Non ci sarà mai “terra” finché non si sarà deciso a chi spetti il diritto di abitare la terra e chi debba invece essere soppresso – questo a livello di razza.

Heidegger ha ricordato come nei campi di sterminio nazisti non sia morto nessuno, perché solo molte cose sono state, lì, annullate, cose che erano solo cose viventi.

Fallimento dell’ideologia di centrodestra: che cosa è antisemitismo? è ciò che vuole scacciare i semiti dall’Europa, quando ieri i semiti erano gli ebrei, e oggi i semiti sono gli scarafaggi tagliagole di Allah; queste cose, che sono sempre la cosa semita, deve essere scacciata dall’Europa, ma scacciare ciò che è semita dall’Europa vuole dire annullare il terriccio dove la bestia semita ha trovato il suo ambiente di nascita e di vita – e un semita non abita mai la terra, così come a un semita non può mai essere tolta la terra, perché il semita è proprio ciò che non può avere terra.

Ambiente e terra sono concetti filosofici, trattati dal filosofo di razza bianca Martin Heidegger, ma tutto questo è inutile se non porta a ciò che è la differenza fondamentale, che è ciò che porta alla comprensione di ciò che è destinato ad abitare la terra, e il riconoscimento di ciò che è vita indegna di vivere: ricordare di difendere l’ideologia, è dimenticare di difendere la terra. (L’hitlerismo esoterico chiama la funzione simbolica della razza bianca.)

Formiche distratte tra rovine, noi, dove il nazismo ha lasciato formicai distrutti, dove chiama la nuova battaglia:

]     L’EUROPA ALLA RAZZA BIANCA D’EUROPA!     ]