1. Discorso funebre sulla carcassa del nativo americano
Il nativo americano non abita la terra; piuttosto esso è la cosa che sfrutta il vuoto della terra per nascondervisi: «La terra di fronte a loro [dei ranger], che sembrava vuota, non lo era. Lì c’era un popolo che conosceva il vuoto meglio di lui [Augustus McCall]; lo conosceva anche meglio di Bigfoot e Shadrach [gli scout della compagnia]. Lo conosceva e lo rivendicava come suo. Era il popolo del vuoto.» (ICDM, p. 71). Queste cose viventi non sapevano di doversi nascondere fino all’arrivo dei coloni di razza bianca – cioè fino al momento in cui hanno dovuto affrontare esseri viventi, e non più cose viventi, come fino a quel momento avevano avuto a che fare –, quando nascondersi nel terriccio è diventato qualcosa di diverso dal nascondersi davanti a qualcosa che non conosce l’arte di nascondersi in quel terriccio, perché sono forme diverse di vita. Le battaglie in terra d’America avevano sempre riguardato battaglie di cose viventi contro altre cose viventi, nativi americani contro nativi americani, ma adesso le battaglie riguardano cose viventi, nativi americani contro esseri viventi, cioè razza bianca. Alla fine della sua vita, Buffalo Hump va a crepare nel vuoto della “terra”, consegnando la sua carcassa al terriccio che è sempre stato il suo ambiente naturale – terriccio, non terra. In quanto cosa vivente, una cosa vivente come un nativo americano non può chiedere niente più che un ambiente dove crescere e posare infine le ossa che avevano costituito la propria carcassa. Il meticcio Buffalo Hump consegna al vuoto del terriccio, che ha sempre occupato e mai abitato, quel vuoto che esso, in quanto cosa vivente, che era sempre stato in quanto cosa vivente, era sempre stato. In quel vuoto viene raggiunto dal figlio Blue Duck, cupa cosa cava scavata dal crocchio del croccante niente, lì giunta per ucciderlo e che infatti lo uccide, con un colpo gobbo scagliato sghembo di spalle di scatto: come crepa cosa vivente, come quella cosa che è il nativo americano? può cosa vivente crepare? crepa squallidamente, se per mano di un altro nativo americano, come vediamo crepare il meticcio indiano Buffalo Hump in questa occasione; può un meticcio, si può tornare a domandare, la cosa che non è mai nata, morire? vediamo come è crepato il meticcio Bufalo Gobbo, vediamo l’occasione di gloria negata per chi, di razza bianca, priva della vita un ammasso di cose viventi, come nel caso del “massacro di Wounded Knee”, perché togliere la vita ad un ammasso di meticci è sempre atto eroico – possiamo dire che l’arte di Larry McMurtry sfiora il tradimento della razza bianca? Qui è l’arte del racconto.
Solo la razza bianca pone la questione dell’abitare la terra, che è allora la questione dell’abitare la terra e avvia la riflessione che costituisce la riflessione filosofica circa l’abitare la terra, perché un negro, un meticcio, un nativo americano non abita la terra, ma occupa la terra, oppure scorre la terra, in qualità di migrante – questo è ciò che sarà dato a pensare quando gli umani riprenderanno a pensare diversamente dal tempo che impone loro di non pensare, che è questo tempo.
I nativi americani scompaiono, cessano di essere cose, classificate come cose viventi – semplicemente come il Proletario al centro del racconto Cuore di cane, ma può un nativo americano morire, indipendentemente dal modo in cui, nei film western, vediamo morire tanti perfetti nativi americani, pronti per essere abbattuti nella pronta inquadratura, inquadrati quando cadono scompostamente di colpo per terra non appena colpiti di un colpo da pallottole esplose con attenta noncuranza da qualcuno solo abbigliato diversamente, vale a dire: può mai morire, quella cosa che è solo cosa vivente, e non essere vivente? – quella cosa che è, ormai lo avrete capito, vita indegna di vivere?
Si può avanzare l’ipotesi della prosa pensante, che Heidegger ha sempre negato? Heidegger ha senz’altro sbagliato nel parlare della possibilità della poesia pensante, non concedendo attenzione alla prosa e ai saggi critici di Hölderlin. L’arte di Larry McMurtry è arte in grado di spacciare per arte qualsiasi cosa, anche la morte di un ladro laido nativo americano, deforme, violentatore, assassino, pluriomicida, giustamente ucciso con un colpo alle spalle di scatto dal proprio figlio, nato dallo stupro compiuto da quella cosa che era il meticcio indiano Buffalo Hump nei confronti di un messicano qualunque rapito e abusato (il meticcio messicano femmina di nome Rosa). È un’arte che non pone molti interrogativi, che, personalmente, mi ricorda l’arte mancante di Murakami Haruki e di J.K. Rowling.
La carcassa del grande capo South Dakota Bigfoot, che si può vedere scintillare distesa pallida appena entro la morsa stretta di neve e Internet, rivestita di opachi stracci e straccetti, sembra quella di uno zingaro qualunque, rivestito di stracci luridi, crepato dal freddo, appunto la carcassa di un migrante lungo la rotta balcanica, ma la voce di Johnny Cash, che ricorda quella carcassa, non ha nulla a che vedere con l’approssimazione ad una ballata qualunque come è quella cosa mal sonante, cosa piccola fatta fugacemente, da parte del meticcio italiano Fabrizio De Andrè, cosa fatta fugacemente, dico la canzoncina sua Fiume Sand Creek. Niente più che scarafaggi africani sono infatti gli italiani, o zingari africani – credo che il meticcio italiano Fabrizio De Andrè fosse ligure, o comunque di quelle luride parti d’Italia tanto altisonanti quanto assassine, non so bene (porco dio/me); ma il dio della razza bianca stramaledica sempre l’Italia tutta, fonte di tante parti varie e assassine tutte quante, zingari africani in fronte a zingari mongoli, solo vita indegna di vivere!
Ma il vero modo in cui possiamo conoscere i nativi d’America è quando miriamo la carcassa di un nativo americano. L’indiano, che non ha mai abitato la terra, e che in essa scompariva come vuoto da vuoto avvinto, appare adesso nella forma rattrappita di una cosa che non è più che cosa morta dopo essere stata cosa vivente, ma solo carcassa di un nativo americano. Questo è quello che si vede quando i quattro ranger e lo scout indiano Famous Shoes sono davanti alla carcassa della cosa che era stato Buffalo Hump, cioè il laido capo deforme Comanche – cosa violenta, subdola, spaccona, stupratrice, assassina, infida – adesso solo cosa inchiodata per sempre al terriccio di una lancia maneggiata con destrezza dal figlio meticcio, messo al mondo costringendo a violenza sessuale un messicano qualunque da poco prima rapito, Rosa di nome. Questo l’arte narrativa di Larry McMurtry lo dice – posto sempre che l’arte di scrivere chiami l’arte di leggere – cosa di cui dubito sempre di più. Comunque questi romanzi in quadrilogia di Larry McMurtry sono mille volte meglio dei film di Hollywood da ascrivere come Sottomissione. L’indiano è quella cosa vivente che sporca la terra, e la sua carcassa è quella cosa, non più vivente perché mai è stata tutt’altra cosa che cosa vivente, che continua a sporcare la terra. L’indiano è quella cosa che non ha mai abitato la terra, semmai è quella cosa che ha fatto parte della configurazione di un terriccio, come una pietra ha fatto parte della configurazione di un terreno. Per questo è giusto consegnare la carcassa del nativo americano Buffalo Hump al vuoto.
Vediamo quasi i ranger disposti a omaggiare la carcassa di quella turpe cosa che tempo tosto stata era cosa vivente, riconoscendo, in quella carcassa piccola e schifosa, morta schifosamente, l’ombra svanita di un grande capo una volta temuto, a causa della sua ferocia assassina. Bisogna preservare l’arte narrativa di Larry McMurtry dalla malafede degli storici che parlano di “genocidio” a proposito della colonizzazione da parte della razza bianca dell’America, Australia, Nuova Zelanda. La carcassa di un nativo americano è sempre la carcassa di una cosa vivente, perché una cosa vivente non muore mai, a meno che non venga inserita in un progetto di eliminazione di tutte le forme di cose viventi in quanto vita indegna di vivere. Paradossalmente, gli indiani che lo deridono in quanto vecchio e debole, non vedendo in lui più nessun segno della grandezza che quella cosa comunque mai ha posseduto, sono più nel giusto in confronto al modo di pensare dei ranger, che si ostinano a vedere in quella carcassa il corpo di un capo e non la carcassa di una cosa vivente, cioè di ciò che mai era stata veramente viva. I nativi americani vedono nel loro vecchio capo, ormai rimbambito dall’età, la carcassa che essi stessi, al di fuori dell’età, sono la cosa che, con ostinazione, occupa la terra senza mai abitare la terra. Questo perché è la terra a chiamare il suo abitante, e non viceversa; una cosa vivente che si installa su una terra sporca solo la terra, imprimendole vibrazioni negative, come hanno dimostrato Lovecraft e Miguel Serrano.
Ma perché la carcassa di un nativo americano (in quanto carcassa di ciò che era stata una cosa vivente) chiama al rispetto che dovrebbe avere un corpo umano non più in vita? In Tolkien le carcasse degli orchi non meritano alcun rispetto da parte dei nemici, che al termine delle battaglie li riuniscono in una catasta a cui poi appiccano il fuoco. Perché questo non succede anche alle carcasse dei nativi americani, per quanto si tratti della stessa cosa, vale a dire: vita indegna di vivere? Vari governi degli Stati Uniti hanno più volte ammesso di avere compiuto massacri nei confronti dei nativi americani, quando si è accertata l’uccisione di nativi americani nella forma di donne, vecchi, bambini e giovani indifesi – ma togliere la vita a un nativo americano è comunque sempre compiere quell’atto eroico che è atto eroico, qualunque cosa poi ci venga a dire il meticcio italiano Fabrizio De Andrè. Quello che si riconosce nella definizione di “massacro” di Wounded Knee è il trionfo dell’ideologia ugualitaria.
Solo l’arte del grande disprezzo potrebbe prendere la parola in un momento in cui la carcassa di un indiano diventa palpabile a occhi e mani diverse.
Lo sguardo si determina come sguardo aggrappato alla cultura diversa (come si evince dai diversi libri di George Catlin, e del quarto volume della Mitologica di Lévi-Strauss, del volume di Franz Boas sull’arte primitiva degli indiani della costa del Nordovest), siamo messi male, ma anche come sguardo che mira a cancellare la diversità che esiste, per chiudere la testimonianza in un museo.
Lo sguardo sull’altro non è lo sguardo dell’Incontro. Lo sguardo dell’Incontro e lo sguardo che determina l’altro nell’insieme delle sue possibilità.
Bisogna pensare le razze presenti in America secondo Larry McMurtry e secondo Lovecraft. Lovecraft vede la complessità degli europei, come gruppi di razza bianca (tedeschi, scandinavi, olandesi, celti), e meticci che devono essere scacciati (sacche di meticciato quali slavi, spagnoli, italiani), mentre Larry McMurtry non fa cenno a queste differenze. Lo sguardo del narratore di Larry McMurtry non ha nulla a che vedere con lo sguardo del pensatore marxista Walter Benjamin, che ha quella lontananza rassicurante che si capovolge di colpo in pericolo. È tipico di quei lontani pensatori marxisti distrarre l’attenzione, per fare in modo di scoprire la guardia dell’avversario, per portare dentro casa il pericolo appena esso sul crinale si è manifestato.
2. Adagio del sangue impuro
L’equilibrio imposto al sangue impuro pone la questione del sangue impuro, che non deve essere limitato al genere, ma alla razza, che è ciò di cui allora non si sapeva parlare, come adesso è ciò di cui non si può parlare. Parlare del genere e non della razza è ciò che porta alla violenza catatonica dei nativi americani, pure così bene spiattellata dall’arte narrativa di Larry McMurtry. In LC II/73 il meticcio indiano Red Hand è stato contaminato dal sangue mestruale di una delle sue mogli ed è terrorizzato, temendo esso vicina la propria fine. Il sangue mestruale è sangue impuro espulso in modo naturale. I nativi americani costituiscono un sangue impuro che sta per essere espulso in modo non naturale. Red Hand informa Buffalo Hump delle ultime novità riguardo la fine di Buffalo Horse e la cattura del capitano dei Texas Ranger di nome Inish Scull. La conoscenza della periodicità che rende le donne indisposte per i maschi hanno la controparte nella violenza catatonica dei nativi americani allo scorrere del sangue dei nemici. Contrariamente alla Hollywood degli anni Settanta e a Tex Willer dei meticci italiani, con svagata abilità narratologica sdoganata da Alessandro Baricco, la quadrilogia western di Larry McMurtry propone l’immagine diversa dei nativi americani, più simile a quella che compare delineata da Jack London – per chi ancora se lo ricorda, quando l’arte di scrivere chiamava l’arte di leggere.
Posso invece ricordare, come Intermezzo, la differenza che c’è tra la musica del compositore di razza bianca Anton Bruckner e la musica del compositore semita Gustav Mahler, che è pura arte di limpida gradevole decorazione. Forse Jansons ha il merito di uscire dalla scuola tedesca; lettone di nascita, abituato alle scoregge di Šostakovič, può far suonare il suono originario, lo son d’origine, di natura germanica imprigionato nelle sinfonie di Anton Bruckner. Non è impossibile che Jansons abbia visto la natura composita della musica di Bruckner, che nel rifiuto della musica di scena ha la sua piena e spiegata ragione infine d’essere. Non è il caso di parlare della musica del meticcio italiano Rossini, ma scegliendo di non parlare di ciò che riguarda la musica del meticcio italiano Gioacchino Rossini, io parlo sempre del meticcio italiano.
È importante: il di~segno di questa quadrilogia, che si configura in una presenza del nativo americano, cioè della vita indegna di vivere, nella vita piena di vita minacciosa, vita in declino, vita pericolosa se mai ce n’è una. Questo perché gli indiani non sono stati interamente eliminati in base a un progetto di genocidio. Chi parla di genocidio nel caso dei nativi americani, è in malafede. Ci sono state delle battaglie contro gli indiani. Ma in quella parte del mondo, chi legge questa quadrilogia, può dire che non c’è mai stato l’impulso di dare forma al mondo, decidendo a chi spetti il diritto di abitare la terra e chi debba invece essere eliminato in quanto vita indegna di vivere. La questione dei libri che parlano di “genocidio”, in perfetta malafede, è dove passa la differænza.
La quadrilogia ha la forma insinuante del serpente che striscia – Fafnir che striscia lungo la sua fine per bere: Il cammino del morto, storia come storiografia; Luna comanche, epica; Lonesome Dove, epica; Le strade di Laredo, storia come storiografia – per quanto scritti in periodi diversi, per cui l’ordine sarebbe 3-4-1-2, la quadrilogia vede l’epica all’interno dei quattro movimenti – e che colpito dalla fossa irrora del suo sangue impuro che rende immortale, anziché contaminare, colui che lo fatto sgorgare.
I nativi americani non dovevano essere sconfitti attraverso un programma di guerre, ma cancellati attraverso un capillare e assoluto progetto di genocidio, che solo avrebbe reso la terra “terra alleviata”, ma progetto che in quel periodo non poteva essere né pensato né tantomeno applicato, e che adesso può solo essere rimpianto, e la razza bianca la forma in grado di abitare la terra e i nativi americani la forma che non ha forma, mentre alla terra sarebbe stato restituito il suo diritto in quanto terra, cioè di chiamare il proprio abitante, mentre noi adesso pensiamo la terra solo come terra dove andare.
La razza bianca dovrebbe chiedere scusa per non avere pensato il genocidio, per non avere pensato e praticato la cancellazione delle forme di vita indegna di vivere. Con gli indiani è sempre da tenere presente l’enigmatica formula di Conrad: «Exterminate all the brutes!». Il progetto di sterminio dei selvaggi non nasce con la rotondità della logica, ma come punto lasciato enigmatico. La quadrilogia di Larry McMurtry permette di porre la differænza tra essere umano e cosa vivente – che non riguarda più la logica in quanto logica fondata sul sillogismo. Più si entra nel regno delle forme metamorfiche, più ogni singola forma suscita disgusto e si dimostra come una aberrazione che non ha diritto di vivere – ciò che è solo vita indegna di vivere: Gobba di bufalo gobbo, Anitra Blu, Ahumado. Ahumado e la sua banda viene dall’epoca dei Maya, e costituisce la controparte dei nativi del Nordamerica, che la razza bianca non ha cancellato e di cui dovrebbe scusarsi di non averlo fatto. È probabile che questa tetralogia affronti il problema delle razze da eliminare, perché ormai il momento è bello pronto.
3. Scherzo attorno la possibilità del western metafisico
Non si è scrittori se non si ha a che fare con tutte le parole del mondo, ma quando opera è ciò che chiama caos, in rapporto alle parole lasciate, anziché armonia, da qui è ciò che passa ciò che determina il tipo di scrittore comunque, cioè ciò che pone l’incontro nell’andare lungo la terra, che è l’incontro con l’altro. Due tipi di incontro, nel senso di “sbattere contro”, sono fulmineamente possibili nell’incontro che porta l’allaccio lungo la terra, che è allora l’andare nella Terra del Sacro in sovrapposizione quantistica con ciò che è Terra del Sacro: l’incontro con l’Altro, che determina l’Incontro; l’incontro con l’altro, che determina il western metafisico di Alessandro Baricco e Cormac McCarthy; l’incontro con il piccolo altro, che determina il romanzo storico di Larry McMurtry, con la conseguente eliminazione dei nativi americani in quanto vita indegna di vivere, per quanto in quei testi mai espressamente mi pare trovare attuato.
È in questa accezione di sospensione dalla terra che il western metafisico vira verso il fantasy, come dimostra Abel, e soprattutto il capitolo “Braccata da una fregata francese”, che cala nel mondo il narrato delle acque di sogno di Kadath.
Ma ciò che è l’andare nella terra chiede il pensiero relativo a ciò che è andare nella terra che è il ritorno dell’andare nella terra come terra che era stata la Terra del Sacro, che è ciò che deve allora ritornare a suonare, mentre la fine che si vede fare, da parte del piccolo altro, è sempre la brutta piccola e spicciola fine davvero in terra che attende ciò che è piccolo. Il western non metafisico esalta la sacralità della terra, che deve essere alleviata dalla presenza del nativo americano, in modo da dare il via alla Storia come sguardo, che è sguardo della razza bianca, mentre per andarsene dal punto di vista del western metafisico si chiede il botto del silenzio: Abel è un romanzo fantasy western, come dimostra il capitolo “Braccata da una fregata francese”, ma notare che McCarthy se n’è andato con il botto alla grande; la storia è infatti ciò che si definisce a patire da lo sguardo de la razza bianca, che pone il botto suo alla fine.
4. Presto & finale azzoppato ne la terra alleviata
La quadrilogia presenta il tema dell’andare per il mondo in gioventù e del conseguente incontro con l’altro, ne le sue più diverse forme. I nativi americani vengono presentati come forme di altro, perché quel tipo di incontro non pone giammai l’incontro con l’Altro, che solo è ciò che costituisce l’Incontro, che è dato in tutto alla razza bianca nel suo andare per il mondo, che solo può situare l’Incontro solo come incontro con lo stesso se pure in tempi suoi tanto diversi per tempi.
Casa è dove si può dire: “Esco di casa e incontro Svevo in via di quel porco dio di Rossini musichiere di tanti meticci italiani bastardi del cazzo”. Infatti il tema della sottomissione nel romanzo di Houellebecq (dal titolo Sottomissione) è il tema che sconsideratamente disconosce la questione razziale, che ormai invece è la questione principe che deve essere pensata: infatti, se non si ha un programma antivirus di soppressione dell’altro in quanto degenerazione, si ha la sottomissione all’altro. Tutto sommato, il western metafisico aveva già capito l’andazzo del cazzo ormai giusto, per cui, lestamente, Abel comincia con la frase: «Sento una vibrazione, allora sparo.», mentre dovrebbe, proprio ciò, in quanto competenza, dico, essere de lo Stato la questione di avvertire la vibrazione cazzo in atto. Il western metafisico si impiccia della cosa quando non c’è più terra sotto pochi spiccioli di terra appesa appena da sonare. Creando, Alessandro Baricco, il western metafisico, ha dato sgambetto a Cormac McCarthy a la grande, che mai si era impicciato di metafisica, salvo sonare col botto due ultimi grandi romanzi suoi, che passeggero e stella di mare fondono in un unico sono di differimento, da mare e prima ancora sotto mare, mentre Baricco aveva compreso ciò che solo spettava in quanto “western metafisico”.
Ma la guerra, che non abbiamo visto alternativamente, concretamente svolgersi lungo tutta quadrilogia questa, perché guerra nascosta, è la guerra tra razza bianca e meticciato mongolo in tutte sue le diverse forme, che sarà la nuova guerra che attende la razza bianca, quando si tornerà a parlare di nuovo di razza d’un colpo: e Occidente contro Oriente, razza bianca contro mongoli, perché tutto è cosa che qui giunge strisciando verso noi da lontano. Non permettere ai mongoli di vivere – laddove la terra è la terra della razza bianca. Non può esserci una sinfonia bruckneriana, al massimo sinfonia che arranca azzoppata alla fine.
Larry McMurtry, quadrilogia western:
ICDM – Il cammino del morto (1995), traduzione di Margherita Emo, Einaudi 2024
LC – Luna Comanche (1997), traduzione di Gaspare Bona, Einaudi 2025
LD – Lonesome Dove (1985), traduzione di Margherita Emo, Einaudi 2017
LSDL – Le strade di Laredo (1993), traduzione di Margherita Emo e Cristiana Mennella, Einaudi 2018