Soluzione finale

Un libro deve avere l’effetto di una bomba nel tessuto di tutti i discorsi possibili. Deve rendere impossibile il discorso basato su inizio, svolgimento, fine. Deve rendere impossibile ogni discorso. Un vero libro è il parente più prossimo dell’attentato terroristico e del vecchio candelotto di dinamite. Nietzsche infatti affermava di essere dinamite pura. Così un libro non indicherebbe più altri libri, ma chiamerebbe tutti i libri del mondo: sarebbe la soluzione finale di tutti i libri; cioè l’interruzione della loro prevedibile catena.

Mito e romanzo

Joyce è stato lo scrittore che, più di tutti, ha presentato una riflessione completa sui rapporti tra mito e letteratura nei tempi moderni. Lo strumento di indagine usato da Joyce è la parodia.
Ma già il romanzo nasceva con tratti che lo ponevano come una parodia dell’epica. Le risse del Tom Jones suonano come una parodia delle battaglie dell’Iliade.
Con la sua scelta, Joyce ha in parte chiamato avanti, e in parte posto un freno al romanzo.
È possibile una letteratura che rifletta sul mito facendo a meno della parodia? Perché Joyce ha scelto la parodia? La scelta di Joyce era una scelta fatta per calare – finalmente! – il mito tra gli uomini.
Ma la domanda che adesso si pone riguarda il mito, e questa domanda deve suonare in questo modo: “sono gli uomini a maneggiare il mito, o è il mito a maneggiare gli uomini?”
La scelta di Joyce è stata la scelta giusta – per i tempi. C’era infatti altro tempo per pensare. È poi arrivato il romanzo postmoderno, che ha ingarbugliato tutto. Ma che permette di vedere meglio, adesso, i romanzi di Joyce.
Quando ci si pone dalla parte degli uomini, si vedono gli uomini che usano il mito e si deve scegliere la parodia; che è la scelta di Joyce. Manca l’altra scelta.
Un nuovo romanzo dovrebbe partire dalle cose, vale a dire dal modo in cui le cose usano simbolicamente gli uomini per rendere possibile – ancora una volta – il mito. Il romanzo è infatti il genere artistico che mostra come tutto si colleghi a tutto.
Ma allora gli uomini non sarebbero altro che appendici di simboli?
Bisogna innanzitutto precisare il rapporto tra il flusso di coscienza utilizzato da Joyce e la tecnica, relativa a tutta un’altra diversa memoria, utilizzata da Pound nei Canti.
Sarà allora chiaro il progetto di un’arte disantropomorfizzante, in cui l’uomo è solo un lampo in una catena, un bagliore non sempre necessario e non indispensabile nell’intreccio delle cose.
Ma sarà allora chiaro che è proprio la tecnica seriale che ha in sé la microserie fondamentale, l’alingua, a costituire il fulcro dell’opera.

L’epoca senza libri

Da tempo si avverte che nel libro c’è qualcosa che non va. Si può essere in grado di scrivere libri in modo continuo e si può decidere di non scrivere più libri.
Questa è l’epoca senza libri. L’epoca senza libri è l’epoca nella quale, ormai, non si scrivono più libri. L’epoca senza libri è anche l’epoca nella quale delle cose diverse, chiamati ancora libri, vengono scritti. Queste cose diverse chiamati libri sono i libri accademici e i best-seller. Cose diverse chiamate libri, perché, in quanto libri, da tutte le parti rigettano il loro compito di sempre.
I libri accademici sono libri timidamente chiari per tutti. Quindi i libri accademici sono libri tristi. Libri che non spingeranno mai a nessun tipo di fanatismo.
Un libro deve essere pieno di spunti oscuri. Per prima cosa, un libro non deve essere chiaro. Un libro chiaro è sempre qualcosa da respingere. È questo che faceva di un libro un dono per tutti e per nessuno.
Un libro è qualcosa che si parla nella mente di chi legge, il quale ha così l’impressione che tutta un’altra persona stia leggendo in lui quel libro. Ma meno che mai un libro è un ladro nella notte. Un libro è ciò che viene per arricchire.
L’epoca senza libri parte da lontano, da ciò che il libro è sempre stato incapace di controllare.
Nietzsche aveva capito che ci si stava avvicinando a un’epoca in cui i libri non sarebbero più stati possibili.
Adesso la diffusione di un pensiero autenticamente originale sembra ritornare al puro insegnamento orale.
Certi libri sono una collezione di stati d’animo. Un libro non dovrebbe mai essere l’esposizione di un ragionamento.
Non si scrive un libro affinché lo si legga, ma per creare una possessione.
Falsi maestri scrivono e cessano di scrivere. Perché senza posa un libro deve migrare in genti ben radicate al suolo.
Ma il libro è quel qualcosa che il concetto di autore sembrava poter tenere insieme e che l’epoca senza libri segna come fallimento.

L’arte di restare nascosto

La vita di una persona non può mai essere condivisa con un certo numero di libri scritti a una certa età, in certi luoghi e in certe occasioni. Il concetto di autore scricchiola. Scricchiola a partire da qui. Se proprio lo si vuole mantenere, esso dovrebbe prevedere una sorpresa finale. Quale sorpresa? Quella che di colpo manifesterebbe un’opera messa insieme lungo tutta una vita, resa apposta casuale e monotona, non tramite libri singoli, ma attraverso rifacimenti dello stesso progetto, tendente a una sola frase fondamentale, o a uno snello insieme di frasi sottili e forse  fondamentali. Il libro è un intralcio, soprattutto per un autore. Autore sarebbe allora sinonimo di attività postuma. E probabilmente, prima di sparire del tutto, che gli piaccia o no, esso è destinato a diventarlo per davvero.
I libri sono un intralcio e un surrogato, appena appena adeguato, richiesti allo scopo di consegnare un autore al fatto di essersi adeguato ai fondamenti, del tutto arbitrari (quando lo si comprenderà?), di una carriera.
Che cosa cambierebbe col sopraggiungere di questi principi? L’opera sarebbe un enigma, a volte lunga, sì e no, quanto una frase; essere un autore sarebbe una delle tante manifestazioni dell’arte di restare nascosto per tutta la vita.