Porte e soglie. Lo hobbit

Il fatto che Gandalf definisca Bilbo uno “scassinatore” e che lo “scassinamento” sia, a parere di Gandalf, l’unico modo per riconquistare il tesoro, indica che porte, soglie e serrature hanno una grande importanza nel romanzo Lo hobbit. In effetti, quasi ogni capitolo di questo romanzo è caratterizzato da una porta o da un atteggiamento da tenere in presenza o di una porta o di una soglia da varcare o da scassinare.
Se soglia e ingresso possono funzionare come sinonimi, le soglie sono qui degli spazi dove sostare anche a lungo, in attesa di una idea risolutrice; gli ingressi sono invece spazi a cui accedere solo dopo un piano stabilito con attenzione.
La sosta prevede l’intervento di ciò che è estraneo; l’ingresso prevede una strategia che concentra la forza disponibile in quel momento in un punto preciso.
Il secondo tipo è rappresentato dal capitolo iniziale, Una riunione inaspettata, in cui Bilbo accoglie, inconsapevolmente, di volta in volta, i tredici nani e Gandalf; e poi dall’ingresso nella casa di Beorn, quando Beorn accoglie, a sua volta senza rendersene conto, tredici nani, Bilbo e Gandalf.
Il ruolo della casa di Beorn è importante. È una casa collegabile a un modello di casa storico preciso: la lánghús germanica d’epoca vichinga, mentre gli altri tipi di case incontrate nel romanzo sono o di fantasia (come la caverna-hobbit di Bilbo) o non determinate storicamente (come l’Ultima Casa Accogliente di Elrond). Allo stesso modo il berserksgangr, risolutivo nella Battaglia dei Cinque Eserciti, è un elemento rintracciabile nella civiltà germanica.
La casa di Beorn determina un tipo di ingresso scaglionato la cui modalità era già stata avviata nel primo capitolo. I due tipi di ingressi sono quindi complementari. Nel primo capitolo Bilbo subiva passivamente le conseguenze del progetto di ingresso (messo a punto da Gandalf, che arrivava per ultimo insieme a Thorin); nel capitolo di Beorn (n. 7, Strani alloggi) Bilbo è parte attiva della strategia, egli entra per primo nella casa di Beorn insieme a Gandalf (poiché i nani sono invisi a Beorn); e se all’uscita precipitosa da casa sua, il giorno dopo la “riunione improvvisata”, Bilbo sarà solo un peso passivo da parte della Compagnia, dopo l’uscita dalla casa di Beorn, e l’entrata nella foresta di Bosco Atro, Bilbo sarà invece di valido aiuto per la Compagnia, cominciando da quel punto a diventare l’elemento fondamentale per lo scioglimento della vicenda.
Il primo tipo è invece rappresentato dalla sosta davanti alla porta nascosta sul fianco della Montagna Solitaria (capitolo 11, Sulla soglia). Era stato Bilbo a determinare la strategia di questa sosta, quando, durante la “riunione inaspettata”, aveva detto ai nani: «“Se ve ne starete seduti sulla soglia abbastanza a lungo, oso dire che vi verrà in mente qualcosa.”» (capitolo 1, Una riunione inaspettata, p. 39).
La sosta prevede dunque l’intervento di ciò che è estraneo, perché giunge da ciò che è estraneo, e fa agire in un modo inconsapevole, a differenza della strategia, la quale deve essere invece messa a punto per varcare certe soglie, come quella di Bilbo – prima – e di Beorn – dopo.
L’intervento risolutivo di Bilbo è infatti declinato in termini minimi: «Improvvisamente Bilbo capì.» (capitolo 11, Sulla soglia, p. 240). Dopo avere cercato inutilmente di aprire la Porta – «Non c’era nessun segno di sbarra o spranga o serratura; tuttavia, neanche per un istante essi misero in dubbio di avere finalmente trovato la porta.» (capitolo 11, Sulla soglia, p. 236) – con tutti i mezzi, magici e non magici, un certo sconforto prese il gruppo. «Bilbo scoperse così che sedere sulla soglia poteva essere malinconico e stancante. Non era una soglia vera e propria, naturalmente, ma per scherzo essi avevano dato questo nome al piccolo spiazzo erboso tra la parete e l’apertura, ricordando le parole di Bilbo tanto tempo addietro quando si erano incontrati nella sua caverna, e lui aveva detto che potevano sedere sulla soglia finché non venisse loro in mente qualcosa. E star seduti a pensare era proprio quello che facevano, oppure andare qua e là senza scopo diventando sempre più depressi.» (capitolo 11, Sulla soglia, p. 238). Una strana depressione avvolge il gruppo, il testo descrive attentamente la scena, che viene sempre più ad assomigliare alla situazione riportata dalle rune sulla mappa: «“Sta vicino alla pietra grigia quando picchia il tordo lesse Elrond “e l’ultima luce del sole che tramonta nel giorno di Durin splenderà sul buco della serratura.”» (capitolo 3, Un breve riposo, pp. 69-70).
«Improvvisamente Bilbo capì.» Bilbo è l’unico che può cogliere la simultaneità di quei particolari perché è l’unico che può dare avvio al nuovo periodo di tempo. Cioè al nuovo tempo. Gandalf aveva indicato l’abilità di Bilbo come “abilità nello scassinamento”: «“Così va bene” disse Gandalf. “Smettiamola di litigare. Ho scelto il signor Baggins e questo dovrebbe essere più che sufficiente per tutti voi. Se io dico che è uno Scassinatore, Scassinatore è, o lo sarà al momento opportuno.”» (capitolo 1, Una riunione inaspettata, p. 31). La vera abilità di Bilbo Baggins come scassinatore non consiste nello scassinare serrature, quanto nel permettere la funzione del nuovo anno. La funzione di Bilbo Baggins come scassinatore, quindi, è una funzione solstiziale; di avvio del nuovo anno. Il nuovo anno deve essere scassinato perché ormai non si intravede più la vera funzione solstiziale. Bilbo Baggins agisce come scassinatore solstiziale non nel “suo” tempo (che il testo non determina), ma nel tempo solstiziale dei nani: «“Il Capodanno dell’Anno Nuovo dei nani” disse Thorin “è, come tutti dovrebbero sapere, il primo giorno dell’ultima luna d’autunno alle soglie dell’inverno.» (cap. 3, Un breve riposo, p. 70). Il nuovo anno comincia sempre in un tempo stabilito dell’anno, ma in questo caso Bilbo riconosce la simultaneità di alcuni elementi che permettono di avviare il nuovo tempo.
Bilbo è assoldato come scassinatore; e la sua azione provoca lo scassinamento vero e proprio, non nell’ordine delle serrature, ma nei cardini del tempo. È un tempo fuor di sesto, quello che allora così si inaugura? A ben pensarci, sembra proprio di sì.
«“Domani inizia l’ultima settimana d’autunno” disse un giorno Thorin.» (cap. 11, Sulla soglia, p. 239). Il giorno dopo Bilbo risolve la questione e trova il buco della serratura stando appunto soltanto fermo sulla soglia, perché nient’altro aveva da fare. La funzione solstiziale non consiste nello scassinare ma nell’interpretare un passaggio che di per sé non dice niente; che di per sé è solo un istante in cui il sole sta fermo.
A determinare l’importanza di Bilbo nel gruppo di Thorin è stato il ritrovamento dell’anello.
L’anello viene trovato in terra per caso da Bilbo e casualmente messo da lui in tasca; casualmente viene poi ritrovato quando la mano fruga nella tasca mentre la mente cerca il nuovo indovinello e la voce pone la domanda che diventa poi ciò che è da indovinare: «“Che cos’ho in tasca?” disse [Bilbo] ad alta voce. Parlava tra sé e sé, ma Gollum credette che fosse un indovinello e ne fu tremendamente sconvolto.» (cap. 5, Indovinelli nell’oscurità, pp. 97-8), mentre ciò che è da chiedersi è: “che cos’ho in mente?”.
L’anello è un punto di svolta ed è lo stesso anello a segnare con una svolta il momento ufficiale del cambio di proprietà: «Fosse un caso, o l’ultimo tiro giocato dall’anello prima di cambiare padrone, fatto sta che [Bilbo] non lo aveva al dito.» (capitolo 5, Indovinelli nell’oscurità, p. 108). Notare che tutto questo episodio, l’uscita di Bilbo dalle Montagne Nebbiose, si svolge su una soglia, quella predisposta dagli orchi come accesso alla montagna: «Bilbo sbatté gli occhi e improvvisamente vide gli orchi: orchi armati da capo a piedi colle spade sguainate che sedevano proprio sulla soglia, sorvegliando con gli occhi bene aperti la porta e il passaggio che portava ad essa.» (capitolo 5, Indovinelli nell’oscurità, p. 108).
Così come la carriera di Bilbo in quanto scassinatore si è svolta volgendosi dalle serrature e dalle porte al tempo, la domanda deve volgersi. Del resto, anche nel testo la domanda si è svolta, andando dal discorso rivolto a sé al discorso rivolto a un altro: «Rendendosi conto di quanto era successo e non avendo niente di meglio da chiedere, Bilbo insistette nella sua domanda: “Che cos’ho in tasca?” disse a voce più alta.» (capitolo 5, Indovinelli nell’oscurità, p. 98).
Che cosa comporta il fatto che la domanda “che cosa ho in tasca?” si volga nella domanda – che il testo non pone – “che cosa ho in mente?”? Il fatto di non sapere, in un primo tempo, che cosa si abbia in tasca, corrisponde al fatto di non sapere che cosa si abbia in mente.
Un primo rimando può essere visto nel segno nascosto messo da Gandalf sulla porta di Bilbo di nascosto e poi cancellato da Gandalf di nascosto. Gloin a Bilbo: «“E ti assicuro che su questa porta c’è un segno, quello comunemente usato nel mestiere, o quanto meno usato fino a qualche tempo fa. Scassinatore cerca buon lavoro, eccitante e ragionevolmente remunerativo, ecco come lo si legge di solito.” […] “Certo che c’è un segno” disse Gandalf. “Ce l’ho messo io stesso.”» (capitolo 1, Una riunione inaspettata, p. 31). «[Gandalf] Aveva fatto una bella ammaccatura sulla porta [bussando per farsi aprire alla fine dell’ingresso differito nella casa di Bilbo], e, tra parentesi, aveva cancellato il segno segreto che vi aveva messo il mattino precedente.» (capitolo 1, Una riunione inaspettata, p. 22).
Una cosa è certa: tanto la “porta” quanto la “soglia” si collegano a un qualcosa di segreto.
«“Che ne pensate di un po’ di luce?”» dice Bilbo, quando nella stanza dove si svolgeva la riunione inaspettata era ormai buio, «“L’oscurità ci piace!” Dissero tutti i nani. “Oscurità per affari oscuri!”» (capitolo 1, Una riunione inaspettata, p. 28).
Oscurità e segreto è ciò che accompagna questa avventura. Oscurità, segreto, “oscurità per affari oscuri” è ciò che sembra avvalorare affari poco puliti. Eppure, nella pretesa dei nani di riottenere il loro tesoro non c’è niente di illegittimo.
La questione è il modo in cui legale e non legale, segreto e non segreto vengono messi in gioco in quell’azione, che è un’azione che coinvolge il rivolgimento solstiziale, dalla quale dipende.
C’è una frase importante che Bilbo pronuncia: «Sei un pazzo, Bilbo Baggins, e hai combinato un bel pasticcio con quella faccenda della pietra; e c’è stata una battaglia, nonostante tutti i tuoi sforzi per ottenere pace e tranquillità, anche se di questo non ti si può certo far colpa.» (capitolo 18, Il viaggio di ritorno, pp. 325-6).
La battaglia è ciò verso cui queste cose irrisolte convergono. Che tipo di battaglia è, questa battaglia? È una battaglia che nessuno voleva – o che nessuno voleva riconoscere come necessaria. È una battaglia che è stata combattuta senza sapere – allora – per che cosa si stesse combattendo. La funzione della Battaglia dei Cinque Eserciti è infatti contenuta nella funzione di rivolgimento solstiziale, cioè di tempo nuovo. Ogni anno avviene il cambio dell’anno. Solo chi è a conoscenza della data del cambio dell’anno può celebrare in quell’attimo il cambio dell’anno; ma solo chi, estraneo a quella questione del cambio dell’anno, può cogliere quanto presente nel volgere dell’anno, e inaugurare così un tempo completamente diverso. Questo nuovo tempo deve allora passare attraverso la Battaglia dei Cinque Eserciti.
E qui ritorniamo alla domanda di prima: che tipo di battaglia è la Battaglia dei Cinque Eserciti? La relazione contenuta a seguito dell’arrivo di Beorn in forma di orso è sufficiente per trarre delle conclusioni: «Allora il terrore piombò nel cuore degli orchi, ed essi fuggirono in tutte le direzioni. Ma con le nuove speranze la stanchezza lasciò i loro nemici, che li incalzarono da vicino, e impedirono alla maggior parte di loro di scappare. Ne spinsero molti nel Fiume Fluente, e dettero la caccia a quelli che fuggivano a sud o a ovest fin nelle paludi attorno al Fiume Selva; lì perì la maggior parte degli ultimi fuggitivi, mentre quelli che cercarono scampo nel reame degli Elfi Silvani furono abbattuti lì, o attirati nelle profondità del buio impenetrabile di Bosco Atro, per morirvi. I canti tramandarono che tre quarti dei guerrieri degli orchi del Nord morirono in quel giorno, e le Montagne ebbero pace per molti anni.» (capitolo 18, Il viaggio di ritorno, p. 326).
La Battaglia dei Cinque Eserciti è una battaglia che deve decidere quali razze, fra tutte quelle presenti sulla terra, abbiano il diritto di abitare la terra. Questa domanda non si presenta mai esplicitamente e la forma in cui essa si manifesta è quella di uno scontro di eserciti.
Questo per quello che riguarda il tempo cosmico, cioè la porta solstiziale. Ma la vicenda di Bilbo in quanto signore della porta solstiziale ha una appendice che riguarda la porta personale di casa. La funzione di Bilbo in quando iniziatore del nuovo tempo è nella selezione tra chi ha diritto di abitare la terra e chi invece deve essere soppresso. A livello più ampio, la vicenda di Bilbo è inquadrabile nella stessa vicenda che sarà poi di Frodo nel Signore degli anelli: partenza per la missione; grande guerra razziale; riconquista della casa.
Bilbo deve infatti, al ritorno, riconquistare la propria soglia di casa. Avevamo trovato Bilbo, in apertura di romanzo, in piedi vicino alla porta d’ingresso, intento a fumare dopo la colazione. È in questa separazione (signore del tempo solstiziale, signore della propria soglia di casa) che decade la possibilità di una decisione sulle razze che devono abitare la terra. Non è possibile stabilirlo a livello di pianificazione e la decisione deve essere lasciata allo scontro di eserciti.
Contrariamente a quanto si augurava Alessandro Dal Lago, in merito a una possibilità di reintegrare l’orco nella comunità alla quale, per un pregiudizio, non aveva accesso, Tolkien salda invece alterità e selezione. Se le trasposizioni cinematografiche dei romanzi di Tolkien hanno sempre attribuito agli orchi una fisionomia orripilante e irrealistica o semplicemente animalesca, Tolkien è invece stato sempre molto chiaro: «Gli orchi sono degenerazioni della forma umana degli elfi e degli uomini. Sono (o erano) tozzi, larghi, con il naso piatto, la pelle giallastra e bocche larghe e occhi obliqui: una versione in brutto dei tipi mongoli meno gradevoli a vedersi (per gli Europei).» (J.R.R. Tolkien, La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Rusconi, Milano 2001, lettera 210 a Forrest J. Ackerman; non datata, giugno 1958, p. 309).
È quindi il motivo che deve diventare comprensibile alla mente al fine di una pianificazione anziché di uno scontro di eserciti.

J.R.R. Tolkien, Lo hobbit, traduzione di Elena Jeronimidis Conte, Adelphi, Milano 1979.

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