Cristologia gay

Si può parlare di una “Cristologia gay”? Consideriamo questi due romanzi: Querelle de Brest di Jean Genet, Teorema di Pier Paolo Pasolini, e, dai possibili tratti comuni, determinare ciò che potrebbe presentarsi come “Cristologia gay”. La Cristologia gay sarebbe allora basata su una ricezione della figura del Cristo, che non comprende, anzi esclude, le varie forme del Cristo gnostico, cioè del Cristo che non era chiamato a salvare tutti, ma del Cristo che si pone, scandalosamente, come figura che garantisce l’amore portato alle sue estreme conclusioni; vale a dire come l’amore diffuso in tutte le sue forme, verso ogni essere umano, senza distinzione di genere.
Questo impasto bizzarro di amore caratterizzerebbe, appunto, la venuta nel mondo di un Cristo rispondente a questa possibile “Cristologia gay” (dico io).
Ma la questione è che la sagoma del Cristo (al di fuori dello gnosticismo) è sempre qualcosa di disgustoso, come disgustoso è sempre la sagoma del meticciato, da cui il Cristo ha tratto la sua sorgente primaria. In questo L’anticristo di Nietzsche è il testo di riferimento. Inutile pensare qui alla interpretazione di Reich, dico io.
È possibile che il tema “Cristologia gay”, a proposito di Pasolini, coinvolga anche il progetto di Petrolio? In questo caso il progetto dell’opera-mondo richiamerebbe l’immagine del Cristo Pantocratore. E qui saremmo nei guai.
La conoscenza assoluta del mondo passa, qui, attraverso Cristo; perché il mondo diventa – qui – qualcosa di comprensibile attraverso un qualcosa come l’opera d’arte. (Questa figura della conoscenza è importante per la ripresa della sagoma del Cristo.)
Ricordate la battuta finale che Pasolini attore si è riservato nella sua messa in scena di quella cosa scassata che è il Decameron del meticcio italiano Giovanni Boccaccio?
Il tema può essere collegato alla Esegesi di Philip K. Dick: dove, non solo Cristo è, spesso, scandalosamente indicato come donna, ma dove anche il fedele stesso viene, occasionalmente, trasformato, da maschio che era, in donna – con il suo, più o meno esplicito, consenso.
È chiaro che il cristianesimo tende a svirilizzare l’uomo. Nella breve parte pubblicata della sua lunga esegesi, Philip K. Dick insiste molto sul tema della trasformazione del fedele cristiano, uomo, in donna. Tema pure presente nelle memorie di Schreber.
Ricordare quello che diceva Musil nei Diari (Einaudi, p. 924), secondo il quale il cristianesimo avrebbe valenza omosessuale, perché basato sulla figura del Dio che violenta, possiede con la forza il suo fedele piombandogli addosso dall’alto.
La piaga della pedofilia nel cristianesimo potrebbe allora derivare dalla persistenza di questa immagine archetipica (inconscia, senz’altro, nella maggior parte dei casi; ma che la letteratura sembra avere intravisto, bene, un po’ qua, un po’ là), che non può essere tolta via di colpo, perché proprio cosa che deve essere pensata. Ma che può essere rimossa solo rimuovendo l’immagine del Dio semita che ne sta alla base.
La figura del Cristo sarebbe allora qui il surrogato di una superiore figura divina (e, dall’altra parte, di ciò che deve essere spedito via), che chiama all’amore indistinto fra tutte le creature per poi farsi carico, teatralmente, delle colpe del Padre suo.
È chiaro che questo riguarda allora il meticciato, e il maledetto meticcio italiano prima di tutto – insisto io.

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