Strategia del postmoderno

«L’italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento – e ho visto che cosa è accaduto ai generali borbonici non appena sono apparsi gli avventurieri di Garibaldi e i generali piemontesi.»
Questa frase, tratta dal secondo capitolo del Cimitero di Praga di Umberto Eco, si potrebbe collegare alla storiella ebraica più volte ricordata negli Scritti di Lacan: «”Perché mi menti? ‒ vi si esclama con un filo di voce – Sì, perché mi menti dicendomi che vai a Cracovia perché io creda che vai a Lemberg, quando in realtà vai proprio a Cracovia?”».
È modo di fare che rivela molto della strategia del postmoderno; e istruisce pure sulla dinamica del romanzo postmoderno come genere. Naturalmente, bisogna evitare l’intervento di un soggetto calcolante.

Una prova?

Al di là del bene e del male, § 251: «Risulta assodato che gli Ebrei, se volessero – o se vi fossero costretti, come sembrano volerli costringere gli antisemiti –, potrebbero già in questo momento avere la preponderanza, anzi il vero e proprio dominio sull’Europa; ed è altrettanto certo che essi non lavorano e non fanno piani a questo scopo.» (p. 165).
Gli Ebrei, continua l’aforisma, vogliono soprattutto essere assorbiti dall’Europa. Accettando allora gli Ebrei in Europa si potrebbe migliorare l’aristocrazia europea, unendo il senso ereditario del comando – tipico dell’aristocrazia europea – al gusto per la pazienza e per il denaro – tipica degli Ebrei (p. 165). Quindi perché non farlo?
Così si finisce per toccare il problema fondamentale su cui insiste, senza consistere, l’aforisma: quello «di una nuova casta governante d’Europa» (p. 165).
Insistere senza consistere apre la questione alla domanda che viene così lacanianamente aperta. Domanda che suona secondo il tipo: “È possibile collegare questo aforisma al tema dei nuovi dominatori del mondo, tema tanto importante in Nietzsche, quanto da sempre sottovalutato dagli studiosi di Nietzsche?”
Di che cosa si discute, in questo aforisma, se non della possibilità di mischiare le razze per tentare di creare un nuovo tipo umano? Ma questo nuovo tipo umano non viene identificato come il tipo fondamentale, bensì soltanto come un primo tentativo. Questo nuovo tipo viene immaginato, nell’aforisma, a partire dalla possibilità di mischiare l’aristocrazia (indo-)europea con gli Ebrei.
Se questo fosse un tentativo che, secondo Nietzsche, la nuova epoca a venire dovrà trovarsi ad affrontare? Se fosse uno dei primi dei tanti tentativi che potrebbero aprirsi all’apertura della nuova epoca?
Solo uno dei primi, perché solo il primo a presentarsi?
Se fosse invece solo un modo per divertire i veri dominatori del mondo, incrociando tipi fino ad allora inconciliabili tra loro, per vedere che cosa ne potrebbe venire fuori? Se fosse solo l’avvio di un modo di procedere per tentativi?
È certo che i veri nuovi dominatori del mondo saranno soprattutto degli sperimentatori e degli appassionati dello spirito del gioco. Un gioco che però non li coinvolgerà e non li tratterrà più di tanto. Niente a che fare col giocatore di Dostoevskij! Essi saranno soprattutto dei burloni, dei pagliacci… (ma mai dei guitti sopra il carrozzone).
Infatti essi faranno tutto per gioco con una grande e smodata serietà, e osserveranno i risultati con occhi molto seri.
Tutta l’Europa e tutta la terra diventeranno così un campo di gioco per il superuomo.

F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Genealogia della morale, in “Opere di Friedrich Nietzsche”, volume VI, tomo II, Adelphi, Milano 1976.

L’epoca senza libri

Da tempo si avverte che nel libro c’è qualcosa che non va. Si può essere in grado di scrivere libri in modo continuo e si può decidere di non scrivere più libri.
Questa è l’epoca senza libri. L’epoca senza libri è l’epoca nella quale, ormai, non si scrivono più libri. L’epoca senza libri è anche l’epoca nella quale delle cose diverse, chiamati ancora libri, vengono scritti. Queste cose diverse chiamati libri sono i libri accademici e i best-seller. Cose diverse chiamate libri, perché, in quanto libri, da tutte le parti rigettano il loro compito di sempre.
I libri accademici sono libri timidamente chiari per tutti. Quindi i libri accademici sono libri tristi. Libri che non spingeranno mai a nessun tipo di fanatismo.
Un libro deve essere pieno di spunti oscuri. Per prima cosa, un libro non deve essere chiaro. Un libro chiaro è sempre qualcosa da respingere. È questo che faceva di un libro un dono per tutti e per nessuno.
Un libro è qualcosa che si parla nella mente di chi legge, il quale ha così l’impressione che tutta un’altra persona stia leggendo in lui quel libro. Ma meno che mai un libro è un ladro nella notte. Un libro è ciò che viene per arricchire.
L’epoca senza libri parte da lontano, da ciò che il libro è sempre stato incapace di controllare.
Nietzsche aveva capito che ci si stava avvicinando a un’epoca in cui i libri non sarebbero più stati possibili.
Adesso la diffusione di un pensiero autenticamente originale sembra ritornare al puro insegnamento orale.
Certi libri sono una collezione di stati d’animo. Un libro non dovrebbe mai essere l’esposizione di un ragionamento.
Non si scrive un libro affinché lo si legga, ma per creare una possessione.
Falsi maestri scrivono e cessano di scrivere. Perché senza posa un libro deve migrare in genti ben radicate al suolo.
Ma il libro è quel qualcosa che il concetto di autore sembrava poter tenere insieme e che l’epoca senza libri segna come fallimento.

Il posto del soggetto

Il romanzo è il genere delegato alla rappresentazione del soggetto e delle sue vicissitudini. È cioè il luogo letterario dove il soggetto trova la sua massima possibilità di espansione.
Nel Primo cerchio di Solženicyn il soggetto trova la propria collocazione come “posto” al termine della narrazione e questa trovata collocazione si presenta:
– come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista,
– come apertura alla decostruzione del romanzo in quanto forma superiore di romanzo. Forma che verrà attuata in Arcipelago Gulag.
Il posto del soggetto è riconosciuto al termine di una catena di sequenze incatenate tra loro. La concatenazione di sequenze comprendente pochi capitoli è il tratto distintivo della struttura del Primo cerchio perché proprio in una teoria di catene il soggetto può trovare il proprio posto a partire da una teoria della catena.
Tale romanzo si pone come ricerca del posto del soggetto che è in tutto un Ricercare, ma che si compone come messa a fuoco di un soggetto solo in quanto tale soggetto si pone come dichiarazione di guerra contro lo stato socialista. I rapidi accenni a Ojmjakon e alla terra oltre il Circolo Polare dell’ultimo capitolo hanno l’inconsistente spavalderia dei canti di battaglia popolari.
Ufficialmente, il posto del soggetto è raggiunto dopo la sequenza che orchestra l’arresto di Innokentij Volodin (capp. 82-4). Considerando che alle diverse tecniche dell’arresto messe in opera nello stato socialista è dedicato il primo capitolo di Arcipelago Gulag, si vede come il tema dell’arresto incateni la comparsa del soggetto in un punto preciso, che a sua volta chiama in gioco la rappresentazione del sistema dei campi di lavoro dello stato socialista.
Nella conta dei campi dello stato socialista, infatti quello che manca è appunto il soggetto. Questo proprio perché ciò che manca è la mancia lasciata ad arte dalla narrazione. Questa mancia che manca è appunto ciò che marca il soggetto in quanto vacanza ad un posto. Nessuno infatti è saggio, se lascia qualche traccia e il soggetto è solo il lampo di un tramonto limpido.
Poiché la mancia che manca è appunto ciò che manca al soggetto come mancia per porsi come ciò che manca alla teoria della mancia in quanto ciò che manca a ciò che manca al soggetto. Che è ciò che pone la decostruzione del romanzo, in quanto mancia di ciò che manca al soggetto, come ciò che marca ciò che manca alla mancia lasciata, cioè la posizione del soggetto.
Il posto del soggetto così raggiunto in questo romanzo è ciò che lascia vacante il romanzo come posizione nella letteratura, aprendo perciò alla decostruzione del romanzo.
La fuga del soggetto apre la porta sulla fuga del punto di fuga in quanto messa in prospettiva: cioè prospettiva in quanto fuga di spazi e arte della prospettiva.
La posizione dell’autore si determina come posizione di un vero signore che lascia sempre la mancia che manca al suo impegno nell’essere un signore delle parole.

Adorno, elementi di antisemitismo

Elementi dell’antisemitismo è il titolo della sezione settima di Dialettica dell’Illuminismo di Horkheimer e Adorno. Il sottotitolo è: “Limiti dell’illuminismo”. La sezione è divisa in sette paragrafi numerati.
Tale sezione costituisce un punto fondamentale della Dialettica dell’Illuminismo. E, indirettamente, ha lo scopo di contribuire alla creazione di una tipologia. L’antisemitismo è in essa analizzato nell’ambito del nazismo.
Questa tipologia è ciò che si potrebbe definire come la tipologia dell’anti-antisemita: colui che, per disposizione naturale, si oppone naturalmente all’antisemitismo. Ma proprio questo tipo ha una sua fondazione. Che anche in un autore come Adorno presenta una impronta grossolana e truffaldina.
Ma il nazismo è proprio ciò che adesso deve essere ripensato. Dire che il nazismo è ciò che adesso deve essere ripensato è dire che il nazismo è ciò che adesso deve essere proprio pensato.
La definizione del nazismo come “politica da birreria” contribuisce a creare quell’equivoco di personaggio, rappresentazione, modernità che l’atto di pensare, adesso, dovrebbe fare a meno di considerare.

Tanto il liberalismo quanto il nazismo proiettano nell’ebreo il lato oscuro delle rispettive forme sociali (p. 188); il liberale vede nell’ebreo il fondo di rapina su cui si basa il capitale; il nazista l’aspetto violento e barbarico. L’ebreo diventa così il ladro (tesi liberale) e il barbaro primitivo (tesi nazista).
Il cristianesimo si sviluppa dall’ebraismo, spiritualizzando il dio dèmone ancora evidente nel vecchio testamento. A poco a poco, tale religione nega se stessa come religione [tesi della teologia negativa, a p. 193 si cita Barth dopo Pascal, Lessing e Kierkegaard], poiché elimina l’aspetto naturale, di cui il dio ebraico era ancora portatore. Il cristiano è adesso colui che realizza la religione del Figlio, ma vede in quella del Padre un pericolo e insieme una nostalgia: il pericolo rappresentato dalla natura da cui egli si è staccato [notare il meccanismo di “dialettica dell’illuminismo”]. Essendo la religione del Padre l’ebraismo, si ha in questo meccanismo l’origine dell’antisemitismo (paragrafo IV).
L’antisemitismo fa appello alla idiosincrasia. In apertura del paragrafo V si cita dal Siegfried: «“Non ti posso soffrire – Non scordartene così facilmente”, dice Sigfrido a Mime, che aspira al suo amore.» (p. 194) [Si vuole suggerire che l’antisemita cerchi l’amore degli ebrei?]. [Bisogna comprendere come i detrattori dell’antisemitismo costruiscano la loro logica. È possibile ottenere un sistema di tutte queste logiche, aberranti e possibili? Che cosa rivelerebbe una psicoanalisi di colui che si oppone all’antisemitismo? È possibile una psicoanalisi di questo genere? Notare come Dialettica dell’illuminismo tenda a sfociare insensibilmente nella psicoanalisi; più precisamente nella psicoanalisi dell’antisemita. È possibile un movimento opposto?] Nella idiosincrasia i singoli organi tornano a sottrarsi al controllo del soggetto (p. 194) [In Odisseo si era visto questo controllo come ancora in formazione.]. A p. 195 la separazione dalla natura è rintracciata in un insieme che comporta attori, zingari, divieto religioso delle immagini, pedagogia che insegna ai bambini a non essere puerili. Ma l’identità si instaura solo attraverso il terrore (p. 195). [La rappresentazione che gli Autori fanno del nazismo è la stessa che essi denunciano nel cinema: stereotipi, formule idiote, ripetizioni ebeti, catatonia.] Nella profanazione dei cimiteri risiede l’antisemitismo in quanto voglia di scacciare, di impedire una sosta a colui che deve solo migrare (pp. 197-8). [Notare questo: Gli antisemiti hanno una specie di coazione a ripetere:] «Essi non possono soffrire l’ebreo, e lo imitano continuamente.» (p. 198): Hitler gesticola come un clown, Mussolini azzarda toni in falsetto come un tenore di provincia, Goebbels parla velocemente come un agente di commercio ebreo (p. 199). Le fantasie razziste dei delitti attribuiti agli Ebrei definiscono esattamente il sogno degli antisemiti (p. 200). «La civiltà è la vittoria della società sulla natura che trasforma tutto in nuova natura.» (p. 200). [Questo è una specie di motto della Dialettica dell’illuminismo.]
Nella percezione non alterata dall’antisemitismo, il soggetto riflette l’oggetto esterno, lo ha nella propria coscienza ma sa di avere a che fare con qualcosa di esterno. L’antisemitismo interrompe questa riflessione: l’oggetto non è più riconosciuto come tale e il soggetto cessa di riflettere su di sé, perdendo così la capacità della differenza (p. 204). [Notare: tutte le argomentazioni sembrano raccogliersi in questa sezione, che ha la funzione di delineare una psicoanalisi – quasi lacaniana, basata sul rapporto soggetto-oggetto – dell’antisemita. I “frammenti filosofici” rivelano così la loro vera natura: appunti parziali per il ritratto complessivo di un demone. L’antisemita è l’unico vero demone che questa epoca laica e democratica possa dipingere sul muro.] Questo meccanismo comporta la fissità paranoica, con sfumature omosessuali, che caratterizza l’antisemita. Il paranoico realizza oggi quello che nel Medioevo era riservato alla mitologia del diavolo (p. 211).
Il paragrafo VII spiega come l’antisemitismo bonario del liberalismo sia sfociato nell’antisemitismo in grado di uccidere. «Nella politica da birreria degli antisemiti si rivelava la falsità del liberalismo tedesco, di cui essa viveva e che finì poi per uccidere.» (p. 215). [Nel Mein Kampf il  ruolo della Hofbräuhaus è ben diverso da quello ricordato qui: «All’epoca, il salone della Hofbräuhaus, a Monaco, per noi nazional-socialisti acquisì un’importanza quasi mistica», si legge nel Mein Kampf a proposito del primo grande raduno del 24 febbraio 1920.] La complessa economia moderna nega l’individuo; realizzando così la dialettica dell’illuminismo. «La dialettica dell’illuminismo si rovescia oggettivamente in follia.» (p. 219). Il mondo si avvia verso la globalizzazione. In questo clima di annullamento dell’individuo, prende il via lo sterminio degli Ebrei (p. 221).

M. Horkheimer, Th.W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Einaudi, Torino 1997.
Il Mein Kampf di Adolf Hitler, a cura di Giorgio Galli, Kaos edizioni, Milano 2006, p. 369.