Bruciare i libri

Aprile 2022: ritorna la vecchia questione della legittimità di mettere al bando una cultura, oppure di considerare ogni cultura come una cosa che merita – sempre – lo stesso rispetto goduto dal tempo in cui essa è stata riconosciuta come tale, qualunque cosa succeda nel mondo. Se si sente la cultura come cosa viva, è giusto, allora, che certe culture, di tanto in tanto, debbano anche morire di improvvisa morte violenta. Questo perché la cultura non è un insieme di nozioni tra di loro slegate e che nulla hanno a che fare con quanto succede nel mondo sempre vasto e bello. Il genocidio, se ben condotto, ha sempre il bello di cancellare qualche popolo indesiderato, e per sempre, dalla terra; la cultura, se grande, ma prodotta da un popolo che non merita di continuare a vivere, ha quel brutto vizio che pure l’apparenta alla grande cultura in maschera, cioè il vizio di rinascere, periodicamente, sotto mille e mille forme differenti. Ma la differænza sta proprio nella questione della razza. Noi non abbiamo ancora pensato al modo in cui si possa distruggere – veramente – una cultura. Genocidio e rogo dei libri sono fra loro collegati: il genocidio è il piedistallo, la cultura è il fiore che manifesta il monumento. Per questo distruggere un libro non ha nulla a che fare con la censura, e per questo io dico: Bruciare i libri… una aporia di per sé! Ma solo così si arriverà al museo delle forme morte.

Colonialismo (Una precisazione)

Il colonialismo è quella cosa tanto difficile da affrontare, in quanto argomento di pensiero, che fa sì che lo sterminio di un popolo, per soli motivi di rapina, sia assolutamente da condannare, ma che quello stesso sterminio, se compiuto in assenza di qualunque movente di rapina, quindi per il solo motivo di abbellire il mondo, alleviare la terra, ritrovare l’innocenza del gioco del bambino, sia strumento ammirevole e meta da perseguire – ma appunto questa differenza è ciò che siamo adesso ben lontani da potere accettare: per questo il colonialismo è così difficile da affrontare; perché fa parte di un progetto del mondo, e quindi di un uso del mondo, al quale non siamo ancora pervenuti, perché ci porta a pensare qualcosa di un mondo organizzato in modo diverso.

L’arte di leggere

Fissare adesso gli smartphone, sia che si cammini sia che si stia seduti, è ritenuta “cosa da zombie”. Analoga impressione quando l’arte di leggere era agli inizi? Ricordare quanto Agostino fosse colpito dall’abitudine di Ambrogio di leggere silenziosamente; e ricordare poi i tentativi di Agostino per trovare una spiegazione. Essere assorbiti da qualcosa è l’arte dell’isolamento. Probabilmente l’uomo è ciò che deve essere consegnato a un isolamento – assoluto e fatale. Ma trovare il cammino verso questo isolamento assoluto è un’arte paziente, per la quale non è ancora giunto il tempo. Cioè il tempo finale. Le diverse ideologie vogliono forse nascondere una tale ricerca. Forse invece è ciò che deve essere sviluppato. Probabilmente nell’arte di leggere c’è qualcosa che va contro ogni logica. Leggere in qualunque modo; in qualunque modo si pensi di poter leggere? Conforta una definizione possibile di biblioteca: «La presenza di libri è abbastanza simile a una riunione di molte persone in silenzio che ci volgono le spalle.» (H. von Doderer, I demoni, Einaudi, Torino 1970, cap. II/18, p. 621). Bruciare i libri è accecare il mostro nella sua tana dei tesori raccolti.

Tromsøs siste vognmann

Ora posso dire che la voce di Odd Andersen, che, quando col piacere della consuetudine, ho imparato a conoscere, e mi è capitato di ascoltare, mi ha accompagnato, per più di dieci anni, in quelle sale della birra di Tromsø, era simile a quella di “Radiolina” Roberto Maini, alla quale non ho mai prestato attenzione, quando non potevo fare a meno di passargli accanto, giù in fondo nella maledetta Italia. (Dio stramaledica l’Italia!) Tutte e due le cose mi aspettano. Tutte e due le voci sono state un accompagnamento nel mio andare in quelle due parti del mondo con le quali ho avuto a che fare. Andare frettoloso, in una terra che ho sempre disprezzato, quando accostavo Maini giù nella maledetta Italia; andare con attenzione, quando riconoscevo Odd Andersen, seduto tra i suoi amici, oppure ne sentivo solo la voce nella Ølhallen, seduto al posto di Hallvard, dove, per una conformazione del locale, non lo potevo vedere, su nel Sacro Nord, che io allora potevo creare.
Una volta è passare per non vedere, ma poi è fermarsi per proteggere. Lo spazio diventa così tempo. Il Nord non lo posso più proteggere. Che cosa è del mondo che vorremmo proteggere? Che cosa è della persona che abbiamo visto scomparire, tempo dopo tempo, quando tempo è solo attimo, intorno al nostro andare nello spazio diventato tempo – di colpo solo per noi?
Niente risponde alla domanda “chi sono?”, se non c’è la domanda “che cosa è rimasto?”. Figure che, conosciute, chiamano adesso: Wilhelm Reich, Nietzsche. Ma Nietzsche deve funzionare come un polo di maggio innalzato tra Heidegger e Sade. Questo perché bisogna mantenere alte le tradizioni germaniche.
L’odio nei confronti del meticcio italiano è ciò mi sostiene dal profondo. L’odio nei confronti di ciò che io chiamo (in segno di disprezzo verso il “popolo” italiano) “il meticcio italiano” è ciò che deve determinare il carattere di ciò che è veramente europeo. Ma l’odio verso il meticcio italiano è ciò che deve richiamare all’odio verso ogni tipo di razza sotto-umana. L’odio verso ogni tipo di razza sotto-umana è questione di istinto. Riconoscere una razza sotto-umana è questione di silenzio. Il resto è rumore fatto modernità.
Nei confronti dei meticci italiani ho sempre avuto la stessa forma di diffidenza. L’odio verso ogni tipo di razza sotto-umana è quel mormorio che non può essere consegnato alla modernità, poiché è ciò che la modernità non tratta ma bistratta. Che cosa sono gli Italiani? Un miscuglio, un bastardume, un meticciato. Un miscuglio di mezzi Negri, mezzi Zingari, mezzi Ebrei, mezzi Arabi, mezzi Indios. Parlare di Italiani è il modo più spiccio per parlare di razza sotto-umana – quando non si hanno più spiccioli da spendere. Gli Italiani sono l’autentico meticciato che ha conquistato il mondo. Le forme sub-umane che lo compongono sono solo feccia che impesta il mondo moderno: sono la feccia del mondo che però lo imposta come faccia del mondo. Quando si parla di Negri, di Zingari, di Ebrei, di Arabi, di Indios, di meticciato, si parla solo di feccia. Feccia che deve essere eliminata attraverso il richiamo a un grande sciacquone. Ma dove trovare l’anello della catena che, tirandolo, spazzerà via tutta quella feccia dal mondo – azionando il grande sciacquone? Vale a dire: dove trovare il grande sciacquone?
Solo uno Stato Mondiale – ma beffardamente, nei confronti della globalizzazione – potrebbe prendere in considerazione l’autentico progetto mondiale di una eliminazione delle razze sotto-umane attraverso un grande sciacquone. Infatti l’unico modo, per cui la “globalizzazione” potrebbe essere richiamata, è il progetto globale della eliminazione delle razze sotto-umane. Questo perché è possibile parlare di Europa solo attraverso una rifondazione dell’Europa a partire da Auschwitz. Così questo progetto deve prendere in considerazione tanto il progetto degli abbattimenti mirati quanto il progetto della costituzione di una nuova schiavitù. Auschwitz è il progetto da cui l’Europa deve partire per una rifondazione dell’idea di Europa.
Le razze sotto-umane devono infatti rispondere a questo doppio intendimento: abbattimenti mirati e costituzione di una nuova schiavitù (per “abbattimenti mirati” si intende la soppressione di quegli individui che, appartenendo alle razze sotto-umane, non possono funzionare come schiavi; per costituzione di una nuova schiavitù si intende la messa in opera di una nuova casta di schiavi; la compresenza del concetto di abbattimenti mirati e di ricerca di una nuova casta di schiavi è ciò che porta alla formazione di un nuovo concetto di essere umano).
Che è ciò che porterà al nuovo inizio della filosofia.

Roberto Maini nella maledetta Italia

Odd Andersen alla Ølhallen

 

Roberto Maini (video)          Odd Andersen (audio)