Un’altra razza

Al suo arrivo in Italia, Goethe è colpito dal colore bruno della pelle degli Italiani. A volte lo collega a un effetto della malnutrizione: «Appena si fece giorno, dopo che fui sceso dal Brennero, notai un netto cambiamento nei visi; specialmente sgradevole mi parve il colorito bruniccio pallido delle donne: i loro lineamenti denotavano miseria. […] Credo che la causa di tale salute malferma risieda nell’uso continuo del granturco e del grano saraceno.» (p. 37). Altre volte lo collega invece a questioni climatiche: «Sul lago di Garda ho trovato gente dalla pelle molto bruna e senz’ombra di rosso alle guance, ma tuttavia per nulla malsana all’apparenza, bensì fresca e ben portante. Può darsi che ciò dipenda dai vividi raggi solari cui sono esposti ai piedi dei loro dirupi.» (p. 38).
Quello che in realtà Goethe notava era una differenza di tipo razziale: gli Italiani non sono di razza bianca, almeno non lo sono nello stesso modo in cui lo sono i Tedeschi. All’interno di questa constatazione trovano posto i dettagli ulteriori. C’è una differenza, che noi oramai, sia per fattori ideologici, sia per questioni legate al nostro tipico modo di vivere, che prevede grandi e facili spostamenti, e insediamenti di diversi tipi razziali pressoché in quasi tutti i paesi del mondo, non siamo più in grado di cogliere, ma che i primi attenti viaggiatori, ancora immuni dall’ottundimento dei piccoli intervalli, coglievano. A noi farne l’uso più proficuo.

J.W. Goethe, Viaggio in Italia, Mondadori, Milano 1990.

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